insonnia

Giornata senza storia in ufficio, le solite menate (se mi passate il francesismo).
Piove una pioggia polverizzata che rende inutile l'ombrello. In pochi istanti gli occhiali diventano un caleidoscopio che moltiplica ogni luce per cento, per mille.
A volte credo nel Destino. Quando sento il suo soffio che sfiora ma sono abbastanza incoscente da ignorarlo, e quello si sceglie qualcun altro su cui infierire. Il dolore che proviamo quando chi ci è vicino soffre è fatto per tre parti di affetto e per una parte di senso di colpa per aver pensato che almeno questa volta non è toccato a noi.
Nel frattempo, fuori con Sal e Marce, la serata è stata un delirio di complotti internazionali, consigli per gli acquisti, sms selvaggi e birra.
Ora è tardi e dovrei proprio andare a letto. Ma sento il richiamo delle parole che non posso scrivere, e rimango qui a guardare il cursore che lampeggia dopo questa frase

back home

In casa mia ritrovo le piccole cose che ho lasciato partendo. E alla partenza non pensavo avessero tanta importanza.
Ricordi, come macchie sui muri. Non c'è una vite, in questo appartamento, che non mi risvegli qualcosa dentro ...e ci abito da tanto poco. Ma tant'è. Tutto nuovo, tutto vivido come un incubo.
Io, che vivo immerso nelle storie, abito nel libro che contiene la mia.
Se mi permettete una citazione colta, Sartre dice che la vita diventa avventura quando viene raccontata. Mi associo di cuore e col cuore. Ma non chiedetemi altro se non volete essere sommersi dalle parole. Verrà fuori un po' alla volta, ve lo prometto.

Sometimes I'm dreaming
where all the other people dance

mineralwasser

Tornato a casa. Scrivo sul fido Mac, finalmente!
Il viaggio è stato piuttosto faticoso. Alla fine sono rimasto sveglio per più di 32 ore!
Fred mi ha portato in aeroporto sotto un'acqua che Dio la mandava, e un traffico bestiale causa lavori sulla 59. Era un po' seccato perchè il giorno prima aveva preso una multa, ma appena l'ho fatto parlare di donne s'è rilassato.
Check-in in un lampo, ma al controllo di sicurezza mi hanno fatto togliere anche le scarpe da tennis.
"Ve la siete cercata" ho pensato appoggiandole sul vassoio che mi porgevano per il controllo, trattenendo innocentemente il respiro. Comunque è andato tutto bene. Il tizio ispanico col metal detector non ha fatto una piega, e io sono andato a farmi un panino prima dell'imbarco.
Devastanti le 5 ore d'attesa per la "coincidenza" a Francoforte. Non ci starebbe male un cinema in questi grossi aeroporti dove si rischia di aspettare giornate intere. Poi ho delle lamentele sulla ristorazione...
Al bar, il tizio prima di me ordina:
"Mineralwasser, bitte." E prontamente la cameriera appoggia sul banco una bottiglietta blu, che il tizio paga e porta via. M'avvicino assetato.
"May I have some water, please?" La cameriera mi guarda con aria interrogativa. Ripeto la richiesta.
"Sorry, sir. We don't keep it"
"You don't have mineral water?"
"No sir. Would you like some juice instead?"
"I thought I heard that guy asking for mineral water. Are you sure you don't have it?"
"Very much, sir. We don't keep mineral water. What would you like instead?"
In preda a estrema secchezza delle fauci, oltre che a spossatezza da viaggio intercontinentale, capitolo.
"Orange juice, please."
Con un sorriso smagliante la cameriera mi serve e mi saluta.
Ora, è anche vero che sono un tantinello sordo, ma proprio così rincoglionito dal viaggio (ancora) non ero. Meglio del Jonny English che avevano appena proiettato sul volo da Houston, pedino il tedescone baffuto con la bottiglietta blu e mi siedo di fianco a lui, proprio di fianco, rischiando pure di finirgli in braccio a causa di una manovra avventata con lo sgabello.
L'etichetta sulla bottiglia è chiara: mineralwasser.
Digrigno i denti. Non importa... tra poche ore sarò a casa.

HPL film festival

A Portland al H.P.Lovecraft Film Festival, qualche giorno fa.
Dite che ero nervoso? Ebbene, ero nervoso. Di nuovo negli USA dopo 8 anni di lontananza... e poi il mio inglese... ormai degenerato in un balbettio imbarazzante.
Alla dogana mi chiedono se ho con me cibo di qualche genere, carne, frutta o verdura. Io, con la miglior faccia tosta italiana, "dimentico" i 5 kg di Parmiggiano Reggiano (un presente originale, dovrete ammetterlo) che zavorrano le mie 2 (due!) valigie, sperando in cuor mio che non abbiano cani antidroga, perche' non saprei cosa ne verrebbe fuori, altrimenti. Perche' due valigie? Una brillante idea di mia madre: perche' portare una sola, enorme e pesantissima valigia, cosi' scomoda e difficile da trasportare, quando puoi portarne due e raddoppiare il peso?
Seguo le istruzioni di Andrew fuori dall'aeroporto e sulla Light Rail, scendo alla stazione designata e inizio la via crucis verso l'Econo Lodge sulla Broadway. Problema uno: dove c**** e' il f*****o Econo Lodge sulla Brodway e, per inciso, dove c**** e' la Broadway? Problema due: queste 2 (due!) valige del c**** non dovevano avere le ruote?
E' tutta una pioggia di santi mentre trascino l'equivalente del mio peso in biancheria e Parmiggiano in su e in giu per le strade di Portland, e minaccia pure di piovere. Per intenderci, non quella roba timida e umidiccia che chiamiamo pioggia in Italia. Siamo nel Northwest. Qui quando piove si rischia l'annegamento (le solite americanate!).
Miracolo (o disdetta, dipende dai punti di vista, devo aver preso la direzione sbagliata!): davanti a me si profila la sagoma surreale dell'Hollywood Theater. Gli avventori, tutti rigorosamente in nero, che affollano il marciapiede antistante mi confermano che sono proprio all'H.P.L.FF! Bene. L'albergo e' alle mie spalle. Two blocks away, se ricordo bene. Un altro paio di santi lasciano il loro posto tra le nubi mentre raggiungo la lobby e prendo possesso della mia camera.
Dopo l'orientamento spaziale devo risolvere il problema dell'orientamento temporale: l'orologio sul mio cellulare mi dice (giustamente) che e' l'una di notte (e che ormai sono in piedi da 21 ore), ma a Portland sono le 5 pomeridiane e il pensiero di dover resistere ancora almeno fino alle 9 mi getta temporaneamente nello sconforto.
L'Hollywood Theater (in restauro: volete contribuire? www.hollywoodtheater.org) ricorda una casa infestata: quale posto migliore per un festival dedicato al Maestro?
Entro e mi presento. Dopo qualche attimo di perplessita' scatta l'entusiasmo. "And you came all the way from Italy, right?" Manco l'avessi fatto a nuoto! Il boss del festival mi riempie di pubblicazioni, cd, magliette, foto autografate da Stuart Gordon. E infine mi mette al collo il pass personalizzato col logo del festival, il mio nome, il titolo del film e le parole magiche: Film Maker. Ventidue ore di viaggio (e due pasti a bordo di un volo Lufthansa!!) svaniscono in un attimo dopo che ho il pass. Come tutto cio' che e' legato a Lovecraft, deve avere qualche dote soprannaturale.
Mi ambiento e faccio conoscenza con diversi scoppiati piu' o meno locali. Bisogna fare sempre i conti col fatto che siamo in America. E' un piccolo festival, in fondo, ma non ho mai visto tanta gente appassionata di Lovecraft tutta insieme. Quando e' ora di iniziare le sale, tre, sono gremite. Mi accomodo in una poltroncina dell'Upper Left Screen assieme al mitico Graig e a suo zio, e la luce in sala si abbassa. Sullo schermo enorme la stanza di una casa evidentemente disabitata, nella luce calda del tramonto. Voce fuori campo: "Il posto delle cose non e' dove crediamo che sia..." Il pallone rompe la finestra, ecc. ecc., crediti, ecc. ecc.
Il pubblico risponde bene. Lo tengo d'occhio anche se e' difficile staccare lo sguardo dallo schermo... il film e' cosi' grande! E si notano particolari che sul televisore sfuggono inesorabilmente all'occhio.
Le immagini scorrono, la storia si dipana e il pubblico non molla. Arriva la scena del polso della violinista ed e' tutto un coro di "yeouch!". Siamo nel finale. Un pallone rompe di nuovo la finestra, il sole tramonta di nuovo. La porta sbatte chiusa e cade il buio. Bienvenue a la maison. Crediti.
E applauso. Scrosciante, appassionato. Quando dico che sopravvivo rincorrendo i miei sogni, mi riferisco a questo.
Io gongolo, aspettando in silenzio che il pubblico si alzi e se ne vada. Cosa che naturalmente non succede, perche' il programma dice chiaramente che dopo la proiezione ci sara' "Q&A with screenwriter". Mi frego le mani per l'anticipazione di questa chicca succosa. Poi Craig mi da di gomito e fa' un cenno con la testa... dimenticavo: sono io!
Il pubblico rimane in sala e, dopo che sono salito sul palco e sono stato presentato, iniziano le domande. Alcune scontate: quanto tempo ci ho messo a scrivere la sceneggiatura, quanto tempo sono durate le riprese, chi c**** e' la donna bendata, ecc. Poi iniziano le domande piu' interessanti. Tipo: Lovecraft usa raramente personaggi femminili, come mai avete deciso di inserirne addirittura tre in ruoli cosi' importanti? Wow! Oppure: da cosa e' stata dettata la scenta dei racconti da inserire nella storia? Qual e' stata la difficolta' maggiore nella stesura della sceneggiatura? Come hai scelto gli episodi da riportare nella sceneggiatura e quelli da escludere? E cosi' via e cosi' via.
Io, in piedi da 26 ore e cotto come uno strudel, rispondevo nel mio inglese quantomai "fantasioso" e "creativo".
E, per una delle poche volte nella mia vita, ero felice.

buone notizie

A giornata finita raramente mi fermo a considerare cio' che ha significato.
Sara' forse la stanchezza o il timore di scoprire che non ha significato proprio niente.
Oggi, per lo meno, le buone notizie: problemi zero sia per quanto riguarda la questione nefrologica che quella cartiologica. Sospiro di sollievo.
Posso fare tutto. Posso essere tutto.
Problema morale: devo proprio?

3

Oggi in clinica.
Devo farci stare tutto. Prelievi, visita del dott. Kahan, la prova da sforzo nucleare (di qualsiasi cosa si tratti... ho il terrore che sia un ECG mentre vado di corpo in un gabinetto radioattivo).
Cosi' imparo ad organizzarmi meglio.
Sfatiamo subito il mito dell'America super organizzata ed efficientista. Se vi viene il sangue alla testa ogniqualvolta avete a che fare con la burocrazia medica italiana, tenetevi lontani dal Texas Medical Center. Se la vostra salute non ve lo permette, un solo consiglio: fate la voce grossa... da subito!! Fate sapere loro chi e' che caccia la grana e, medici a parte, ha voce in capitolo.
In Italia saremo anche abituati a far di ogni necessita' una virtu', ma alla lunga cio' puo' portare dei benefici. Ad esempio riuscire a fare un banale prelievo del sangue a una ventina di pazienti in meno delle due ore e rotti che ci mettono questi phlebotomists del c****!
No, non ascoltatemi. Sono riconoscente a questi phlebotomists del c****. E non solo a loro. Gli ingranaggi saranno un po' ferragginosi, ma in fondo il meccanismo funziona. Le persone vengono curate, o, con una parola troppo compromettente per essere pronunciata ad alta voce, "guarite". E diffidate delle statistiche. Il luogo comune che si puo' far dire loro cio' che si vuole e' vero, verissimo. Cardiologi e cardiochirurghi italiani (o una buona parte di loro) hanno un bel sbandierare di cifre che la "loro" mortalita' post-intervento e' inferiore a quella statunitense. Solo omettono un particolare imbarazzante. Che "loro" i pazienti difficili non li operano.

...come non detto

Un nome/un motivo.
Perche' The Breakfast Club?
Domanda: qualcuno di voi ha visto il film?
Sono certo che tutti (tutti!!) appena hanno letto le parole "The Breakfast Club" sono stati colti da un fortissimo deja-vu, udendo senza preavviso la voce suadente di Jim Kerr che intonava l'accattivante ritornello di "Don't You (Forget About Me)". Bei tempi. Tempi di Tecno-Pop, guerra superfredda (modello pinguino delonghi), Stallone e' al suo meglio, Michael Jackson in "Thriller", con invidiabile sagacia profetica, diventa uno zombie, tempi di Uccelli di Rovo, A-Team, Live Aid. E Simple Minds che, appunto, cantano l'indimenticabile "Don't You".
D'accordo.
Ma il film? Il film, l'avete visto?
Plausibile risposta: no.
Beh, che aspettate? Andatevelo a vedere, no?!
Pero' vi posso anticipare questo. Che le chiavi di lettura possono essere diverse, e che una di queste e' che ognuno di noi porta in se' gli altri, e che gli altri hanno in loro una parte di noi.
"Will you recognize me?
Call my name or walk on by?
Rain keeps falling, rain keeps falling
down, down, down, down..."

start

Qui a Houston sono le 10 di sera.
Fuori dalla finestra del Marriott Medical Center Hotel posso vedere, quel tanto che le torri del St. Luke's Episcopal Hospital e del Texas Children's Hospital mi permettono, a sud. Una spianata di luci bianche, gialle o rosse che si estende fino all'orizzonte (sono al 22o piano).
In testa mi ronzano le parole di una canzone degli U2: "...and oustide is America."
La' fuori c'e' l'America. Il caldo umido del Texas sta cedendo all'autunno. La TV ronza in sottofondo spot pubblicitari alieni, interrotti a tratti da qualche sporadica sequenza di un film con Eddy Murphy.
Gli U2 cedono il posto a Paul Simon: "...all gone to look for America."
Tutto e' ancora piu' grande di come lo ricordavo. L'Astrodome, addirittura, sembra una casupola alluvionata, in confronto allo stadio colossale che gli hanno costruito a fianco. Cantieri sorgono ovunque, e di giorno e' tutto un formicolare di omini tarchiati e olivastri con gli utensili alla cintura e l'elmetto in testa. Palazzi cristallini come fontane sorgono dove ricordavo prati. Sulla Holcombe un complesso di appartamenti, in mia assenza, ha fatto in tempo ad essere costruito, abitato, abbandonato e a diventare pure fatiscente! In America anche il tempo e' piu' veloce.
Non mi spiego, allora, le facce annoiate...
Rimangono familiari i bumper stikers, che non si trovano da nessun'altra parte. Mentre guidi t'incanti a leggerli, rischiando di sbagliare strada per inseguire il tizio con la Mercury grigio-topo ammaccattuccia e rugginosa, la targa pendula dal paraurti, e la scritta: "Careful, driver just doesn't give a shit anymore!"
Il piu' bello: "God Bless America... and please hurry!"