diamoci 'na mossa

Ritorno in ufficio con il morale tra le dita dei piedi. Mi sono abituato troppo bene, abbandonatomi così all'indolenza come ho fatto durante le feste. Ma anche troppo tempo per pensare, troppe occasioni per concentrare i pensieri su uno specifico argomento che, in teoria, la mia politica del vivere per l'oggi ignorando ieri e l'ombra che questo proietta sul domani mi vieterebbe di affrontare. Puah!

Routine, routine, routine.
Ho trovato ad aspettarmi le solite scartoffie, le solite facce, le solite battute. Durante la pausa pranzo, nel centro commerciale ancora vibrante per le scosse tellurico-natalizie, sgomitare nella ressa mi ha fatto sentire come un trilobita nella melma, destinato a diventare un fossile sullo scaffale di qualche appassionato.

Spengo il pc, le stampanti, chiudo gli armadi sorridendo agli ultimi pettegolezzi raccontati dai colleghi. Sciarpa, cappotto, guanti. Passo il badge nel lettore, che ammicca più allegramente (sembra) di quando l'ho passato in entrata. Brucio un semaforo. Howard Phillips chiama. Chiusa la giornata in ufficio, ho fretta di dedicarmi a ciò che (anche se non tiro su una lira) considero il mio vero lavoro. Che, anzi, sto trascurando in questo preciso momento. Quindi a dopo!

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