come potrei

Bene, su suggerimento di un'amica, aggiungo alla lunga lista dei miei complessi pure la sindrome del sopravissuto.

1992. E' ottobre, quando sbarco in Texas. Zucche, streghe e fantasmi ovunque. A causa della solita convention non si trova altro posto che allo sciccosissimo Adam's Mark Hotel che sta lontano una cifra dal Medical Center, e in più costa un fottìo. Per cui fuggo appena posso (un paio di giorni). Dopo una notte al terrificante Vigo Inn (il Bates Motel deve pur avuto un esempio da cui imparare), trovo il paradiso al Residence Inn (o Terence Hill, secondo i napoletani giunti mesi dopo).
Al Residence Inn di italiani ce ne sono tre, me compreso, e tutti lì per motivi medici. Nel giro di qualche mese gli altri due muoiono, io no. Da quel momento, in presenza della bella figlia del geometra B. e della moglie di A. (vedova, maledizione, devo ricordarmi che è vedova). non riesco più a stare. Evito contatti, pensare a loro (anche con l'affetto che è inevitabile condividere, quando ci si trova tanto lontani da casa e sottoposti a cure dolorose) in mi mette a disagio. Mi sento in colpa perchè io sono vivo e loro no. Per quanto stupido possa sembrare è così, e non auguro a nessuno trovarsi nelle medesime condizioni.

E ora questo.

Qualche giorno fa se n'è andato un amico di famiglia.
Sono qui che guardo un'enorme sportata di medicine che sono state sue. Ciclosporina da 100, da 50 e da 25 mg, prednisone da 5 mg. Le scatole gialle e blu che premono contro il cellophane. Ne avrò per diversi mesi. Conosco persone che, per motivi scaramantici, si guarderebbero bene dall'usare questi farmaci e piuttosto getterebbero tutto nell'immondizia. Nonostante il disagio, come potrei io? Non conoscevo bene il de cuius, ma ugualmente, come potrei? Come potrei?

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