ig 654

Areoporto di Bologna. Guardo il tabellone delle partenze. Imbarco immediato per il volo Meridiana IG 654. E' il mio, può essere? Sì, è il solito, no? Che sensazione strana essere di nuovo qui. La gente mi passa accanto nella lobby affollata, trascinandosi appresso trolley e valigie multicolori.
Non ho bagaglio? No, a quanto pare no. Sono lì in piedi davanti al controllo di sicurezza, col biglietto in una mano e il cellulare nell'altra.
"Corra! Vada a fare il check-in!"
La voce mi riscuote. Il poliziotto mi guarda con amichevole apprensione. Sembra che il mondo si sia fermato per osservare me, lì interdetto. Il silenzio è una bolla irreale a mezz'aria. Questurini, passeggeri e addetti dello scalo mi guardano immobili e muti. Gli occhi colmi di curiosità.
Vado? Mi volto in direzione del desk Meridiana, che sembra a un continente di distanza. Potrei farcela.
"Può farcela!" conferma il poliziotto.
Guardo di nuovo la folla oltre il controllo di sicurezza, i cancelli d'imbarco. Il mio dovrebbe essere il n. 11. C'è una persona che conosco là in mezzo. Mi dà le spalle ma gettando una rapida e furtiva occhiata verso di me si fa riconoscere. In quel momento la prospettiva si allunga come un elastico.
Devo prendere quel volo.
O non mi perdonerà mai. Mai.
E' una corsa frenetica controcorrente. Muri di persone e bagagli da scavalcare o abbattere come in un percorso di guerra. Sembrano tutti immobili, intenti a guardarmi con sguardi di rimprovero. Sembrano volermi ricordare che ho una sola, infinitesimale speranza, e che se me la lascio sfuggire sarò da biasimare per sempre.
Come giocando a "bandiera", afferro al volo la carta d'imbarco e mi catapulto di nuovo verso i cancelli. Ma correndo di nuovo controcorrente --strana 'sta cosa -- capisco che è finita, che non farò mai in tempo. Tenendo la carta d'imbarco sopra la testa, lancio un urlo strozzato e supplichevole al destino.
Per favore. Per favore. Non è colpa mia.
Per favore.

Apro gli occhi, sudato e affannato, avvolto nel piumone ikea bianco e rosso come in un bozzolo, il cuore gonfio e martellante.

Neve, coprimi sotto il tuo manto.

inside the cocoon

Neve, neve. Che sia la volta buona?

Mentre guido verso casa scende quasi orrizzontale, parellela alla strada, infrangendosi contro il mio parabrezza. Disorienta. Il senso della prospettiva ne risulta compromesso. Rallento ma non m'importa. Galleggio, nell'aria della sera, sto bene.

This is not a car, it's a time-machine.

L'orologio sul cruscotto segna le 18:05, l'ora in cui viene inviata un e-mail al mio indirizzo, che leggerò alle 19:23 e renderà ancora più emozionante quest'inattesa nevicata.

...le 17:52...

esco dal supermercato reggendo tre borse della spesa e tre paia di pantaloni appena ritirati in tintoria, sotto neve e acqua gelida che viene giù a più non posso. Concentrando le borse in una mano sola e usando i denti come appendiabiti, cerco le chiavi della macchina nelle quattro possibili tasche, pensando che se mia madre ha intenzione di chiamarmi lo farà sicuramente ora.
Il cellulare inizia a suonare...

...le 16:18...

l'idea originaria per il pomeriggio era quella di distendermi a leggere/dormire/ascoltare musica (cancellare la voce che non interessa), ma una sottile agitazione rende vano ogni tentativo. La parola che cerco è "restless". L'italico "inquieto" non rende giustizia al concetto.
Un'assurdità: sono in qualche modo convinto che una certa persona, nonostante accordi contrari, abbia intenzione di farmi una sorpresa, e mi affanno come Mamy di Via Col Vento a riordinare e rassettare la mia casina tanto disordinata che potrei invece chiamarla "il mio casino".
Poi apro il frigo e di fronte a due birre, un limone e un cartone scaduto di panna da cucina vengo preso da scoramento...

...le 13:00...

pranzo a casa dai miei. Sabato gnocchi. Al ragù.
Le gatte s'inseguono per casa, correndo sui muri come nei cartoni animati. Quando a tavola apriamo il cartoccio del prosciutto l'inseguimento cessa di colpo. Vedo mia madre scrutare in giro con sospetto, afferrare il cartoccio e spostarlo di scatto a centro tavola. Un istante dopo appare la zampina di gatta Conchita che saggia la tovaglia dove prima stava l'incarto. Ladra maledetta. Una volta s'è mangiucchiata tutta la glassa che ricopriva una torta lasciata imprudentemente alla sua mercè.

...le 10:33...

in giro a vedere cucine. Oramai ho capito cosa mi piace. Ma quanto costano... Poi rapido salto alla casa nuova e accordi con l'artigiano per i tempi di consegna. Traslocherò davvero?

...le 9:05...

uh? ...ma oggi non è sabato?...

...le 19:30...

un utlimo sms.

Questa sera sto bene nel mio bozzolo.
Buona serata a tutti :-)

ieri/oggi

Ieri.

Ancora in ospedale.
Sono un po' stufo di questi "lavori in corso" sulla mia persona. Ma di certo non posso sottrarmici. Solo, il nonsense di questa circostanza per cui farmaci che servono ad uno scopo producono tali effetti collaterali, che a loro volta devono essere risolti con altri farmaci, o addirittura intervenendo chiurgicamente, beh permettetemi di dire che ha il sapore di una battuta di cattivo gusto.

Ora è il turno degli occhi. Anni di cortisone hanno opacizzato il coso, lì, il cristallino.
Voce dal fondo della sala: "cataratta?!"
No, dannazione. Leggi qui, sul referto dell'oculista. Vedi? C'è scritto o-pa-ciz-za-zio-ne.
"stessa cosa. cataratta!"
Già. Però suona decisamente meglio nell'altro modo.

Si può sfuggire la terminologia specialistica, ma la sostanza purtroppo rimane.

Basta bisturi, maledizione. Voglio stare bene.


Oggi.

Ufficio, poi in giro a veder cucine.
Sulla strada di casa noto l'insegna di una pizzeria e la mia salivazione ingrana allegramente la quarta. Fiocca la neve, fiocca bene. Pregusto la seratina al calduccio. Ma intanto, pizza. Parcheggio (incredibile) di fronte al posto e m'avvventuro nella tormenta. Questa sera m'aggrada una marinara. "Niente appuntamenti galanti stasera, eh?"esclama il simpatico pizzaiolo sminuzzando l'aglio. Lo guardo da sopra gli occhiali con uno sguardo che in un film di Tarantino equivarrebbe ad una rivoltellata in mezzo alla fronte.
Poi mi siedo a fianco ad un'altra cliente in attesa, e sfoglio un numero vecchio e stazzonato di Quattro Ruote (unica rivista disponibile oltre a Gente, già in mano alla donna) tanto per far passare il tempo.
A un certo punto il pizzaiolo richiama l'attenzione della signora seduta accanto a me, mostrandogli i cartoni delle sue pizze. La signora s'irrigidisce un po' e poi, dopo un attimo di esitazione, si alza di scatto dal seggiolino di plastica. D'istinto butto l'occhio, e cosa vedo? Là sul seggiolino, sul quale era stata seduta la signora fino a quel momento, c'è questa rivista scandalistico-piccante. L'occhio fa a mala pena in tempo a rilevare alcuni elementi generali (foto sgranate in bianco e nero, stile tipo volantino pubblicitario, tette) quando la donna afferra l'oggetto con nervosismo prossimo ad un attacco isterico, brandendolo davanti a sè con disgusto.
"Ecco qui!" esclama con tono di sfida, fronteggiandomi. "Ecco le donne nude! Se vuole le donne nude, eccole!!"
La guardo.
D'istinto (e di principio) sono una persona tollerante. Ma i bacchettoni professionisti come questa signora impettita e perfettina, con le sue scarpine luccicanti e la sua borsettina luccicante e i suoi occhilini immortalati da Gary Larson in mille vignette, col loro atteggiarsi a novelli Savonarola contro la morale degradata del millennio, beh, ottengono su di me il medesimo effetto che non danzandomi il flamenco sui testicoli.
Ora, io sono un maestro della risposta fulminante, sagace e corrosiva, a parte il fatto di trovarla di solito solo alcune ore dopo il momento del bisogno. Ma la gratuità di questa sceneggiata grida vendetta nelle mie orecchie, e non posso ignorarla.
Spalanco gli occhi sulla rivista tenuta con due dita (come una cosa immonda il cui solo contatto sia ripugnante), m'illumino in un sorriso pieno di un entusiasmo quasi infantile, e dico:
"Aaahhh! Eccoooo dov'era finita!"
Con mossa felina gliela prendo di mano e l'apro ad una pagina a caso, venendo sommerso da un mare di tette, per iniziare poi una serie di mormorii e grugniti di famelica ammirazione.
Dimenticando che pochi minuti prima non solo le avevo tenuta aperta la porta, ma che grazie a ciò aveva anche colto l'occasione di passarmi davanti al banco, la signora mi lancia un'occhiata pregna di significato ed emette un suono ben noto ai lettori di fumetti: "snort!!
La donna se ne va, e inserendo la mia marinara nel cartone il pizzaiolo dice:
"sei stato grande! la babbiona l'altra volta la rivista l'ha pure buttata nell'immondizia, che ho dovuto togliere tutto il pomodoro da una pagina! Ti meriti un premio, ti meriti!
Rido, un po' imbarazzato dall'entusiasmo del tipo. Mi offrirà la pizza, penso. Lui mi regala l'adesivo con sopra la sua foto mentre sforna una pizza.

atropina

Grazie all'atropina non vedo nulla, ma ora (e almeno finchè non durerà l'effetto delle gocce) avrò gli occhi come quelli di un gatto.

Che giornata, oggi. Ogni volta che controllo il calendario è sempre il 25 febbraio... mentre rincaso il cuore mi si gonfia a tal punto di ricordi che temo possa esplodere. Spengo, per una volta, l'autoradio, e lungo il tragitto cerco di convincermi che è tutta colpa dell'atropina.

auguri

(se mai leggerai queste parole...)
felice compleanno, cantantessa

ti auguro tanto miele e profumo di ginepro

un abbraccio

tuo
enrico

mapping the city

Ogni volta che penso di aver raggiunto la fine del vicolo mi si apre un nuovo scorcio di questa città nella nebbia. Ho compiuto tanta strada che non potrei ritornare sui miei passi, ma questa volta ne sono felice.
Davanti a me un bel parco. Prati, siepi, fiori profumati, alberi secolari. In piedi davanti alla cancellata aperta, mi lascio coprire dal benessere del sapere che qui c'è un po' di verde, qui c'è un po' di tranquillità e dolcezza.

Ho bisogno di abbandonarmi al sonno.

crudo-fontina

Giornata campale in ufficio, con una marea di robe da fare e il sistema che s'impalla sistematicamente... uno di questi giorni farò una capatina al ced, e mi porterò dietro una saldatrice e una robusta mazza da baseball in alluminio. Poi potranno dire di avere problemi ai server senza tema di smentite.

Piove. Piove e fa freddo. Oggi all'Iper l'Uomo Bottiglia, oltre a vari calicini di bianco, s'è concesso un grappino.

Alle cinque litigo con gli armadi, che ormai scoppiano di cartaccia, ma alla fine ho la meglio e mi catapulto fuori dal portone con tale entusiasmo che passo il bancomat invece del badge. Vedremo poi sull'estratto conto.

Poi mi tocca una brainstorming session con l'elettricista che sistemerà la mia casina. Discutiamo i punti luce, prese e linee telefoniche e, soprattutto, il preventivo. Ho un crampo al portafogli, ma alla fine riconosco che il prezzo è onesto.

Visita a casa dei miei. Mia madre è così gentile da aiutarmi con gli allacciamenti e le utenze, e ha pronti per me tot contratti da firmare. Le gatte s'azzuffano e chiedono da mangiare, ma non mi commuovono. Ognuna di loro pesa il doppio del mio nipotino.

Parcheggio davanti a casa, e all'atto di aprire la portiera rimango pietrificato. Una nube cipollosa mi avvolge in una morsa d'acciaio. La Chernobil in miniatura è a cinquanta metri da me, e ha foggia di un furgone di ristorazione ambulante blu parcheggiato all'angolo del viale della stazione. A distanza scorgo il gestore e chef rigirare cipolle e peperoni sulla piastra. Sulla fiancata si legge: "La Vera Piadina Romagnola". Ecco la mia cena (al diavolo il piatticino di pasta al sugo che avevo preventivato in origine per la serata). Le gambe mi si muovono da sole, a scatti quasi meccanici, da automa, e nella testa una voce tipo Robby-Robot da Il Pianeta Proibito continua a ripetere: "ciii-booo". E' tutto un logorìo di scrupoli, e alla fine vince la versione crudo-fontina.

Domani sarò più sociale (e socievole), per il momento mi gusto la mia serata divano-piadina-dvd. In programma un vecchio episodio di The Prisoner (il serial cult anni '60 con Patrick McGoohan) dal titolo "The Schizoid Man". Poi, nanna. Domattina vado a vedere delle cucine per la mia casina.

pitch-whiteblack

A Ferrara ancora non fiocca, nonostante voci di apocalittiche nevicate ci siano giunte in ufficio dagli avamposti della civiltà: Porotto e Francolino. Sul parabrezza però si spappolano queste gocce cicciose che fanno sperare bene. Guidare con la neve è un casino, ma per qualche ragione le distese innevate mi ringiovaniscono lo spirito.
Avrei bisogno di una bella battaglia a palle di neve. Scansare al volo proiettili bianchi come in un film di John Woo. Stordire il nemico con una gragnuola di nevischio. Rientrare a casa paonazzo e fradicio come un pulcino ma felice. Niente scuola. Cioccolata in tazza. Un western alla tv. "Every little thing she does is magic", l'ultimo hit dei Police, alla radio, e...
Riprendo coscienza mentre parcheggio; ho addosso un senso d'irrealtà che sembra uscito da una puntata di The Outer Limits. Nei dieci minuti d'auto che mi occorrono per rincasare dall'ufficio, ho viaggiato a ritroso per vent'anni. E a completare il quadro, da un angolo sbuca un ombrello che mi passa davanti ondeggiando, col proprietario che lo rincorre a distanza inciampando nella sua stessa sciarpa. Ombrello, proprietario e sciarpa spariscono oltre un altro angolo, attraversata la strada. Dopo questo, mi aspetto un coro di quaranta puffi che canta il Rigoletto nel parchetto davanti casa.
Qui ci vuole un bagno caldo.

headbanging night tonight

Excuse me.
I'll go bang my head on the typewriter now.

Be seing you.

...confusion...

Dammi, Grande Spirito,
il coraggio
per poter cambiare le cose che posso cambiare
la forza
per accettare quelle che posso solo accettare
e la saggezza
per riconoscere le une dalle altre.

...perchè io, come al solito, stò facendo un gran casino!

barcarolle

Mal di testa.
Ceno con un po' di purè e mi concedo cinque minuti di zapping, che diventano venti prima che riesca a riguadagnare controllo e ad oscurare il tubo catodico.

Perchè non resisto senza musica? Anche ora con questi spilli bastardi conficcati nell'occhio sinistro. Per rispetto a quella roba grigia che pulsa nella mia scatola cranica sostituisco i Mission con, sempre lui, Chopin.

Il piano di Zimmermann mi prende proprio come piace a me, steso sul divano con la cravatta allentata e il colletto aperto. Occhi chiusi. Una vibrazione alla base del collo. Pericolosa. Pericolosa. Così pericolosa che mi scopro ad accarezzare la tastierina del telefono.

Questi giorni che passano tutti uguali, questi pensieri che non sanno da che parte andare. Presto con fuoco. Le note si spegneranno nella notte, alla fine della ballata in fa.

E io? Dove sono, io?

22.22

Ventidue e ventidue.

Manca qualcosa. Mancano molte cose, a dire il vero, ma qualcuna più di altre. Controllo nel freezer le emozioni congelate la scorsa primavera. La data di scadenza è vicina. Andrà a finire che le conserverò fino a quando andranno a male, e mi farò venire una colica.

Ho fatto lo stesso con le seadas.

lost weekend

It took a lost weekend in a hotel in amsterdam
and double pneumonia in a single room
and the sickest joke was the price of the medicine
are you laughing at me now may i please laugh along with you
this morning i woke up from a deep unquiet sleep
with ashtray clothes and miss lonelyheart`s pen
with which i wrote for you a lovesong in tatoo
upon my palm `twas stolen from me when jesus took my hand
you see i i wouldn’t say it if i didn’t mean it
drop me and i`ll fall to pieces too easily
i was a king bee with a head full of attitude
wore my heart on my sleeve like a stained
my aim was to taboo you
could we meet in the marketplace
did i ever hey please did you wound my knees
you see i i wouldn’t say it if i didn’t mean it
drop me and i`ll fall to pieces
yes it`s too easy and there’s nobody else to blame
will i hang my head in a crying shame
there is nobody else to blame nobody else except my sweet self
again it took a lost weekend in a hotel in amsterdam
twenty four gone years to conclude in tears
that the sickest joke was the price of the medicine
are you laughing at me now
may i please laugh along
i was a king bee with a head full of attitude
and ashtray heart on my sleeve wounded knees
and my one love song was a tatoo upon my palm
you wrote upon me when you took my hand
you see i i wouldn’t say it if i didn’t mean it
drop me and i`ll fall to pieces too easily


Lost Weekend,

Lloyd Cole & The Commotions


tv dinner

Ieri serata tranquilla col mitico Magi.
Pappardelle al ragù di cinghiale quattro salti in padella, patatine Pringles, birra, coca, acqua minerale, ed enorme terrina di pop-corn fumanti davanti a un filmettino per "festeggiare" il nostro status-single.

Davanti alle pappardelle (direi che saremmo stati perfetti per uno spot pubblicitario: "Mmm! Bòne 'ste pappardelle!") progetti, progetti, progetti. L'entusiasmo per quello che facciamo e desideriamo fare è tale da allontanare San Valentino dai nostri pensieri. Posso rinunciare a tante cose, ma una cena assieme a un caro amico non ha prezzo.

mall-rats

All'inizio non volevo accettarlo, ma credo di appartenere anch'io alla nutrita schiera dei mall-rats. Purtroppo, pranzando tutti i giorni in un grande centro commerciale, un mall, appunto, non posso non definirmi un abitudinario. E Kevin Smith, regista del mitico "Clerks" (vocina fuoricampo: "trentasèttteee"), ha definito questa categoria di oziosi come "mall-rats", dedicandovi un film (deludente) che porta lo stesso nome. Topi da centro commerciale.

Il centro commerciale è un microcosmo dotato di logiche e leggi fisiche incomprensibili alla luce del sole. Entrandovi si viene ad essere sospesi in un non-tempo molto simile a quello creato ad arte nei casinò per irretire i giocatori e indurli a giocare più o meno per sempre (o finchè non finiscono i soldi). Luci artificiali, musica, spettacoli, offerte speciali, mostre d'arte (chiamiamola così), concorsi a premi. Immagino che, in questo caso, il fine sia indurre all'acquisto sfrenato.

Spesso lo status di mall-rat si manifesta con l'accentuarsi di certi sensi (vista, udito, olfatto), che permettono di predire con buona approsimazione cosa ci sarà nel menù del giorno prima di giungere al bancone, o indovinare quale tavolo si libererà per primo nell'area ristorazione.

Noi mall-rats impariamo a riconoscerci a vicenda con un'occhiata. La disonvoltura, la familiarità con cui ci si rivolge alla barista di Caldi Sapori (un nome che riesce a mediare in sè gastronomia ed erotismo) è un indizio pericoloso che taluni dissimulano. Anche conoscere i nomi di tutte le commesse del negozio Swatch è un segno preoccupante. Conoscerne anche i turni settimanali è la prova definitiva.

Forse, però, va fatto un distinguo. Ovvero tra semplici abitudinari per necessità (il caso mio, dei miei colleghi e, a quanto capisco, di molti altri il cui ufficio soffre dei medesimi problemi logistici), e i veri mall-rats, lo zoccolo duro, nulla (o poco) facenti, perdigiorno, pericolosi pensionati che guidano carrelli della spesa come auto sportive (ma questa è un'altra storia).

Gli abitudinari possono essere più o meno normali. Ce n'è uno che penso che per pettinarsi infili tutte le mattine le dita in una presa di corrente. Una sua collega pranza sistematicamente con un tè e piadina (abbinamento raccapricciante battuto solo da cappuccino e pasta alle cozze, da me visto cenando una sera al mitico Antonio's Flying Pizza). Uno, addirittura, passa tutto il suo tempo a guardare nel piatto degli altri, psicanalizzandoli e fantasticando su di loro... sì, quest'ultimo è proprio il più strano di tutti!

Ma i veri mall-rats... ahh... quelli sono poesia.

Il tizio da me battezzato l'Uomo Bottiglia, ad esempio. E' un basso e corpulento signore sulla sessantina il cui fisico ricorda un fiasco di Chianti (con l'impagliatura), e osservandolo bene viene da chiedersi se non ne condivida anche il grado alcolico. S'aggira in galleria con un vecchio e sbrindellato abito a scacchi due misure più stretto di quanto sarebbe prudente, le sigarette che sembrano voler schizzargli fuori dal taschino ad ogni respiro, il giornale infilato in una tasca della giacca e un sorriso rubicondo che suscita tenerezza e, perchè no?, invidia. L'aspetto sarà del derelitto, certo, ma ha l'aria felice (Se c'è qualcuno qui che può dire in tutta sincerità di essere felice alzi la mano. Mmm, come pensavo...).
L'attività preferita dell'Uomo Bottiglia è stare in fila al bar, possibilmente dietro a qualche bella ragazza, a cui sfodera il suo gioioso sorriso infantile. E la parte più commovente è proprio la sua tenacia nel sorridere, sebbene nessuno, e dico proprio nessuno, gli rivolga mai la parola, e la gente gli giri bene al largo.

Anche il Tossico è un soggetto simpatico. Ottenebrato da chissà quale sostanza psicotropa, segue caracollando traiettorie degne di un quadro di Escher (mi aspetto di vederlo presto camminare sui muri) nell'uniforme della categoria: jeans e parka sbiadito, e ben calcato sui capelli che sbucano come i serpenti di Medusa, berrettino giallo senape sporco di olio motore (avrà dormito sotto un'auto?). Lui colpisce per la fantasia delle scuse che adduce per spillarti denaro. Il suo martellante "c'hai n'euro" alla fine fa capitolare anche i più refrattari. Ad onor suo và detto che, una volta che t'ha estorto la fatidica moneta bimetallica, poi non t'importuna più per almeno tre settimane. Mi sembra un prezzo onesto.
Meraviglioso: una volta l'ho visto protendersi in uno spasmodico sforzo di memoria di fronte ad una locandina che pubblicizzava un'iniziativa benefica, ovvero una partita di calcio in cui una delle squadre contendenti era composta da magistrati. Mentre strizzava gli occhi sulla foto della squadra, faceva scorrere il dito sotto i volti dei giocatori dicendo: "lo conosco, no, no, no, lo conosco, no, sì..."

Le qualità umane si manifestano nei modi più inaspettati.

(Se quanto sopra vi è parso un inutile sciabordio di parole senza costrutto non posso darvi torto. Era solo per dire di aver scritto qualcosa il giorno di S.Valentino. Vi abbraccio.)

if only

L'arrivo del piccolo Gregorio ha gettato tutto il mio mondo nel caos. Ma finalmente stasera riprendo in mano le redini del mio tempo, e lo dedico al mio "secondo lavoro", se posso permettermi di chiamarlo così.

Mr. Ward è tornato al mittente, ma con commenti e suggerimenti intelligenti e puntuali. Quindi rimetterci mano è facile. Aggiungo un po' qui, limo un po' là, mi sembra che in quest'angolo qua ci voglia un altro cadavere... boh? mettiamolo, va, si fa poi sempre in tempo a togliere. Poi ho deciso che, già che ci sono, val la pena scrivere un intero trattamento. La lunghezza non mi ha mai spaventato molto. Anzi, spesso il problema è proprio di (mancata) sintesi.

Però, gente, sono esausto. Mi sembra di avere tanta energia, entusiasmo, ma sono esausto. E le "cose" s'assommano senza dare tregua. Intanto presto traslocherò. Beh, 'presto' è una parola grossa, ma comunque non manca molto. E di questo sono contento. In genere mi affeziono molto ai posti, e mi costa lasciarli. Ma dove sono ora è troppo saturo di... "presenze". Ogni oggetto, ogni mobile, ogni cornice appesa ai muri contiene fantasmi su cui mi pare di non avere alcun potere. Conto che questi fantasmi siano associati al luogo più che all'oggetto, e che una volta l'oggetto si trovi altrove decidano di abbandonarlo.

Poi c'è la storia di un'operazione agli occhi che ho rimandato troppo a lungo.

E in ufficio, avendo fatto il fatale errore di rendermi necessario per l'espletazione di determinati incarichi, se mi azzardo a chieder ferie mi guardano in cagnesco.

Sarebbe tutto dannatamente più facile se...

Greg!

Amici,

è con immenso piacere che annuncio l'arrivo del piccolo Gregorio.

Il pargolo, in anticipo di due mesi abbondanti sulla tabella di marcia, ha preso tutti alla sprovvista, con le braghe calate, le dita nella marmellata (o, chi preferisce, la nutella) e mia madre con i ferri da maglia a mezz'aria e la copertina di lana che stava facendo a metà.

Dopo i primi attimi di trambusto e, ovviamente, preoccupazione, le buone notizie non sono tardate. Mamma e piccino stanno bene, e questo posso dirlo a ragion veduta perché vengo ora dal reparto maternità e ho visto entrambi. La puerpera è un po' provata, ma il suo aspetto non è peggiore di quando me la trovavo davanti di prima mattina burbera e insonnolita in coda per il bagno. Stasera mi ha invece accolto col sorriso solare che può nascere solo sul volto di una mamma (quindi direi che il miglioramento è netto). Il frugoletto è un topino di un chilo e rotti, rosso come un peperone, ma già lì nell'incubatrice ha l'aria un po' snob di un intellettuale con un nome da Papa.

Ora, vorrei poter dire che tutto tornerà alla normalità. Ma, col sorriso sulle labbra, credo che non potrà farlo mai più. Ci siamo già rituffati tutti nella vita con un'energia maggiore, con un maggior entusiasmo (compresa mia madre che lavora a maglia più veloce di un telaio industriale).

Benvenuto, Gregorio. E' bello averti qui con tanto anticipo :-)

epistassi

Willett, Ward e Curwen sono fuori dalla mia giurisdizione ormai. Ovvero da quando ho acrobatizzato e spedito il soggetto che li conteneva. Bene.

E' strano riporre le proprie speranze in poche striminzite paginette. E sono così stanco... con tutto quello che mi stà vorticando attorno ho fatto una fatica del diavolo a finire (infatti l'ho fatto in ritardo mostruoso). Ho bisogno di un dieci giorni di "ferie estreme", da trascorrere per lo più dormendo, con brevi intervalli per il cibo e l'igene personale, al termine delle quali, al momento del risveglio, senti il corpo che ti canta una canzone invece di rivolgerti la solita pernacchia.

Il mio corpo deve essere contentissimo di questa idea... mi sta ringraziando proprio ora con una violenta emorragia al naso, di quelle che smettono solo legando stretto stretto un laccio emostatico attorno al collo. Visto che non ho il laccio, proverò a tamponare la falla, ma non so se i sei metri di garza che ho in casa basteranno.

...vabbè... 'notte.