il mio collega Surreale

[Incontrato sulla porta degli uffici al suo rientro dopo 15 giorni di ferie]

Io: "Allora, com'è andata?"
Lui: "Ah, tra esercizi in palestra in spiaggia, le nuotate nella piscina riscaldata, le escursioni lungo la costa, i mercatini in centro storico, e tutto il resto... uno stress!!!"

se non ci fosse il blue screen...

...probabilmente in giro ci sarebbero meno brutti film!

Ahimè, siam ben lontani dal fresco nippothriller dell'esordio di Cristophe Gans (d'altronde chi meglio di un francese avrebbe potuto unire manga, noir e melò?), il piacevolissimo Crying Freeman. Dove là c'era una (seppure semplice ma più che efficace) trama, in Silent Hill c'è solo una paccottiglia di situazioni ripetitive la cui estrema spettacolarità non salva da noia profonda e scoraggiante.

delusion

Crying Freeman era basato su un fumetto, che forse è una fonte più ricca del videogame cui è ispirato Silent Hill. Ma ciò che inquieta è che Gans avrebbe le potenzialità per "sfondare", e si limita invece a dare una timida bussatina alle porte dell'inconscio, allungando poi le orecchie per sentire se, da dentro, risponde qualcuno. E questo non avviene. Gli spunti sono lasciati languire, i personaggi sono fotocopie di stereotipi a cui è impossibile affidare la propria empatia, e per quanto riguarda i "cattivi" si ha sempre l'impressione di poterli liquidare facilmente con il giusto tasto della PlayStation.

L'impressione, a giudicare dalla quasi maniacale ed esatta meticolosità con cui nel film sono riprodotte tali e quali alcune sequenze del videogame, è che Gans sia convinto di aver infuso in Silent Hill il "Soffio dell'Arte" solo per il fatto di aver fatto recitare attori veri e non algoritmi poligonali renderizzati dai computer. Ma la spettacolarità, termine adatto anche alle tette della protagonista, è l'unico pregio di questo film senz'anima. E l'errore sta qui, credo, nel blue screen. O meglio, nell'eccesso di blue screen. Non supportato da una trama degna di questo nome, il massiccio uso del digitale è come la luccicante carrozzeria di un Ferrari montata sul motore di un Sulky. E' troppo facile saturare il profilmico col digitale. E Gans, inspiegabilmente, sembra ignorare che nei videogame questo è sufficiente perchè compensato dalla partecipazione diretta dello spettatore/giocatore, che contribuisce a far proseguire la vicenda, mentre nel cinema no.

Il fatto forse più fastidioso, però, è che il film si prende dannatamente sul serio. Ha la pretesa di avere un tema, una dimensione che vada al di là della semplice evasione. E lo si può percepire dall'assordante assenza di ironia, che viene epurata in ogni sua forma dai dialoghi, spesso al limite del surreale, dalla recitazione appena quel tanto sopra le righe per far capire che di qualsiasi cosa si stia parlando ebbene questa è importante, e più in generale dalle metonimie studiatamente disturbanti (sparse a piene mani e poi vanificate dalla lunga "telefonata" che spiega tutto all'approssimarsi del climax, e buonanotte al secchio). Ma quale sarebbe questo "tema" non è del tutto chiaro, neppure quando ormai la trama -- beh, trama... al massimo un retino -- ha rivelato ogni suo segreto. I pericoli del fanatismo religioso? La forza della mente e dell'incubo? L'Odio genera mostri? La vendetta è un piatto da consumarsi freddo? Dimensioni parallele?

Una volta violato il confine dell'Inconscio, questo si impadronirà di tutto. E' una bella idea. Anzi, è un'ottima idea. E infatti forse l'unico momento apprezzabile è il lento, sospesissimo montaggio alternato del finale (di cui non dico nulla per evitarmi gli improperi dei giusti). Ma non è abbastanza per un film. L'idea è un punto di partenza e, mio caro Cris, credo che tu ti sia fermato troppo spesso a gigioneggiare lungo la strada.

Degno di nota: rincasato dopo il cinema, su una delle reti Sky davano "I Tre Amigos!", e mi sono fatto le mie grasse risate.