happy hour

Oggi mi hanno telefonato in quattro, e tutti volevano sapere come stessi. Ora sto pensando a cosa ho fatto o detto nei giorni scorsi per provocare quest'ondata di allarmismo nei miei confronti. Buio. Non capisco. Considerando anche quello che NON HO fatto o detto, non mi sembra proprio di aver potuto dare adito a preoccupazioni. Non che me ne abbia a male, eh. Ma... che siano diventati tutti sensitivi?

Quindi ecco qui, questo è il momento dei buoni propositi per l'anno nuovo. Un po' in ritardo, l'ammetto. Per lo meno siamo ancora in gennaio. E il mio proposito di quest'anno è: essere meno trasparente.

Comunque, come mi sento?

Senza mani.

(Diavolo, ho la solita storia lacrimosa sulla punta delle dita. Perdonatemi se potete.)

Ovviamente ero a Houston. Novembre 1992. Halloween era passato, portandosi via zucche e fantasmi. E io soggiornavo ancora al Residence Inn, mentre cercavo un appartamento. L'albergo fa riferimento soprattutto al Medical Center, e la maggior parte degli ospiti sono pazienti di un qualche ospedale. Si vedono cose (riguardo a persone, intendo) che possono turbare.
Il Residence Inn non ha ristorante, visto che le stanze sono in effetti dei monolocali forniti di tutto, cucina compresa. Però tra lobby e piscina c'è una saletta dove tutti i giorni c'è (o c'era, è un pezzo che non vi soggiorno più) l'happy hour. Bevande e schifezze tex-mex a go-go. Alla fine mangi più che a cenare in una steak-house.
Essendo impossibilitato a bere, data la mia condizione di emodializzato, avevo una certa cura ad evitare i cibi piccanti. Ma c'era qualcosa da cui non riuscivo a tenermi lontano: i pop-corn. Ricordo questa enorme teca di vetro piena di pop-corn caldi e fumanti. Ed era l'happy-hour: potevo prenderne quanti ne volevo, e tornare a prenderne altrettanti, e ancora e ancora, se l'avessi voluto. Bastava aprire lo sportellino e affondare l'apposito cono di carta in quello spumeggiante mare bianco-dorato.
Eccomi lì, col cono di carta in mano, in fila per la seconda razione di pop-corn, e davanti a me c'è questo bambino. Avrà avuto forse undici anni, ed era impegnatissimo ad aprire lo sportellino della teca dei pop-corn, la madre che vigilava a un passo di distanza.
Dopo molto più del tempo normalmente necessario per compiere l'intera operazione mi prende un moto d'impazienza.
"Ma sei impedito?" borbotto tra me e me.
E' quando mi accorgo che il piccolo non ha le mani.
A loro posto due rudimentali arti prostetici, che il bambino manovra con la goffaggine di chi vuol fare troppo in fretta ciò a cui non è abituato.
La madre si accorge di me, e con un sospiro rassegnato e uno sguardo pieno di una sconsolatezza e una disperazione che non dimenticherò mai, dice al figlio di lasciarmi il posto e a me fa cenno di procedere.
Dopo un attimo di esitazione mi disseppellisco quel tanto che basta per dirle che non importa, non ho fretta, il ragazzo si prenda il tempo di cui ha bisogno. Ma lei insiste. Le basta un "please" e uno sguardo che dice: "apprezzo il gesto, ma fai come ti dico".
Improvvisamente non ho più nessuna voglia di pop-corn. Ma mi faccio avanti, e pesco la mia dose media giornaliera. Sorrido, ringrazio e saluto e vengo a mia volta salutato da madre e figlio.
Supero la piscina, svolto a destra, verso la mia camera. Butto i pop-corn nel primo bidone della spazzatura che mi capita a tiro.
Un bel posto il Residence Inn. Ci ho imparato tante cose, nel poco tempo che vi ho soggiornato. Una di queste è che ciò che per te è una stupidaggine, per qualcun altro può essere la cosa più importante del mondo.

Senza mani. E' così che mi sento a volte, in questi giorni. Come se tutto fosse lì. Tutto il ben di Dio della vita. Dentro la teca dei pop-corn. E io, con le mie mani finte, non riuscissi neanche ad aprire lo sporellino.

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