road to nowhere

Tre cose che rendono "incredibile" la viabilità ferrarese.

1) Ad ogni semaforo in cui è possibile disporsi su due colonne un'automobile su due le occuperà entrambe, decuplicando la coda e dilatando in modo esponenziale l'attesa;

2) Ogni ciclista che si rispetti accorgendosi di uno o più veicoli che gli concedono la precedenza per qualsivoglia manovra cesserà all'istante di pedalare, cercando di intralciare il traffico per il maggior tempo possibile;

3) Non importa cosa sia sulla vostra strada. Che sia un semaforo, un incrocio a X, un incrocio a T, un rettilineo, un tornante, un passaggio a livello, un sottopasso, un cavalcavia, il traforo del Monte Bianco, domani al suo posto potrebbe esserci una rotatoria.

eggs

After that it got pretty late. And we both hadda go, but it was great seeing Annie again, right? I realized what a terrific person she was and-and how much fun it was just knowing her and I-I thought of that old joke, you know, this-this-this guy goes to a psychiatrist and says, "Doc, uh, my brother's crazy. He thinks he's a chicken." And, uh, the doctor says, "Well, why don't you turn him in?" And the guy says, "I would, but I need the eggs." Well, I guess that's pretty much how how I feet about relationships. You know, they're totally irrational and crazy and absurd and... but, uh, I guess we keep goin' through it because, uh, most of us need the eggs.

- W. Allen, Annie Hall, 1977

come on baby, light my fire

Un mosaico di foto della cantantessa davanti a me, sulla scrivania. Pessimo segno. Per un attimo ho il fiato corto, l'improvvisa voglia di guadagnare punti del programma Hi-Fly Meridiana. E' quando, provvidenzialmente, mi mordo l'interno della guancia, provocandomi un dolore tale da dissolvere ogni pensiero (romantico o meno) in una nuvoletta di imprecazioni.

pictures of you

Anni fa (tanti anni fa), cercando qualcosa nel mio portafogli vi ritrovai la foto della mia vogliosa ex morosa inglese Liz. Era dicembre, uno di quei bei mesi densi di nebbia come non se ne vede più, e la fine del nostro rutilante rapporto risaliva ad agosto. Alquanto stupito per la grossolana amnesia, nel locale dove in quel momento mi trovavo con amici a bere birra e fagocitare cibi iperproteici cominciai a domantarmi quale sorte riservare alla foto. Tenersi semplicemente in tasca il ritratto non era ammissibile. Occorreva trovare un metodo per disporne che fosse ad un tempo efficace, definitivo ed altamente simbolico.
Ora, parliamoci chiaro, quella non era una foto qualunque. La ragazza era davvero carina, anche con quell'improbabile acconciatura alla Lady D., e immortalata splendidamente su fondo azzurro in un abito scollato e un sottile filo di perle al collo. Quel fotografo sapeva il fatto suo. A completare il tutto, sul retro c'era una dedica al sottoscritto, dolce e allusiva al punto giusto.
Mentre mi spremevo le meningi la foto passava di mano in mano attorno al tavolo, in senso antiorario, suscitando vari commenti, molti dei quali irripetibili. E il mio fastidio era montato al punto che, impossessatomi di un accendino abbandonato sul tavolo, mentre la foto mi veniva porta indietro le detti prontamente fuoco all'angolino superiore sinistro.
La fiammella ammiccò, quasi incerta se estinguersi, come intimorita dalla bellezza che avrebbe potuto incenerire, dalla grazia e l'eleganza che minacciava. Ammiccò, danzò, sfarfallò. E infine attecchì allegramente come un falò estivo.
Chi reggeva la foto ebbe un attimo di esitazione, indeciso se lasciarla cadere a consumarsi nel posacenere vuoto, oppure se farla cadere nel piatto che mi stava davanti e che fino a quel momento aveva ospitato solo un'insignificante montagnola di tovagliolini di carta. Forse allettato dalla potenziale spettacolarità della seconda ipotesi, aprì dunque le dita e depositò la foto in fiamme sulla soffice montagnola di tovagliolini. Che divampò come un incendio boschivo.
La fiamma mi arrivò in un attimo all'altezza delle sopracciglia, che sottrassi al rogo appena in tempo, e l'incendio fu intenso ma anche molto breve. Il combustibile, i tovagliolini, si esaurì in fretta, e mi ritrovai presto in balia del fumo e della cameriera imbufalita. Mi scusai profusamente con lei e con gli amici (anche se in effetti la responsabilità NON ERA tutta mia!!) e m'immersi nella nebbia che stagnava in piazza castello, preda di un rammarico che nulla aveva a che vedere con l'umiliazione di poco prima. La verità vera, che ora cominciavo a comprendere e che era stata sopraffatta da una stizza infantile, era che desideravo conservare un ricordo di Liz. Davvero. Anche se non ci eravamo capiti, se non eravamo fatti l'uno per l'altra, e lei era stata un'arpia e io un maledetto egoista, mi mancava. Quella foto era un bel ricordo che io avevo distrutto. Io non so più tanto bene com'era fatta Liz. Ho qualche ricordo dei suoi occhi verdi, delle sue mani e, ovviamente, dell'acconciatura alla Lady D. Ma pur sforzandomi, non so più tanto bene com'era fatta Liz. Vorrei quella foto, ora, per ricordarmelo.

Mesi fa, con grassi lacrimoni che mi bruciavano il viso, come quando ero bambino e mi sfracellavo sull'asfalto grazie ai pattini, ho preso le sole quattro (4) foto della mia cantantessa in mio possesso e ne ho fatto minutissimi e dolorosissimi coriandoli (niente fuoco stavolta). Vorrei poter dire di averli dispersi nel vento. La realtà è che hanno fatto una fine molto meno poetica.

E l'altra sera ho cominciato a pensare a Liz, e non so neanche bene perchè. Forse il telefilm ambientato a Londra, o più probabilmente uno di quei momenti profondamente introspettivi istigati dalla cattiva digestione. Per un paio d'ore è stato tutto un rivoltarsi fra le coperte, ma con la consapevolezza di non avere scampo. Per fortuna nel lontano gennaio 2003 ho avuto la lungimiranza di fare un backup su cd e, magia, ecco sbucare le quattro (4) agoniate scansioni dalla cartella "temp".

La stampantina Kodak sputa le foto sulla scrivania e io le dispongo a casaccio, prima, con arte poi. Le guardo, emozionato, colmo d'affetto. Ho accarezzato quel collo, quel viso, quei capelli, baciato quelle labbra. Mi sono tuffato in quegli occhi e a volte penso di non esserne mai riemerso. Ho amato con tutte le mie forze e adesso... adesso mi sono appena morso l'interno della guancia e sto imprecando in una lingua esotica.

Le foto sono nell'album.

una risorta

Di nuovo si fa il vuoto attorno a me.

Pensavo di essermi abituato a questa sensazione. Invece niente. Anzi, sempre più dolorosa.

Scoprire che un sorriso non è per me, che un pensiero non è per me, che posso solo sedere e lasciare che le ore, i giorni, gli anni mi scorrano addosso come un fiume che si rifiuta di portarmi con sè. Che i miei sogni sono moneta fuori corso.

La potatura non è venuta bene, vedo.

Due giri dell'anello di piazza Arisotea, mentre con P. si parlava di niente, e tutto è stato di nuovo chiaro. Desidero smettere di desiderare l'impossibile. Ma anche questo è un desidero che rientra nella catagoria "impossibile".

Gozzano scriveva:

"E' come un sonno blando
un ben senza tripudio;
leggo lavoro studio
ozio filosofando...

La mia vita è soave
oggi, senza perchè;
levata s'è da me
non so qual cosa grave..."

"Il Desiderio! Amico,
il Desiderio ucciso
vi da questo sorriso
calmo di saggio antico...

Ah! Voi beato! Io
nel mio sogno errabondo
soffro di tutto il mondo
vasto che non è mio!

Ancor sogno un'aurora
che gli occhi miei non videro;
desidero, desidero
terribilmente ancora!..."



Basterà, mettere in rima la mia angoscia?

comic relief

Ecco, pensavo di non poter rimanere oltremodo stupito o deluso da una certa congrega di (diciamo in ferrarese) "ciocapiàtt", ed ecco che questi non solo toccano il fondo ma iniziano pure le trapanazioni. I ciocapiàtt in questione sono i miei (ma non esageriamo) rappresentanti sindacali, che quest'oggi hanno tenuto una brillante assemblea per rendere edotta la base sulla loro abilità di cabarettisti.

Una volta vidi un esecrabile film in cui il protagonista, scambiato per il conferenziere della serata, pur di sfuggire a un gruppo di tipacci che gli volevano male, s'ingegnava di relazionare su un argomento a lui del tutto sconosciuto, per di più commentando una sequenza di diapositive apparentemente senza connessione. L'effetto comico fu di una certa portata. Ebbene, l'assemblea di quest'oggi è stata inquietantemente simile.

L'aspetto più sconvolgente, però, è stato la disinvoltura con cui hanno raccolto il cosiddetto consenso. Dopo un'ora e mezza di blande chiacchiere e ben poco approfondimento, e per di più saltando allegramente di palo in frasca, toccando spesso argomenti che nulla hanno a che vedere con la nuova piattaforma, cade improvvisamente come un'incudine dal cielo la proposta di votazione.
Cioè, uno dei cabarettisti, pardòn, dei sindacalisti, salta su di botto e fa:
"bene! adesso votiamo!"
Segue un lungo e assai perplesso silenzio, seguito da alcune timide voci che chiedono sommessamente "Cosa?" (nel senso di "cosa votiamo?").
"Allora," prosegue un altro di loro, "direi di fare due votazioni separate sui due punti."
Altre voci: "Quali punti? A cosa vi riferite?"
"No," riprende il primo, "credo sia meglio una sola votazione per approvare i due punti insieme. D'accordo?"
Sempre dal fondo: "Quali punti? Su cosa dobbiamo votare?"
"Bene! Allora alzi la mano chi approva!"
"Ma chi approva cosa?"
"Ora alzi la mano chi si astiene!"
"Eh??!!"
"E ora la alzi chi è contro!"
"Ma contro cosa?"
"Bene! Direi che i punti sono stati approvati! Grazie! Alla prossima assemblea!"

A questo punto, una sola parola: mah?!