happy happy new year

Fuochi d'artificio fuori dalle finestre. Anni fa a Roma, allo scoccare della mezzanotte sembrò improvvisamente di essere finiti nel mezzo di una battaglia in Bosnia. Questo scoppiettio ferrarese e vagamente molesto ricorda più i pop-corn dentro un forno a microonde. Do ut des, suppongo. La minor vivacità dell'evento è compensata dal non essere sottoposti al rischio di essere colpiti da un "mortaretto" delle dimensioni di un vettore Saturno ("Houston, we have a problem...").

Beh, eccoci qui per un altro capodanno...
Ora di tirare somme, mettere puntini sulle i, chiudere capitoli, archiviare faldoni. Discorrendo con un amico sono saltate fuori un paio di cose interessanti, di cui vorrei farvi parte. Oddìo, niente di universale. Tutt'altro. Pure, nella nostra ingenua umanità, anche le piume hanno il loro peso.

Dunque ecco qui. La prima è una timida conferma alla discussa teoria che il denaro non faccia la felicità. E infatti lo scorso anno, in questo stesso periodo, pur essendo il mio conticino corrente in un "profondo rosso" di darioargentiana memoria io ero l'Uomo Più Felice Della Terra. Quest'anno, pur continuando ad essere un conticino, è discretamente in attivo, eppure la cosa non rende meno angosciante il vuoto che porto nel cuore.

La seconda è un'umile considerazione sull'oggetto dei festeggiamenti. Domanda: cosa festeggiate? Che sia finito il 2003 o che stia iniziando il 2004? Io, personalmente, non mi sento di festeggiare alcunchè, ma piuttosto prendo atto. Stappiamo lo spumante e prendiamo atto, l'anno finisce. Alziamo i calici, ma facciamolo ogni giorno della nostra vita, perchè ogni giorno qualcosa inzia e ogni giorno qualcosa finisce. E non importa che sia il 1° gennaio, il 25 febbraio, l'11 maggio, il 1° giugno, il 30 settembre o il 28 novembre. Ogni giorno ha 365 altri giorni alle spalle e 365 di fronte. Io non mi sento di festeggiare alcunchè, ma se proprio dovessi, festeggerei la fine di questo strano, meraviglioso e terribile 2003 (che vorrei poter mettere dentro a una bottiglia da portar sù di tanto in tanto dalla cantina, e berne un breve sorso dolceamaro in un brindisi agli amici assenti, gli amori perduti, i vecchi dei e la stagione delle nebbie), piuttosto che un 2004 di cui ho più da temere che da rallegrarmi.

Come avevo anticipato, niente di universale.

C'è chi festeggia e chi no. A scanso di equivoci auguro a tutti voi un anno che sappia superare le vostre migliori aspettative. Vi abbraccio.

giù

Il "Pozzo Gravitazionale" era un grosso imbuto blu in cima a una bassa colonnina dello stesso colore, nel corridoio principale del museo di scienze naturali a Houston, appena prima del gift shop. Una targhetta spiegava genericamente in inglese e spagnolo il meccanismo della gravità, e invitava ad osservarla all'opera semplicemente infilando un decino nell'apposita fessura.
Io e mio padre ci scambiammo uno sguardo e subito misi mano in tasca alla ricerca del decino. Questo, una volta inserito dove richiesto, scivolò nell'imbuto e iniziò una lunga e incredibilmente lenta spirale verso il centro di quest'ultimo. Osservammo la monetina rotolare quasi al rallentatore e scendere giù, giù, giù, finchè dopo un'attesa sorprendente sparì nel foro al centro con un tintinnio, atterrando evidentemente sopra tanti altri decini.
"Mmm..." disse mio padre.
"Non male, eh?" gli risposi, affascinato dall'esperimento.
E lui: "Potremmo metterne uno davanti casa."

C'è un altro pozzo gravitazionale, che esercita la sua influenza sui miei pensieri, le mie emozioni, attirandoli inesorabile verso il suo centro. Tutto questo blog, o quasi, ne ha pagato il prezzo. Esempio: lo zucchero Beghin Say, che avrebbe ben potuto, anzi dovuto riportarmi alla memoria i (seppur pessimi) ricordi di quando ero interinale presso Eridania, e invece catturato dall'attrazione gravitazionale di quel primo weekend a Villasimius. O le canzoni, una fra tante China di Tori Amos, che a rigor di logica avrebbe dovuto ricordarmi le lunghe passeggiate col walkman lungo il bayou, dieci anni fa, unto come una catena da bicicletta di creme solari protettive, e invece precipitata nel doloroso significato di una telefonata: "I can feel the distance getting close".
Corpo celeste o anomalia spaziale (alla Star Trek) che sia ad avermi catturato durante le mie peregrinazioni "through inner and outer space", per potermene andare da qui devo vincere un'attrazione di una violenza straordinaria. Oppure chissà, forse sono davvero condannato a rimanere per sempre naufrago sul pianeta proibito. Mi secca ammetterlo, ma il naufragar m'è dolce in questo mare...

morfina

Inosservato, da alcuni giorni lotto per uscire dalle macerie. E' molto pericoloso aggirarsi tra i ruderi pericolanti e, lo ammetto, in quest'occasione sono stato veramente avventato. Comunque nella mia lotta sono molto discreto. M'allontano sempre, quando sento di essere in crisi. Mi "rintano". Nascondo. Dissimulo. Sono un mago, in questa tecnica di mimetismo. Forse grazie anche ad un certo equivoco sull'umorismo, che di norma la gente non considera finchè non glielo si sbatte sul naso. Io stesso ho avuto bisogno dell'ammissione esplicita di qualcun altro con più acume (e fegato) di me, per vedere che il re era nudo.

Visto che non c'è antibiotico, prendiamoci almeno l'aspirina.

O un aulin.

Codeina, morfina.

Una volta, che stavo veramente male, mi sono meritato una bella siringata di morfina. Ho fatto in tempo a vedere con la coda dell'occhio la mano dell'infermiere e la siringa col mio nome su, e un istante dopo venivo avvolto, anzi venivo immerso in una pozza calda, amniotica, di rilassatezza. Un'oscurità profonda mi ha separato dalla sofferenza come per una strana elettrolisi emotiva, e poco dopo sono caduto in un sonno di cui ricordo solo il risveglio.

Ecco. In questo momento vorrei potesse accadere lo stesso sortilegio.

Ma non solo so che non accadrà, ma so che anche così conciato, dolorante, claudicante, escoriato, tornerò presto a sfidare la sorte tra le rovine della mia cattedrale.

Lo sto facendo in questo preciso momento.

I say I say I say

Anyone here had a go at themselves
for a laugh? Anyone opened their wrists
with a blade in the bath? Those in the dark
at the back, listen hard. Those at the front
in the know, those of us who have, hands up,
let's show that inch of lacerated skin
between the forearm and the fist. Let's tell it
like it is: strong drink, a crimson tidemark
round the tub, a yard of lint, white towels
washed a dozen times, still pink. Tough luck.
A passion then for watches, bangles, cuffs.
A likely story: you were lashed by brambles
picking berries from the woods. Come clean, come good,
repeat with me the punch line 'just like blood'
when those at the back rush forward to say
how a little love goes a long long long way.


The Dead Sea Poems,
Simon Armitage

addio pizzetto

Chiunque oggi, avendomi visto un tantino piccato, mi avesse chiesto tanto per fare conversazione dove diavolo fosse il mio adorato pizzetto, si sarebbe sentito rispondere un po' bruscamente: "nel lavandino".
Un consiglio: se la vostra rasatura richiede particolari attenzioni, aspettate sempre di essere ben svegli e vigili, prima di procedere. La sonnolenza può essere casa di spiacevoli incidenti anche lontano dalle strade.

fade to black

Lido Spina / esterno / giorno
Un'estate qualsiasi. Nel caldo afoso giochiamo al gioco dei portafogli. Un gioco facile. Ci si toglie il portafoglio di tasca e si pesca nel suo interno, alla ricerca di qualcosa di soprendente. Raramente si rimane delusi, soprattutto se è passato un po' di tempo dall'ultima volta che lo si è fatto. Il portafogli di un uomo è un po' l'equivalente in formato tascabile della borsetta femminile. Ci si rintanano le cose più singolari. Un amico conserva nel suo portafogli ben quattro blocchetti di buoni pasto, che sostituisce con nuovi carnet man mano che esauriscono. Un'altro vi conserva come una reliquia lo scontrino fiscale emesso in occasione del suo primo acquisto di una scatola di profilattici. Un'altro ancora - in una bustina trasparente come quella che nei telefilm usano per raccogliere reperti sulla scena di un delitto -, un ricciolino di peli pubici della sua ragazza. Comunque...
Ritorniamo a Lido Spina / esterno / giorno.
Assorto nella lettura del romanzo di turno, non noto il progredire di una mano al gioco del portafogli e il borseggio del mio zainetto, che di fatto mi rende un concorrente involontario. Con l'orecchio buono, però, mantengo un blando controllo della situazione. Di solito si inizia con i documenti d'identità, soprattutto se dotati di foto. Percepisco alcuni lazzi al mio indirizzo (devono aver trovato la patente), ma non mi scompongo. Poi uno della ghenga estrae la fotografia di Cesare, e subito mi lancia un'occhiata strana.
"E questo?" cantilena con aria allusiva.
"Un mio amico."
"E come mai stà qui?"
"E' morto."
Con aria colpevole ripone la fotografica dove l'ha trovata, ma non riesce a trattenere la battuta (e gliene sono grato).
"Spero di non finire mai nel tuo portafogli." Sorrido.
Lo spero anch'io, amico mio. Lo spero anch'io.

Ferrara, chiesa di S. Benedetto / esterno / sera
Inverno. Più che mai. Stamane, andando in ufficio, ho imprudentemente azionato lo spruzzino, creando una patina di gelo sul parabrezza che mi ha costretto a fermarmi e attenderne lo scioglimento. Cerco di far mente locale, ma non mi riesce di pensare a un 23 dicembre in cui non abbia fatto un freddo cane. Mentre mi avvicino al portale ripenso al 23 dicembre che ha dato inizio a tutto questo gelo.

Flashback: 23 dicembre 1991.
Cammino sotto le luminarie, nel centro gremito di Ferrara. Ma "gremito" è una piccola parola. Più che una folla sembra un esodo biblico. Fra due giorni è Natale, che diavolo! E' ora di comprare! E compro anch'io. Anzi (ellissi), ho già comprato. E carico di pacchetti e bustine colorate m'avvio verso casa con un cuore felice ingiustificato. Sono in dialisi da due settimane, non ho molte ragioni per essere felice. C'è solo questa cosa strana, che avvolge e spreme la mia emotività fuori dagli occhi. Sì, il Natale. E il calore, che posso già percepire a due giorni di distanza, della famiglia che si stringe attorno al suo "infermo". Ho un regalo per tutti, grande o piccolo. Per tutti. A casa c'è l'albero. Il presepe, addirittura, dopo alcuni anni di assenza. Gatta Miciona che si struscia sulle mie caviglie, e mi dà i "bacini" sul naso quando la prendo in braccio. Quanto amore sospeso lì a mezz'aria. Quanta serenità. Troppa serenità.
Infatti è tutto inghiottito dal silenzio di una telefonata.
Natale fra due giorni. Ventitrè anni per sempre.

Sambe - cappella laterale / interno / sera
Il sacerdote celebra la funzione e io lo ignoro completamente, la mente intenta ad esplorare, come tutti gli anni, dentro di me alla ricerca di quel che di Cesare è rimasto. E' una ricerca facile, un ritrovamento affettuoso, come estrarre uno dei miei libri preferiti dal mucchio anonimo sullo scaffale. So benissimo che è lì, appena sotto la superfice, ma ritrovarlo è una gioia struggente.
Quest'anno però fa più male del solito. La messa in sè non mi è mai stata di conforto, ma il vedere riuniti lì gli amici in qualche modo placava un po' il senso di perdita. Quest'anno siamo in tre. Più una "presenza per delega".
Lo so, maledizione. Lo so. Se fossi impossibilitato a intervenire, il mio cuore sarebbe comunque qui, in questa cappella un po' freddina e piena di gente che vi si trova solo perchè ha voglia di prendere messa alle sei del pomeriggio, e per caso oggi è il 23 dicembre. Gente che Cesare non sa neanche com'è fatto, che non l'ha mai sentito cantare Bennato o i Gang, o visto giocare a tennis o a calcio nel campetto fangoso di Sambe o "a Ragio", ormai millenni or sono. So anche che chi oggi non è qui col corpo lo è con lo spirito. Assolutamente. Ne sono più che certo.
Eppure non riesco a non chiedermi: "dove sono tutti?"
Dissolvenza in chiusura...

facendo il verso a Caproni

Seduto al tavolo dell’Autogril
leggendo Caproni davanti a un
piatto di riso, all’improvviso
alzo gli occhi dal libro:
mi scopro indeciso
sul fatto fin ora ben chiaro:
sarà poi vero? m’appartiene?
la solitudine, intendo,
oppure le appartengo?
E in attesa d’un faro
bivacco.

Den

Un attimo di tregua dalla depressione pre-natalizia. Bene.
Sono qui davanti al Mac, col mio tazzone fumante di caffè all'americana, incline a ripescare dall'inondazione di ricordi del fine settimana qualcosa che valga veramente la pena (ah, come se vi fosse qualcos'altro che invece no!).
Attorno a me l'impianto pro-logic diffonde il morbido "Love Theme" di Vangelis... Blade Runner OST all'ennesima potenza suggestiva. In questo preciso istante attacca la prima strofa di "One More Kiss, Dear".

One more kiss, dear
one more sigh
only this dear
it's goodbye...


Abbasso un po' il volume per evitare lo sfratto. Ma...
...anno memorabile, il 1982.
Quattordici anni. Ricordo che pensavo quanto sarebbe stato bello ballare questa canzone stretto stretto con una certa ragazza, che però in materia aveva teorie che non prevedevano la mia presenza. Ricordo anche un'agghiacciante festa di carnevale vestito da ufficiale di marina, che trascorsi in perpetua fuga da una cicciona mercenaria con un debole per gli uomini in uniforme.
No, pesce piccolo... ributto in acqua.
Questa musica mi riporta un po' dell'entusiasmo per Blade Runner, tratto dalle pagine di quel P.K. Dick di cui a quella tenera età avevo già letto tanto (senza capirci un emerito fallo, intendiamoci, la "ragione" era di là da venire). Le pagine ritagliate da TV Sorrisi & Canzoni, comprato per l'occasione (tappandomi il naso... ma esiste un giornale più scemo?) dello speciale sull'uscita del film. L'immediata venerazione per il replicante Rutger Hauer, l'empatia per il piccolo uomo Harrison Ford sballottato dagli eventi. Lo sconcerto di primo acchito per il finale (ma come... non l'ammazza?). E l'orgasmo del famoso monologo della morte... "io ho visto cose che voi umani..."
Questo abbocca come una triglia... pluf! in acqua! sarà per un'altra volta.
Cambiamo disco. Cerco tra dune di polvere sui miei scaffali. Rigiro tra le dita Concert In Central Park, ma poi la vibrazione arriva dagli E.L.O. e il loro album "spaziale" Time. Non ho tempo per i prologhi, salto due canzoni e passo direttamente al piano struggente di Ticket To The Moon.

Remember the good old 1980's
when things were so uncomplicated
I wish I could go back there again
and everything could be the same

Diavolo. Potrei aver scritto io questa strofa una settimana fa. Invece l'ha scritta Jeff Lynn nell'81. Comunque non è dove stavo andando. Erase/Rewind. Torniamo al "Prologue", che prima avevo saltato.

Just on the border
of your waking mind
there lies
another time
where darkness and light
are one
and as you tread the halls of sanity
you feel so glad to be
unable to go beyond

Non mi ero mai reso conto di poter trovare Lovecraft anche nei testi degli Electric Light Orchestra... all'epoca sapevo un'acca pure d'inglese e l'importante era la musica, le facili melodie di Lynn (quasi ipnotiche), e lo stretto legame che sembrava trovare con la fantascienza di cui ero imbevuto peggio di un savoiardo.
Devo fare una confessione: a quel tempo gli amici che frequentavo ed io eravamo grezzi come delle ruspe. E infatti per alcuni di loro la massima aspirazione nella vita era, con sorprendente coerenza, quella di poter guidare un escavatore Bobcat. Ad onor del vero devo dire che questa caratteristica / qualità / difetto (cancellare la voce che non interessa) è ontologica nel ferrarese per nascita, e non mi sento di attribuire delle responsabilità. Però, nonostante la nostra proverbiale grezzuria, riuscivamo comunque a distinguerci nella stucchevole marmellata culturale degli anni '80. Tra coca e patatine al Mikey's Fast Food (MacDonald's sarebbe arrivato quasi vent'anni dopo), e le interminabili "vasche" domenicali (voce del verbo ferrarese transitivo "fare una vasca": compiere a piedi, in senso orario o antiorario, il tragitto quadrilaterale corso Martiri, corso Giovecca, via Bersaglieri del Po, piazza Trento Trieste. Il numerale "una", nella formula "fare 'una' vasca", è evidentemente ironico, in quanto di norma si può smettere solo dopo n giri, in cui n è uguale al quadrato della logorrea di chi ci accompagna moltiplicato per 3,14), insomma tra tutte le cose che ci accomunavano al volgo, ce n'era una che invece metteva negli occhi di un nostro eventuale coetaneo interlocutore una luce di curiosità e ammirazione. I fumetti. Mentre tutti i pecoroni si sciroppavano i soliti Tex e Zagor, o al limite uomini in imbarazzanti calzamaglie che si esprimevano come minorati facendosi poi chiamare supereroi, noi divoravamo le magnifiche tavole di Moebius o Corben o Breccia (ah, Mort Cinder, quanta nostalgia! da quale bara starai ora uscendo?).
Il nostro preferito, ovviamente, era Den di Richard Corben. E come avrebbe potuto essere altrimenti, con quelle meravigliose tavole pittoriche, quei colori così suggestivi, quei mondi così alieni e meravigliosi, quelle fanciulle così procaci che non portavano addosso nemmeno una foglia di fico? Lo stesso eroe, Den, appunto, che se ne andava in giro con il nerboruto carotone al vento come una banderuola in uno stato di perenne semi-erezione, e riusciva pure ad usarlo una tavola sì e una no, divenne oggetto di illimitata ammirazione e invidia. Ma il bruciante desiderio di emulazione era destinato a soccombere alle mille difficoltà, prima fra tutte la fauna ferrarese (tipico esempio: "vieni a balàre, carina?" "no, sinò sudo come una maialah" Oppure: "ciao, come ti chiami?" "Che casso votto!" quest'ultima di manifesta provenienza rodigina). Gli eccessi "virili" dovevano così necessariamente (e tristemente) essere sfogati attraverso canali alternativi, il più efficace dei quali si rivelò essere il videogame. Solo al "più dotato" era concesso lasciare come firma tra i punteggi elevati le tre lettere magiche: DEN

DEN 14.453 pts
DEN 14.202 pts
DEN 13.522 pts
ENR 228 pts

Intere paghette settimanali si riversavano nelle fessure che recavano la provocante dicitura "insert coin" (che, tra parentesi, manco sapevamo cosa volesse dire, e attribuivamo a interessi economici della famosa catena di grandi magazzini, chiusa parentesi).
Un giorno il dramma. Torniamo dopo settimane d'assenza alla ricerca del tal videogioco nel tal bar di quartiere. Ci avviciniamo sbavando all'oggetto del desiderio, con le tasche piene di monete da duecento lire. Ci affacciamo ansimanti al monitor e, orrore!, i primi tre punteggi della graduatoria High Scores superano i centomila punti, e, massimo sberleffo, l'artefice dell'affronto si è firmato DEN.
"Qualcuno di voi bastardi è venuto qui ad allenarsi senza dire niente?" nel gruppo serpeggia un po' di nervosismo, ma sappiamo reggere tutti lo sguardo del campione defraudato del titolo.
Mentre discutiamo a mezza voce dell'evento, un bambino sui nove anni ci passa tra le gambe e si mette a guardare il monitor come ipnotizzato.
Con parole che non sospettavamo conoscesse, l'ex campione si esprime sull'accaduto: "sai cos'è? Questo si chiama furto di notorietà! Altrochè!"
Il bambino intanto si è distaccato dal videogioco e si avvicina al bancone del bar.
"Papà, mi dai 200 lire?" dice al barista.
"...siccome sa che DEN è il nome di uno che ci sa fare, e che puoi trovare in tutti gli high score di tutti i videogame..."
"Adesso basta, Denis. Fai giocare anche i ragazzi."
"..."

indietro indietro

La mia automobile è una capsula del tempo.
Ho questa sensazione quando mi muovo di notte, con l'autoradio accesa che esclude i rumori della strada. Le luci di altre macchine mi girano attorno, mi superano, mi sfiorano silenziose e irreali galleggiando nella nebbia del weekend. La linearità è perduta. Sono sospeso nel nulla senza tempo che la musica crea nei miei ricordi. Questo è l'inverno, quello che li contiene tutti.

Tori Amos, A Sorta Fairytale - inverno '02
Bel Canto, Spiderdust - inverno '93
David Sylvian, Nostalgia - inverno '85
Shivaree, Goodnight Moon - inverno 2000
Sting, Mad About You - inverno '89
Echo & the Bunnymen, The Killing Moon - inverno '87
Tori Amos, Winter - inverno '94
The Cure, Friday I'm In Love - inverno '99
Depeche Mode, In Your Room - inverno '96

Non è l'autoradio. Non da sola, non potrebbe. E' un alchimia difficile, i cui ingredienti non sono sempre a disposizione. Ma quando li trovo li pesto insieme nel mortaio della notte, ne spargo la polvere sul cofano e il cruscotto.
Il volante, il cambio, le curve, i semafori. "Vivo in controtempo, sospeso". Questo limbo è quanto più si avvicini alla serenità che rincorro, anche così, vessato dai ricordi degli amori, dei lutti, le speranze, gli abissi. Li spazzo via dalla mia vista come la pioggianebbia col tergicristalli, basta una lieve pressione sulla pulsantiera della radio, Ma in realtà non faccio che sostituirli, alternarli, senza di loro non potrei fluttuare come faccio, tra il bruciore di un bacio non dato in quel palco a teatro, il sorprendermi colpevolmente lontano da dove sarei stato necessario, l'esaltazione di un ritorno a casa con un nome di donna che non abbandona le labbra, il dolore spezzarespiro di un ultimo check-in, un ultimo imbarco, un ultimo atterraggio.
Poi arrivo a destinazione, parcheggio, spengo il motore. La musica la spengo per ultima, ossequioso quanto il necromante verso i suoi demoni.
Il mattino dopo le parole delle canzoni non sono cambiate. Evidentemente è la notte l'ingrediente fondamentale.

i gatti

Rovistando tra i libri e le "sudate carte" mi sono imbattuto in un poeta che non ho mai capito bene, Antonio Porta. Nella raccolta che posseggo avevo tenuto il segno piegando l'angolino di una pagina. Risale a tempi non sospetti, a quando ancora ero ben lontano persino dal sospettare l'esistenza della mia cantantessa. Eppure c'è tanto di profetico in quel triangolino di carta che punta verso il centro del foglio. Quando trovo una parte di me nelle parole di un altro, rimango sempre così interdetto...

I GATTI

Da un'altra stanza mi chiedi
che cosa fanno i gatti,
un minuto fa urlavano per l'amore
ora tacciono nel gelo che ci invade.

Ora stai già dormendo, io veglio,
in attesa di voci dentro e fuori
vivo in controtempo, sospeso.


A. Porta
8.1.87

buio e silenzio

Sempre meglio e sempre peggio.
Stasera prendo direttamente la direzione del letto, e buonanotte ai suonatori. Lascio i piatti nel secchiaio, la biancheria nel catino sulla lavatrice, il film dentro il televisore. E le parole a galleggiare nell'inchiostro della stilografica, i sogni a sciogliersi come ghiaccio nel Contreau, il sonno a frantumarsi tra gli ingranaggi della sveglia. L'alba giungerà all'esatta scadenza, e io desidero solo oscurità.

varie ed eventuali

Weekend abbastanza tranquillo, e mi fa piacere continui il lunedì. Sono diventato un po' insofferente verso il mio lavoro, e questo mi preoccupa. Comunque un giorno in più di non-riposo fa bene (all'anima se non al corpo).
Venerdì sera mi è venuta a trovare P. che in questi giorni era a Ferrara per raccogliere materiale per una sua ricerca. Dovevamo cenare insieme (io dovevo fare quella carbonara che se siamo in due mi viene strabene, se siamo in cinque è 'na schifezz) ma alla fine si è liberata solo alle 11, e da quell'ora abbiamo parlato fino quasi alle 3. Non è infrequente, quando si tratta di P. fare le due anche se arriva alle nove. I nostri "dialoghi" sono un delirio di riferimenti letterari, artistici, musicali, filosofici (da parte sua), cinematografici (da parte mia) in ordine sparso e una continua apertura di parentesi dentro parentesi dentro parentesi, per poi perdere il filo che si stava seguendo. Ci divertiamo un mondo. Anche se stavolta era un po' giu, per via di alcuni problemi in famiglia, quando il tono s'è alleggerito siamo decollati e riguadagnare il suolo è stato faticoso.

Sabato in relax. Ho rimesso mano a vecchi progetti che avevo in sospeso, leggendoli con quel distacco ottenibile solo mettendo alcuni mesi tra la scrittura e la rilettura. E' un guaio non scrivere abbastanza in fretta da consumare in un'unica esplosione creativa le proprie idee. Queste si accavallano, si aggrovigliano, e va a finire che il materiale ristagna, che nuove idee (apparentemente) più appetibili cancellano anche il ricordo degli altri progetti in corso. Sto imparando la disciplina, però, e questi problemi sono meno gravi un paio di anni fa. Il vantaggio, poi, di aver tanto al fuoco è che quando hai finito di cucinare ci puoi sfamare un esercito.

Questa sera castagnata. E' ovvio che le mie castagnate non abbiano grande successo. Due settimane fa eravamo solo in tre, questa sera, invece, eravamo solo in tre. Ma gli assenti si sono persi, oltre a ottime caldarroste, biscotti caserecci e brazadèla (ciambella ferrarese) da intingersi a piacere nel vin novello o nella Cagnina romagnola. Vista l'affluenza, passerà un pezzo prima che ne organizzi un'altra.

Non è ancora finito, ma pare che abbia veramente trascorso uno dei miei primi weekend decenti in molti mesi. Che ci sia speranza?

hide and seek

Bidonato per il poker del giovedì, alla fine sono uscito con alcuni amici che non vedevo da tempo (il tempo, il tempo!). E naturalmente, tra una birra e un panino, si sono toccati tutti gl'infiniti argomenti delle uscite tra uomini, e che si possono tranquillamente sintetizzare nella parola "gnocca". Gira e rigira, non è che si vada poi così lontano.
Un tempo ero un fervente oratore, durante questi pittoreschi consessi. Ora mi tengo in disparte, un po' intimorito (e preoccupato) dal disinteresse che improvvisamente è calato su di me. Vivo in uno stato di separazione dall'anima (anche se "vivere" è una parola grossa), e ho mandato gli ormoni in campeggio. In teoria dovrei galleggiare in uno stato di pace primordiale uterina invidiabile. Invece gli unici momenti in cui sento un guizzo di ciò che, con molto ottimismo, si potrebbe chiamare vita, è quando scopro nelle tasche del riesumato giubbotto invernale reperti dimenticati di un sogno, una carta d'imbarco aereo, lo scontrino di un bar sulla spiaggia, e tutto diventa un'inutile gioco a nascondino coi ricordi. Che perdo.

Moths

Navigando, navigando, per una ricerca che sto facendo ho trovato dell'interessantissimo materiale sulle falene. No, non sono un entomologo, anche se di tanto in tanto frequento dei veri "ragni". Mi interessava trovare qualcosa sui simbolismi legati alle farfalle e alle falene in particolare. Insomma, avete mai visto Il Silenzio Degli Innocenti? Ma anche senza toccare temi tenebrosi o truculenti, praticamente ogni cultura (con l'eccezione forse dei soli Inuìt) possiede miti e simboli che riguardano questi insetti prodigiosi, la loro straordinaria bellezza e la loro incredibile metamorfosi.
Tra gli indiani d'America i Piedineri, ad esempio, erano convinti che le falene fossero portatrici di sogni e ispirazione divina durante il sonno. E la polvere delle ali delle falene era considerata dagli Yaqui la "polvere della conoscenza". Abbastanza singolarmente, per i Navaho invece la stessa era la "polvere della follia", che istiga all'incesto e fa correre veloci. Mi chiedo quale sia la relazione tra le due cose (incesto e corsa veloce, intendo). Può darsi che la seconda non fosse che una mera conseguenza dell'essere scoperti a praticare la prima? Corsa o non corsa, pare che la polvere delle ali delle falene sia un potente (potentissimo) afrodisiaco ("Put it on girls to make them crazy over you..."), e che i Navaho girassero con sacchettini di pelle dove mettevano tutte le falene su cui riuscivano a mettere le mani.
Che dite, sarà per questo che Jessica Rabbit è stata sorpresa a fare "farfallina farfallina"?
Meditate, gente. Meditate.