fino alla fine del mondo

E’ rosso, là fuori dal finestrino. Rosso di sangue coagulato e nero. Il paesaggio sotto l’opprimente caligine ci scivola accanto nel rollio ipnotico, nel ritmico incedere del treno sul binario della Fine Del Mondo. L’Armageddon. Sì, là davanti a noi, increduli e storditi più che spaventati. Chi l’avrebbe detto? Chi l’avrebbe immaginato? Che saremmo periti nell’Ultima Battaglia.

Il corridoio è deserto, mentre mi dirigo in testa treno. Incrocio due ragazzi dall’aria livida e torva, rancorosi dopo l’ovvia zuffa. Oltre la tenda azzurra mezza tirata di uno scompartimento vedo una ragazza: piange sola tenendo nelle mani davanti a sé un panino morsicato e la lattina di una bibita.

Il vagone ristorante è un po’ più affollato. Seduta mollemente ai tavoli mezzi sparecchiati la gente fuma, mentre un anziano inserviente porta un vassoio vuoto e ripete e ripete: “Non si può fumare. La prego, signore, in questa carrozza è vietato fumare.” C’è un solo tavolo a cui non siede nessuno. Quando mi ci metto io, gli occhi di tutti mi guardano a lungo e poi s’abbassano o s’allontanano, come se avessero deciso che non vogliono aver nulla a che fare con me. Sul tavolo noto il Libro. Allungo la mano. “Non farlo,” sussurra una voce; ed è un sussurro che suona come un grido.

La voce ha un vestito verde scuro, lunghi capelli ricci castani, degli occhi verde mare chiarissimi e disarmanti. Il suo viso affilato è di una bellezza pericolosa. Appoggio la mano sulla copertina del Libro. Lei, sempre in piedi, appoggia la sua alla mia. E’ piccola e fredda, e trema.

“In questo Libro c’è la Salvezza,” dice.

“Allora perché…?”

“Perché è ben celata fra le parole, e se non La trovi troverai invece Dannazione.”

Sposto la sua mano delicata. Un fremito attraversa l’intera carrozza mentre apro il Libro ad una pagina a caso e scorro le parole con lo sguardo. Lei mi fissa. Le mostro la pagina, le indico il Versetto. In silenzio legge e rilegge, legge e rilegge. Poi mi fa chiudere il Libro, che tengo con le mani a leggìo, e mi sorride. E’ un sorriso sottile, delicato come il suo pallore. “Andiamo,” dice, e stavolta il sussurro è così lieve che fatico a udirlo. Usciamo col Libro dal vagone ristorante. Prima che le porte automatiche si chiudano ci raggiunge stanco il lamento dell’inserviente: “La prego, la prego: è vietato fumare.”

Lo scompartimento è vuoto e pulito. Lei chiude la porta, tira le tende, siede e accavalla le gambe con un’espressione d’attesa. Guardo fuori per un breve istante, vedo braccia scheletriche di alberi carbonizzati protese verso il treno in corsa.

Indico il finestrino: “Chiudo la tenda?”

“No.”

La guardo. Esito, imbarazzato: “Come…?”

“Inizia da qui,” dice, e mi mostra i bottoni di legno che le tengono chiuso lo spacco del vestito. Io inizio da quello più in basso.

Sono su di lei, lei è su di me. I nostri sessi divenuti una sola cosa ardono di Fiamma e Rivelazione. Il mondo intero è il nostro amplesso, i suoi seni caldi stretti nelle mie mani, il suo respiro nelle mie orecchie, le sue gambe intrecciate alla mia schiena, i suoi denti aguzzi che penetrano la mia spalla. Un crescendo ineluttabile in marcia con il rollio del treno, verso un boato primigenio che apre il cielo, un’esplosione luminosa e ineffabile che ci travolge irrompendo dal finestrino.

“Non so il tuo nome.”

Rapita dall’orgasmo - le unghie conficcate nel mio petto, gli occhi chiusi, contratti -, non sente; geme, s’inarca, si tende. Infine svanisce. Nel freddo, etereo e sconcertante oblio del risveglio.

Fuori dalla mia finestra, pioggia.