il gigante

V e c c h i a S t o r i a
Dino Buzzati


Ero il gigante delle montagne
-- ancora un mese fa --
alzandomi in piedi le nuvole
mi stavano a mezzo petto,
impigliandosi nei bottoni
come piccole ghirlande.

(Poi all'angolo mi misi a scherzare
come non fosse niente).

Ero un grande poeta
-- credetemi, signori, vi prego --
non giudicate dalle apparenze --
le mie parole irrompevano
nei cuori come bolidi
di fuoco e di ferro e al rintocco
gli animi si torcevano, i vostri
anelando alle cose perdute
come un vento, come un --

(Sì, all'angolo cominciai a scherzare).

Ero una Sua Maestà Regnante
imperatore delle colline
dei boschi, dei vicoli, dei tetti
solitari, ero re della luce elettrica
che andava e veniva, delle
saracinesche, dei bar, degli spiriti
che a mezzanotte escono dal buio
dei lunghi armadi misteriosi
ero il sovrano delle fate, dei cosi
delle cose eccetera ah!

(Mi divertivo a scherzare questo sì
credevo fosse una cosa da niente).

Ero un genio, il mio cervello sbaragliava
al galoppo gli schieramenti
degli assurdi e la gente
mi guardava con dei tali occhi
quando passavo per --

(Scherzare, nient'altro che uno scherzetto
all'angolo della strada, oplà).

Ero un drago, una rossa automobile da corsa
lanciatissima, ero il colonnello
della guardia, ero la locomotiva
Santa Fè, ero il vescovo alla messa
solenne, ero il nuvolone del 58 maggio,
ero il ponte sul fiume Kwai
possedevo la pace dell'animo
supremo bene della terra
ancora l'altro ieri, ancora ieri --

(Ma scherzavo scherzavo).

Ora guardatelo il Genio, il Gigante,
l'Imperatore dei Territori
Sua Eccellenza, lo riconoscete?
Qui, lurido, rugoso, cercopiteco,
spiaccicato di dentro e di fuori.
Distrutto. Ho la febbre
e tremo. Fermo ai piedi
dell'orologio pubblico
sotto la pioggia che cade.
Segnava le sette
quando cominciai ad aspettare
ora le sfere segnano ottanta
centocinquanta, duemila
tre miliardi di ore come massi
di piombo. Io ancora qui
che aspetto e le ore e i giorni
e gli anni.
E tu non vieni, amore.

without permission

Doccia a mezzanotte.
Uscito gocciolante e fumante dal getto a 3000 gradi farenheit sento la pulsione irresistibile di girare tra i blog. Mi piazzo nudo sulla poltrona simil-presidenziale in simil-pelle e sorrido constatando che, per una volta, il singhiozzante collegamento internet che mi perseguita stasera ha deciso di comportarsi bene.
Era tanto che non leggevo qui e là, alla rinfusa, i pensieri, le frustrazioni, le cronache. Tradito dalla tecnologia ho dovuto imparare a fare a meno di tutto quanto sopra, quando fino ad un paio di mesi fa non potevo starne lontano più di poche ore senza provare le stilettate dell'astinenza.
Ora, in questo ritorno (su cui non posso garantire, visto che continuerà a dipendere dagli indolenti comodi di Telecom) mi sento così lontano ed estraneo, così isolato e fuori posto.
Ho terminato anche le meste ricorrenze. Poco della mia vita di oggi sembra meritevole di essere raccontato. Lavoro, mangio (troppo), dormo (troppo poco). Potrei standardizzare i post, automatizzare l'invio con qualche macro.
Ma, poi, servirebbe?

squeck!

Qualche giorno fa replica dell'episodio sul minuto mantenimento.
Problemi di stampa. Giunge l'uomo-hardware che ci guarda con occhio canzonatorio, scrocchia con disinvoltura le dita, le appoggia alla tastiera e...

zoooot!

...ecco che l'intero edificio rimane al buio. Un bel primato. Sono certamente propenso a credere che non fosse direttamente responsabile del black-out, ma sono anche stato testimone di tali e tante analoghe coincidenze, seppur meno spettacolari, dal sentirmi autorizzato a pensare che l'individuo in questione porti un tantino sfiga.

A conferma dei miei timori un'improvvisa recrudescenza di infortuni sul lavoro, assenti da qualche mese. Ora, in un istituto bancario gli infortuni sul lavoro possono essere di due tipi. Fortunatamente (se posso dir così) la maggior parte è del tipo "in itinere". Ovvero qualche noioso colpo di frusta dovuto a piccoli tamponamenti recandosi o tornando dal posto di lavoro. Gli infortuni "operativi" sono tutta un'altra cosa. I miei colleghi sono ultimamente riusciti a chiudersi dita nel cassetto blindato, o l'intera mano (all'altezza del polso) nella cassaforte. Personalmente, quando ero allo sportello, sono riuscito a centrarmi il dito medio della mano sinistra con la testa d'ottone del datario mentre timbravo alacremente l'F24 di un cliente. Non essendoci un filmato dell'azione vi propongo l'audio sottotitolato.

Tu-tum! TUM! (copia per l'istituto)
Tu-tum! TUM! (copia per l'ente)
Tu-tum! TUM! (copia per il contribuente)
Tu-tum! SQUECK!! (dito medio del sottoscritto)

Nonostante i lacrimoni che scendevano dai miei occhi a fessura, dissimulai il dolore atroce col cliente allibito, rassicurandolo che no, non si preoccupi, non ho sentito niente, ma temendo in cuor mio che fosse ormai necessaria l'amputazione. Niente di così drammatico, per fortuna, solo una cicatrice a forma di "15-06-2000".

L'altro giorno, telefono.
"Ciao, chiamo per avvisare che F**** s'è fatto male."
"Caspita, mi spiace. Cos'è successo?"
"Mentre camminava ha inciampato in una risma di carta da fotocopiatrice che qualcuno aveva lasciato in mezzo alla stanza."
"Ed è caduto."
"Macchè. Ha solo perso l'equilibrio, si è sbilanciato in avanti, ha preso velocità ed è finito contro la fotocopiatrice."
"E' rimasto contuso?"
"No, lì non s'è fatto niente. E' rimbalzato indietro finendo su una sedia con le ruotine."
"E l'ha ribaltata."
"Macchè. Con la sedia ha percorso tutta la stanza in senso opposto, ha imboccato la rampa ed è sceso in sala."
"Si sarà ribaltato a quel punto, allora."
"No, ha carambolato contro il cassone del bancomat e ha proseguito verso il salotto del borsino."
"Non dirmi che ha distrutto il televisore al plasma."
"No. L'ha mancato d'un soffio. Però la sedia è rimasta incastrata nel tavolino delle riviste."
"E lui è finito sul pavimento. Che male!"
"Ma no! Ha proseguito per forza d'inerzia, ha rimbalzato contro la bussola e..."
"Senti! Mi vuoi dire cosa accidenti gli è successo?"
"Abbiamo dovuto abbatterlo."

buzzer switch

Quando.

Quando vedo le stelle e sento freddo anche d'estate.

Quando sento nel cuore, tra un battito e l'altro, il silenzio.

Quando sento il martello calare e l'incudine alle spalle.

Quando parlo e le parole cadono al suolo come sassi, invece di volare.

Quando cammino per ore, giorni, anni, senz'allontanarmi d'un metro.

Quando le ferite non ne vogliono sapere di farsi chiamare cicatrici.

Quando la notte urla, i ricordi rombano nel petto, e i sogni s'avvolgono ai piedi come lenzuola sfatte dopo l'amore.

Quando penso ad una morte eroica come all'unica cosa che potrebbe dare un senso alla mia vita.

Quando esco di casa senza motivo e vago senza meta per rincasare senza saper perchè.

Quando cerco me stesso, e mi trovo, in una canzone fuori moda.

Quando mi ferisco contro uno sguardo gratuitamente sprezzante.

Quando chiudo il mondo fuori dalla porta di casa sperando che al mio risveglio non ci sarà più.

Quando cammino scalzo sul marmo dei pavimenti dove correvano le mie macchinine di bambino.

Quando penso al passato e non vedo un futuro.

E vorrei avere solo un interruttore da interrompere.

Come il pomellino per zittire la sveglia.

Warp sex, Data

Mentre raccolgo le camicie asciutte dallo stendipanni nel corridoio, sento le voci dell'equipaggio dell'USS Enterprise che escono dal televisore in sala.

"Consigliere?"
"So cosa vuol sapere, ma non sento niente da quel buco."

Eh, e poi mi chiedono perchè continuo a guardare Star Trek.

domande

Due domande retoriche:

a) Quanti angeli possono stare sulla capocchia d'uno spillo?

b) Quanti ricordi può contenere una scatola di purè liofilizzato?

Ho bisogno di una birra.

freddo freddo

A volte le parole sono veramente inutili. E sono i momenti che temo di più; quelli in cui cerco e m'affanno e alla fine taccio.
Nel frattempo ho scoperto che la mia casa nuova è una ghiacciaia. Perfetta per conservare bevande fresche, ma meno ideale per la sopravvivenza. Soprattutto con questi inspiegabili colpi di coda d'inverno che mi si abbattono sul collo in picchiata come una squadriglia di spitfire (cosa dice il calendario? 14 maggio? Ah! C'è da ridere!).
Rabbrividisco avvolto nelle lane placide, doni provenienti da diverse mani, e faccio il punto. Come un navigatore solitario nel mezzo dell'oceano. E non voglio. Maledizione, non voglio. Non c'è bisogno del sestante per sapere di essere in mezzo al nulla. Anche abitando in pieno centro. Eppure è un meccanismo automatico, un riflesso involontario. E io spero sempre in una nuvola, che copra gli astri per me e li nasconda alla mia vista.
Amo l'oscurità. Da sempre.

miao

Notizia d'agenzia.
A quanto pare, nelle periferie di Ferrara si aggirerebbe una belva feroce. Le tracce fanno pensare a un grosso felino predatore, e ho una collega che abita a Vigarano che, dopo aver trovato il suo giardino devastato e il suo gatto esanime mezzo sbranato, è propensa ad abbracciare questa ipotesi. La immagino sulla porta che scuote la scatola dei croccantini chiamando "miciooo! micinooo!" e si trova davanti un puma.
Quindi state attenti. Se sentite grattare alla porta potrebbe non essere il vostro dolce e viziato batuffolino di pelo abituato a mangiare solo Gran Gourmet al salmone affumicato e caviale. Per sicurezza mandate vostra suocera a controllare. Come direbbe Moni Ovadia: se torna, bene, se non torna, non così male...
...ed ora, le previsioni del tempo.

cogitationis paenam nemo patitur

Riemergo da un attacco di artrite cervicale che mi ha incapacitato per qualche giorno. Il tempo di uscire e già mi vorticavano come le lame di un frullatore Girmi.

Scena 1:
Incolonnato nel traffico. Noto un anziano in difficoltà. Sta lottando con la bicicletta, che le due voluminose borse della spesa appese al manubrio hanno fatto cadere rovinosamente a terra. Si vede tutta la sua rabbia, la sua mortificazione, la sua impotenza.
Ma...
A mezzo metro dall'anziano parcheggia in scioltezza una station wagon il cui autista sembra già in piedi prima ancora che il mezzo sia fermo. Sta tutto nel polso: il tizio agita a mezz'aria il telecomando, l'auto si chiude con doppio lampeggìo delle freccie e classico cicalino alla Star Trek. Il tutto tenendo gli occhi sull'anziano alle prese con la sua catastrofe formato famiglia. L'autista della station wagon si dirige a grandi passi verso il poveretto.
"Un vero angelo custode!" penso mentre il verde sblocca il mio ingorgo.
Sempre senza staccargli gli occhi di dosso il tizio raggiunge il pensionato -- che è evidentemente incapace di rimettere in piedi bicicletta e spesa, ed ha dipinta sul volto un'espressione veramente disperata --, ma invece di aiutarlo (come ingenuamente avevo sperato) scavalca la bicicletta con un lungo passo e (questa è perversione?) tenendo gli occhi su di lui e camminando a ritroso entra nel negozio da cui il vecchio era uscito.
Il traffico mi spinge oltre. Lontano da quel piccolo enorme atto di sadismo. O indifferenza, ma in questo caso sento che le due cose coincidono.

Scena 2:
Incolonnato nel traffico (sembra incredibile ma a Ferrara c'è traffico come a Honk Kong).
Lavori in corso, la cui unica utilità (oltre a rendere il traffico come quello di Honk Kong) è rimpolpare tasche clientelari. Un delirio di segnalazioni fatte sia dagli operai, che se la tirano con il loro palettone rosso e verde, e dei vigili urbani. A quanto pare non c'è coordinamento tra i segnali degli uni e degli altri.
Un operaio con imperioso gesto del palettone mi ordina di girare a destra.
"Ma io devo andare a sinistra," mimo sconsolatamente attraverso il parabrezza.
L'operaio è inflessibile. Giro a destra e mi fermo immediatamente causa nuovo incolonnamento. Appena sono passato il vigile urbano dal centro della carreggiata segnala alla colonna di cui ero la testa di sbrigarsi, maledizione, a svoltare a sinistra.
Dopo un attimo di perplessità abbasso il finestrino e chiedo al vigile:
"Ma quel tizio con la paletta non aveva detto che a sinistra non si può girare?"
"E lei dà retta a quello?"
Prometto solennemente qui davanti a tutti che la prossima volta lo investo.

the mud river blues

Avevo promesso storie e dunque credo sia ora di iniziare.
Ciò che segue è lo sviluppo di un'idea venutami guardando il film L.A. Confidential e cercando d'immaginare la mia Ferrara come ambientazione di un noir alla Raymond Chandler. Poi qualche sera fa ho vissuto un paio d'ore veramente esilaranti in compagnia di amici, anglofonizzando i nomi di numerose località di provincia, e tutto ha preso a cospirare in direzione di Irontown (ovviamente Ferrara), divenuta poi Ironton. Ed è in questa ridente cittadina a misura d'uomo, ora internazionale al punto che alle sue porte vi sono pannelli luminosi che salutano con un "Welcome to Ferrara" (e a Natale addirittura con "Season's Greetings!"), che vive il mio epigone di Philip Marlowe. Maldestro investigatore privato della bassa padana traslocata in un'America inventata, James Deer (alias Jimbo, alias Jumbo, alias l'Anguilla, ecc.ecc.) affronterà il difficile compito della satira. Spero con successo.
Due note.
Prima di tutto pur iniziando con molto entusiasmo non sò se o come finirà l'avventura. So che ci metterò mano a tempo perso e quando avrò argomenti. Chissà davvero cosa ne verrà fuori. In secondo luogo lancio una sfida ai lettori: la toponomastica di Ironton, così come le molte località che visiterà l'eroe, è stata inglesizzata in modo a dir poco parodistico. Non so quale sarà, ma ci sarà un premio a chi indovinerà gli originali che stanno dietro ai nomi inventati.
Un ultimo appunto. Forse è superfluo dire che questa è un'opera di fantasia e che ogni riferimento a nomi e persone realmente esistenti è puramente casuale... però non si sa mai.



THE MUD-RIVER BLUES

-- Prima parte --


Questa è una città spietata. Non c'è posto per gli imbelli ad Ironton. Qui la gente saluta tenendo una mano sul portafogli, e mentre gli amministratori cittadini parcheggiano in tripla fila davanti ai bar di moda i vigili urbani fanno rimuovere anche le ambulanze ferme a prestar soccorso. Un postaccio. Ma è qui che vivo e lavoro, e ormai certe cose mi scivolano addosso senza lasciare segni. Non per niente mi chiamano l'Anguilla.
Il giorno in cui iniziò tutto il casino m'ero alzato con una strana sensazione, una sensazione come di... assorbimento, che inizialmente attribuii all'ICI in scadenza. Come mi sbagliavo. Entrai in ufficio e trovai Ruth, la mia segretaria, che arieggiava i locali.
"Mangiato pesante come al solito, Ruth?" fu il mio commento. "Non dirmi che ti vedi ancora con quel cuoco cinese."
"Giorno di paga, boss." Rispose lei.
Adoro la mia segretaria. E' una brunetta tuttopepe dalle gonne microscopiche e il cervello in tinta unita (o viceversa?). Non sa battere a macchina o stenografare, insulta i clienti al telefono e perde nota di ogni appuntamento, ma quando accavalla le gambe alla Sharon Stone non c'è creditore che possa rifiutarmi una dilazione. E soprattutto la pago in buoni sconto dell'Ipercoop (in questo noir anglofilo va pronunciato "aipercuup". N.d.A.). Era una settimana che facevo incetta ai danni delle buchette dei vicini. Infilai la mano in tasca e ne estrassi una mazzetta di buoni sconto del 40% sull'acquisto di pannoloni per incontinenti.
"Ho deciso di darti un aumento" le dissi facendo cadere la mazzetta sul tavolo.
"Wow! Boss!!" Esclamò lei con i lustrini agli occhi, e io mi chiusi nel mio ufficio per adempiere ai riti mattutini.
Il giornale era il solito ricettacolo di oscenità. Il sindaco stava spillando altri quattrini ai contribuenti per terminare la costruzione di un'opera pubblica edificata su una palude. La società di gestione dei parcheggi annunciava un rincaro per finanziare il rinnovo del parco auto private dei suoi dirigenti. Ero da un po' fermo su una certa pagina cercando di capire se si trattava di annunci immobiliari o cronaca nera quando, senza bussare, entrò lei.
Un tailleur grigio argento l'avvolgeva come un guanto. I capelli biondo oro le ricadevano sciolti sulle spalle e gli occhi verde mare mi guardavano con aria leggermente interrogativa. Cercai di indovinare il motivo di quello sguardo, ma non riuscendone a trovare ragione alla fine estrassi l'anulare dalla narice e mi alzai per presentarmi.
"Lei è Jumbo, sì?" M'anticipò la donna, e io sentii le chiappe contrarmisi dolorosamente. Era uno dei miei primi alias, e non amavo ricordare il modo in cui me l'ero guadagnato.
"Jim" risposi. "Mi chiami Jim."
"Jim?"
"Come il capitano in Star Trek."
"Ah, certo."
La bionda avanzò sul linoleum sbiadito facendolo sembrare una guida in velluto rosso, i tacchi alti delle sue scarpine italiane che toccavano terra senza produrre il benchè minimo rumore.
"E lei è?" l'interrogai.
"Bertha."
"Bertha?"
"Come nella canzone degli Squallor."
"Ovviamente." L'amavo già.
Le scostai la sedia. Lei sedette accavallando le gambe affusolate, provocandomi i pensieri più inarrestabili e una gran voglia di cantare la Marsigliese. Tornato dietro la scrivania feci febbrilmente sparire i bicchieri sporchi e un paio di copie di Playboy, marzo e aprile, nel primo cassetto. Poi entrai nella parte.
"Mi dica tutto, Bertha."
"Voglio che lei recuperi un oggetto."
"Vuole che le recuperi un oggetto?"
"Un oggetto molto prezioso."
"Vuole che le recuperi un oggetto molto prezioso?"
"Appartiene alla mia famiglia da sette generazioni."
"Quest'oggetto appartiene alla sua famiglia da sette generazioni?"
"Per caso è sordo, Jim?"
"Eh?"
Bertha si alzò con risolutezza.
"Ho commesso un terribile errore," disse nascondendosi dietro un paio di raffinatissimi occhiali scuri. "Mi scusi per averle fatto perdere il suo tempo." Quindi girò sui tacchi e scivolò fuori dal mio ufficio, regalandomi per un istante la visione del suo delizioso sederino ancheggiante.
"Tutto bene, Boss?" esclamò Ruth apparendo sulla porta mentre mi rotolavo nudo sull'imbottitura della sedia sulla quale era stato il delizioso sederino di cui sopra.
Il resto della mattina trascorse senza sorprese. Terminai la lettura del giornale e telefonai ad un paio di allibratori clandestini per piazzare qualche puntata sull'ubicazione delle nuove ZTL. All'una andai alla solita tavola calda su Joykka Drive a farmi una bistecca.
Ero all'ultimo boccone quando due energumeni che avrei visto bene sul ring di un raduno wrestling, uno rosso l'altro calvo, sedettero al mio tavolo e presero a fissarmi in un modo assai spiacevole.
"Sei Jumbo?" disse il rosso. Due volte in una mattina era troppo. Continuai a masticare passando trucemente gli occhi dall'uno all'altro.
"Chi lo vuol sapere?" dissi dopo aver inghiottito il boccone. L'istante successivo stavo rotolando sulla strada dopo aver attraversato e infranto la vetrina. I lottatori mi raccolsero e iniziarono a suorarmi come una fisarmonica finchè non arrivò Al, il ristoratore, sbraitando come un ossesso che era ora di piantarla con tutte quelle scene per non pagare il conto.
"Sta lontano dalla donna," disse il rosso prima di andarsene, e per sottolineare che l'argomento gli stava a cuore mi mollò una scarpata agli zebedei che di sicuro mi tornerà in mente sul letto di morte, essendone stata una buona anticipazione. Mentre perdevo i sensi sentii la voce ormai lontana di Al che mi gridava in faccia:
"Fanno dodici e settantacinque, furbetto!!"

-- Fine Prima parte --

slice and dice

A volte di un incendio non rimane che un sospiro, la notte, prima d'addormentarsi. Poche sillabe tenute in bilico sulle labbra, assaporate come un cioccolatino che si sciolga sotto la lingua. Versi incompleti vergati in fretta sul retro di una fotocopia, dimenticati, ritrovati e presi a specchio di perfezione (proprio per la loro incompletezza). Tre accordi di pianoforte, apparente preludio di una sinfonia, suonati al buio e in solitudine. Il sentore sul cuscino di un profumo dozzinale. Un gilet nella cui lana a volte s'impigliava un lungo capello castano.

Compilo gli elenchi delle lame da cui essere vivisezionato, anche se invece avrei bisogno di bende per le vecchie ferite.

aside

Turning screws in my mind

And when I finally took a good look at you
I thought Jesus, girl,
You're a scare!
And I thought
I've got to do something for you.
And I thought
Aside from loving you,
I mean.



Giri di vite nella mia mente

E quando finalmente t'ho guardata bene
ho pensato Gesù, ragazza,
hai una faccia da far spavento!
E ho pensato
devo fare qualcosa per te.
E ho pensato
a parte amarti,
intendo.


The Witching Hour

Inedito

just sing a song

Lo so, lo so che non ne avete mai abbastanza! Comunque posto questa e poi basta!

LOST IN THE LIGHT
(the Subway, ©1987)

I can’t see you, I can’t see anything;
Blind are my eyes, blind is my heart.
How many times should I read the same things,
How many times will I have to hide—

I’m lost in the light.
I’m lost in the light.

Hey, how do you feel searching a way out?
Hey, how do you feel trying to break out?
No hopes, no dreams or ambitions will ever spare us this.
No laughs, no smiles or jokes will make us forget—

We’re lost in the light.
We’re lost in the light.

We’re lost in the light of our endless dreams.
We’re lost in the light of our helpless fight.
We never stand up though we never sit down.
We never look up at ourselves—

We’re lost in the light.
We’re lost in the light.
A grande richiesta il testo di uno dei grandi successi dei SUBWAY.

TAKE CARE OF ME
(the Subway, ©1987)

Yes, you heard well:
In spite of all our thinking
This is what I need,
So take or leave.

But I’ll show you how to do it,
I’ll teach you a better way.
I’ll show you how to take care
To take care of me.

To take care of me!

And you know,
This is going to change it all.
And the game we played for so long
Gonna stay unwon.

But I’ll show you how to do it,
I’ll teach you a better way.
I’ll show you how to take care
To take care of me.

To take care of me.

Graal

"That is not dead what can eternal lie
and with strange eons even death may die."

L'inspiegabile distico cantato
dall'arabo pazzo Abdul Alhazred
come citato da H.P. Lovecraft


Slit! Il cutter scivola da una parte all'altra del cartone, affondando nel nastro adesivo con facilità. Addentrandomi sempre più profondamente nel mio passato, nell'aprire gli ultimi cartoni mi sento un po' Indiana Jones alla ricerca di qualche reliquia d'inconcepibile valore.
Immergo le mani tremanti nello scrigno appena aperto, timoroso di qualche trappola mortale, e inizio ad estrarne i suoi tesori.

...robaccia, robaccia, robaccia, spazzatura, uhmm...

Un pacchetto di fogli scritti fittamente a mano dal sottoscritto (l'incomprensibile calligrafia non dà adito a dubbi). La minuta di una lettera, direi. Leggo tre righe. Spazzatura. Riprendo la cernita.

...robaccia, spazzatura, robaccia, robaccia... e questo?

Una grossa busta rigonfia contenente buste più piccole. Lettere indirizzate a me. Le passo una per una, controllando i mittenti, cercando di capire se c'è qualcosa che valga la pena tenere. Man mano che leggo, butto nel mucchio che finirà al macero, finchè non ne rimane una. Non c'è mittente. Estraggo il foglio e inizio a leggere. Mi bastano due parole per capire di chi è e di che cosa si tratta. Per sfizio la leggo fino in fondo, dopo di chè è per me grande soddisfazione farne coriandoli da gettare nel mucchio per il macero. Chissà quanto impegno è stato profuso per produrre quel concentrato d'ipocrisia.

Di nuovo immergo le mani nell'acquasantiera dei ricordi.

...robaccia, robaccia, spazzatura... che mi venga un colpo! (come se non me ne fosse già venuto uno)

Un paio di foto scampate al rogo, una cartolina mai ricevuta ma consegnatami brevi mano e con una dedica sul retro. Vacillo un attimo su questi ultimi due articoli. Avrebbe potuto essere un buon perido, non fosse per il condizionale... via, macero.

...foto, carte, lettere, foto, lettere e poi...

Il solo, l'unico e l'ineguagliabile Quaderno dei Sogni. Un banalissimo quaderno a righe dove, nei miei intenti, avrei dovuto riportare i deliri della mia vita onirica. Se non consideriamo le prime sei facciate, è vuoto. Lo tengo. Magari un giorno riprenderò a scriverci.

...altri fogli, appunti strappati e polverosi, pochi stentati versi di una poesia poi fiorita su altre pagine, ritagli di giornale col mio nome su (no, niente cronaca nera... almeno per il momento), il programma di una rassegna rock tenuta alla Sala Estense dal titolo immaginifico "Le Cocomere Sono Verdi" e, in fondo in fondo, a contatto col cartone dello scatolone, la copertina del demo del mio gruppo. Al tempo in cui i PC erano una chimera fantascientifica, trascorsi una notte intera a lavorare con forbici, colla, cartoncino e lettere trasferibili.

the SUBWAY
dreams in shadows
************************
Side A:
- change 4:33
- take care of me 3:55
************************
Side B:
- another party 6:50
- can't wait 3:56
************************
Enrico: voce, tastiere, ritmi
Andrea: chitarre (mi sono sempre chiesto: perchè plurale??)
Stefano: basso
************************
Per contatti (anche i cellulari erano una chimera fantascientifica):
Enrico 0532-
Stefano 0532-
************************

Ah, gioventù spensierata. Questo non solo lo tengo, mi sà che lo farò anche incorniciare. Niente da dire. Trovare il Graal può lasciare disorientati.