drive drive drive

Una tre giorni idilliaca. Seratina del Venerdì a zonzo per Ferrara in ottima compagnia: buskers, musica e tante chiacchiere. Sabato al mare a trovare cari amici: 'o sole, 'o mare, aria fresca (un vento che siamo dovuti scappare dalla spiaggia). Domenica grigliatona all'aria aperta sul Po: un po' di pallavolo, due mani a carte, risate. Abbastanza per stemperare la repentina e inattesa malinconia della notte prima.

Decisamente mi stavo abituando troppo bene.

Ed ecco stasera l'inquetudine, il vuoto dentro che urla, prende il sopravvento. Improvvisamente, e non so quando è successo, so solo che un attimo sono lì che faccio i musi allo specchio mentre lavo i denti e l'attimo dopo sono in macchina in via Modena, e improvvisamente dunque, mi si profila davanti il casello di Ferrara Nord, che imbocco con scioltezza prendendo poi direzione di Padova.

Mi ripeterò, la mia auto è come una macchina del tempo. Merito per lo più del lettore cd. Ma gli effetti sono innegabili. L'unica cosa che non posso (e non devo) assolutamente fare quando sono al volante è chiudere gli occhi, ma so che se lo facessi l'illusione sarebbe completa.

Direzione Padova. La Civic color acciaio sfreccia sull'asfalto dell'autostrada come un sussurro. Camion, autoarticolati, cisterne, numerose auto vecchie e malconce con targhe est-europee, i soliti folli che mi superano da ogni direzione. Ma gli svizzeri non dovrebbero essere lo specchio della disciplina?

Rovigo.

Non mi azzardo a chiudere gli occhi, nei quali si sovrappone l'immagine della tangenziale di Bologna, l'uscita per l'aeroporto Marconi. Accendo la radio. Nel lettore c'è ancora la raccolta degli Electric Light Orchestra. La canzone è Telephone Line. "Hello, how are you, have you been alright through all these lonely, lonely, lonely, lonely, lonely nights?"

Stanghella.

"I'd tell you everything if you pick up the telephone"

Il fatto è che, mentre sorpasso un autotreno sculettante, mi rendo conto che all'altro capo della linea non c'è nessuno che può rispondere. "I'll just sit tight through shadows of the night, let it ring for ever more." Lascio squillare e squillare. Non c'è nessuno in casa. Anzi, non c'è nemmeno la casa. Allora cambio disco.

Padova.

Imbocco la Milano Venezia. Se prima il traffico m'invastidiva, ora s'avvicina a terrorizzarmi. L'avventatezza dei camionisti lascia stupefatti. L'ideale per questo clima da catastrofe incombente è un po' di sano malsano esistenzialismo. Ho quello che ci vuole. Nel bracciolo, ben celato come nei migliori film di James Bond, "Seventeen Seconds" dei Cure. La chitarra di A Reflection attacca, dipingendo la notte di un profondo blu opaco e oleoso. Sul divanoletto aperto, il suo viso appoggiato al mio petto. Singhiozzi. La mia voce, proveniente da Plutone, che dice "non importa, non importa," e s'allontana nel vuoto siderale come una sonda Voyager, per sempre.

Mestre.

"Hello image, sing me a line from your favourite song. Twist and turn, but you're trapped in the light all the directions were wrong..."

Venezia.

Accosto a Piazzale Roma. Scendo lasciando le quattro freccie a lampeggiare, scendo a respirare l'aria fresca dall'inconfondibile odore di mare, ovvero alghe, pesce morto, scarichi dei motori nautici. Mi riempio i polmoni, grato. Poco distante gli autisti di due grosse corriere blu chiacchierano sommessamente. Il fumo delle loro sigarette è trascinato via dalla brezza. Mi rendo conto di non sapere che ore siano, e non me ne importa molto comunque. Non trovandomi più protetto dall'involucro cronoconduttore dell'auto, la mia dislocazione temporale si contrae. Il mio riflesso sul lucido finestrino documenta quest'effetto Dorian Gray in cui recupero di botto gli anni percorsi a ritroso.
Guardo ipnotizzato il bagliore arancione delle mie frecce che illumina a intermittenza il muretto. Non voglio tornare, non voglio rientrare nella mia vita. Almeno finchè qualcosa non si sia mosso, assestato, sistemato.
Un ultimo profondo respiro e risalgo in macchina. Armeggio un po' tra cruscotto e tasche delle portiere alla ricerca di un cd che possa adattarsi al viaggio di ritorno. Non lo trovo. Mi reinserisco nel traffico col silenzio in testa e un torbido ribollire nel cuore.

Mestre.

"Qual'è stata la cosa peggiore?" Esito. Ho avuto molto tempo per pensarci, forse troppo, arrivando a contare una buona dozzina di 'cose peggiori'. Nella mia personale hit-parade ce n'è una che è di sicuro la più dolorosa. Il fatto è che non riesco a parlarne. Tranne che a me stesso. Glielo spiego.
"Fai finta di parlare a te stesso." Risa di pubblico preregistrate come in una sit-com.

Padova.

Come i balbuzienti, uso canzoni per far uscire parole che s'incastrerebbero tra la gola e i denti. La cosa peggiore. "Sometimes I think you want me to touch you, how can I when you build the Great Wall around you?" A volte penso che tu voglia che io ti tocchi, come posso se costruisci la Grande Muraglia attorno a te? L'una, le due di notte di sussurri al telefono. Ansie, dolore, lacrime senza sinallagma.

Stanghella.

Viene fuori, simpatica e piacevole come una scheggia conficcata nella carne. La cosa peggiore. Abbracciare, accettare, assorbire il flusso costante di dolore e comprendere che tutto il mio amore non era di alcun, neppure insignificante, conforto. Inutile. Inutile. Inutile.

Rovigo.

Stufo di autostrada, imbocco la rampa, pago col bancomat, seguo la segnaletica. Scivolo a fianco dei paesini sulla statale. Polesella, Garofolo, Canaro.

Ferrara.

Dopo i buskers è tornata la città addormentata di sempre. Percorro strade deserte al punto da sembrare il set di un film catastrofico, i semafori assurdamente accesi che alternano le loro luci senza altri veicoli in giro oltre a quello del sottoscritto.

Casa.

A tutti quelli che mi dicono che non mi manca niente.
Chiudo la porta a chiave. E il mondo sta fuori.

impact

Questi giorni sono un po' come giocare a "Campo Minato". Basta un solo passo falso e il mio equilibrio viene giù con un tonfo.

In macchina, coi fari che tagliano il buio di via Comacchio in direzione di Ferrara, sussulto all'apparire di una lepre. La bestiolina è lanciata in uno scatto olimpico che, pur essendo mirato a portarla sul lato opposto della strada, è destinato invece a condurla sotto i mei pneumatici. Impreco tra i denti certo di non riuscire ad evitare l'impatto, ma ecco che l'istinto di sopravvivenza della lepre prende il sopravvento, sotto forma di un agilissima piroetta che la riporta in salvo al luogo d'origine. Sollievo. Poche centinaia di metri dopo, il cartello di Bivio Medelana.

[flashback: ore 13.00 - percorro la stessa strada in direzione opposta quando, come in un episodio di The Twilight Zone, dalla segnaletica scompare misteriosamente Comacchio. Il suo posto è preso da Adria. Che è di certo un posto in cui mi piacerebbe tornare, ma essendo atteso al Lido di Spina non vorrei che, oltre che dalla segnaletica, Comacchio fosse stata eliminata anche dalla geografia (in quanto a questo ho un paio di amici che, al contrario, ne gioirebbero). Proseguo dunque per Adria giungendo puntualmente a Comacchio. Unica segnalazione il cartello d'entrata in città. A volte mi prende questo intenso desiderio di fare qualche domanda ai funzionari dell'A.N.A.S.]

Spengo l'autoradio. Ho cantato in duetto con Jeff Lynn un discreto repertorio. Ora, mentre mi si apre la mente ad accogliere la meteora che mi insegue da questo pomeriggio, ho bisogno di silenzio. Per qualche ragione sono braccato da colpe già espiate. Ed è come avere i loro fari alle mie spalle, il loro paraurti attaccato al didietro della mia auto. Non posso frenare o rallentare perchè ne seguirebbe un urto micidiale.

Accelerano. Sento la botta, la vibrazione sul volante. Mi sento morire.

E non è solo questione del conto della carrozzeria.

bye bye addiction?

In solitudine, quando si è espettorato in qualche modo il grosso rospo maledetto che ci vive tra lo stomaco e la gola, si possono trascorrere anche degli ottimi momenti. Magari trasformando una giornata che stava segnando un punteggio molto alto sull'inutilometro in qualcosa cui guardare e annuire, pensando a quando si potrebbe replicare.
Forse davvero mi sto liberando di un'assuefazione. Per lo meno mi rendo conto di attraversare fasi che ricordano la disintossicazione.
Comunque dopo una sveglia eccessivamente mattiniera (per essere Domenica), ho dissolto l'inevitabile malumore assieme al detersivo nella lavatrice. Non che ami particolarmente le faccende di casa, ma a volte esse giungono opportune ad elidere stati umorali non graditi.
I miei sono tornati ieri da Falcade e avevano per me i soliti regalini, che mi hanno dato oggi a pranzo. Boccettini per il sale e il pepe (e stuzzicadenti) di ceramica a forma di orsetti.
Appena aperta la scatola con stampigliate sopra le immortali parole "Made in China", mi sono sentito un po' disorientato. Orsetti. Ho sollevato lo sguardo con in mente un po' di sarcasmo sul fatto che il perdurare della mia condizione di single non denota neccessariamente ch'io sia gay. Però il fastidio è svanito appena ho notato i brillantini negli occhi di mia sorella, da cui era partita l'iniziativa orsetti. Okay agli orsetti, allora. Sono veramente graziosi, anche se non li metterei mai in tavola per un'occasione ufficiale, e sono certo mi procureranno un bel po' di sputtanamento. Ma sono anche certo di poter placare il tutto col secondo regalino, una bella bottiglia di grappa ai mirtilli... fa gola a me che sono astemio!
Nel frattempo l'afa è fuggita a gambe levate.
Così oggi ho lasciato i film nella tv, e mi sono preso sù e portato al parco con lo zainetto pieno di libri e musica. Non sapendo bene riconoscere il nuovo umore che mi si era appoggiato addosso per un poco sono stato indeciso su che libro portarmi dietro. Alla fine ho portato tutto. L'ultimo di William Gibson, "La notte del Drive-in" di Joe Lansdale (iniziato e interrotto a causa del tono comico che fa a pugni con la violenza inscenata, ma sempre con la curiosità di sapere come diavolo vada a finire), le commedie di Harold Pinter (volume secondo, il primo l'ho perso nel trasloco, boh?), un manuale di fotografia a 35mm e l'ultimo numero di Applicando. Stessa cosa per la musica. Due punto sessantasei giga di file nel lettore mp3, comunque, non mi hanno lasciato a piedi.
Mi sono trovato un angolino nuovo, all'ombra, e ascoltando una delirante compilation che vedeva fianco a fianco Bauhaus e Bryan Adams, i Cure e i Cardigans, Edie Brickell e Norah Jones, Simple Minds, Ozzy Osbourne e Pat Benatar, ho dormicchiato sfogliando pigramente la mia rivista, ricaricando le pile lontano dalla rete globale di cui leggevo nelle pagine di William Gibson.
Fatti un po' di conti, quest'oggi ho fatto molto poco. Ma a volte la differenza è data da ciò che non si è fatto. E ciò che non ho fatto oggi è stato appiattirmi il cuore con una pialla di cattivi pensieri.
Per il momento è meglio non ufficializzare, ma forse sono davvero passato alla fase "non così male". Boh?

sleeping city

Nel mio inquieto peregrinare per la città dormiente ritrovo vecchie certezze come monetine tra le fessure dell'acciottolato. L'immutabilità metafisica delle vie, delle persone, diventa quasi rassicurante.

Via Mazzini, coi suoi muri appena ristrutturati e già scrostati, è la mia rampa verso l'oblio. I palazzi che si protendono prospettici verso il cielo, infiniti. i ronzii delle biciclette, alcune dal suono fluido e ben oliato, altre faticoso e stridulo. La luce liquida delle vetrine di Mel Bookstore, sui cui scaffali la sobria copertina di "Perchè Ferrara è bella" mi dà una raspata al cuore come se l'avessi inavvertitamente appoggiato alla ruota di una mola.
Il bruciore è di un'innegabile fisicità su cui mi soffermo a riflettere. Poi smetto di riflettere del tutto, e mi concedo alla semplice osservazione.

mel

Consideriamo un albero. Può, sapere che quell'albero pesa tot quintali, che è formato da tot molecole, che nelle sue vene scorrono tot litri di clorofilla che colorano n foglie del formato tale, può, dunque, sapere tutto questo, spiegare perchè dormirci sotto è tanto piacevole?

La razionalità è una difesa triste. Ho bisogno di una sana dose d'insania.

15/8

Ecco. Come in una canzone di Tori Amos, l'estate dell'82, dell'84.
Corse sulla spiaggia spellandomi le piante dei piedi. Gelati al chiosco. Compiti per le vacanze.
La bionda che mi sorride, portando a spasso il cane.
L'acqua del mare che mi cinge in un abbraccio delizioso. Mentre mi perdo, per sempre, nei miei sogni.
Da allora non ritrovo la strada di casa.

Cammino per le strade semideserte della città. Sera mite, per una volta non soffocante. Il mio riflesso indugia su qualche vetrina mentre soppeso con gli occhi un nuovo equilibrio. Mi fa paura, questo silenzio alternato al frastuono assordante. La mia voce non è mai stata tanto sospesa. O deserta bellezza di Ferrara, cantava D'Annunzio, loderò le tue vie piane, grandi come fiumane, che conducono all'infinito chi và solo col suo pensiero ardente.

Il mio pensiero ardente.

Ne ho bisogno. Per sopravvivere.
E tutti continuano a gettarci sopra secchiate d'acqua gelata.

A volte desidero pronunciare parole solo per sentire ancora il loro suono sulle labbra.
Che importa se non avrò più alcun bacio? L'importante è la salute, no?

nostalgia

nostalgia


I'm cutting branches from the trees
shaped by years of memories
to exorcise the ghosts
from inside of me.

Le cesoie in mano per uniformare ben bene i lati della siepe. Cadono, i rami ai miei piedi, le foglie che calpesto senza soffermarmi sullo spiacevole scricchiolio.

zac zac

Via!

Al diavolo tutto.