memoria breve

"Come si fa?" dici. "E' qualcosa di troppo grande".

Io taccio e rimugino.

E m'avvio verso casa, avanzando a fatica nella melma catramosa dei pensieri.

Cri, quando hai ragione hai ragione.

montaggio alternato

still on

Stasera.

In casa, prima di cena. Seduto al piano con le mani appoggiate alla tastiera. Silenzio.

Stamane.

Fuori, dopo colazione. In piedi nel parco della Certosa. Freddo, brina, foschia. Silenzio.

Le dita sui tasti. Due note acute, una breve.

Il respiro condensato nell'aria. Un brivido.

La mano sinistra accenna una scala minore.

Una bicicletta mi sfiora con un lamento della catena.

Col pedale allungo le note, che danzano vibrando prima di spegnersi.

Scricchiolio di ghiaia sotto le suole. Galaverna sui puntali dei cancelli.

Le tre note ora son quattro. Ciascuna spinge l'altra all'infinito, dolce e struggente.

Marmo e fiori. Nella distesa di lapidi congelate una donna col capo piegato dal pianto.

Giù, nella sede dell'anima. Quattro note, due sillabe.

Padre.

auguri

Season's Greetings

o capitano, mio capitano

Quest'assenza

inghiotte ogni mia parola.

le piccole cose

Non si dorme per le mille parole che cercano nella mente la forma che l'acqua ha nel bicchiere.
Poche fotografie rabboccano l'indispensabile struggimento.

Non metterò mai più il lucchetto al cuore.

Promesso.

ticketless

Ipotesi.

In occasione di un altro lutto, quando la cara Nonna Ester ci ha lasciati, per rientrare dalle spese di un mancato viaggio (aereo) mi erano bastate una telefonate e un fax perché Meridiana stornasse l'addebito dalla mia carta di credito fino all'ultimo centesimo, porgendomi inoltre le condoglianze.

Ellissi
E' lunedì 5 dicembre 2005.

In stazione a Ferrara, in piedi allo sportello, sento montare dentro la voglia pericolosa di fare una di quelle belle scenate che, anche se non risolvono niente, portano grande imbarazzo in coloro che altrimenti non lo proverebbero mai e, perché no, hanno pure un certo valore catartico.

A quanto sembra il biglietto emesso con sistema Ticketless non è rimborsabile. Questo perchè dovrei chiedere il rimborso alla stazione di emissione ma questa, ovviamente, non esiste (tra parentesi, in effetti la stazione di emissione sarebbe Ferrara, visto che dopo la prenotazione e il pagamento via internet ho ottenuto i biglietti con l'emettitrice automatica in quella stazione). Il fatto che sia stato riportato in fretta al luogo di origine per altri mezzi a causa del grave lutto disorienta l'impiegato al di là della comune ragionevolezza. Il biglietto non è timbrato nè bucato dal controllore, ma lui che ne sà? Se perdi tuo padre e torni a casa in auto invece di aspettare due giorni e prendere il treno che hai prenotato sono poi cazzi tuoi, e se in quel momento non hai pensato ad allungarti fino a Firenze per chiedere il rimborso del biglietto Eurostar che dovrebbe essere (come c'è scritto sopra) rimborsabile entro 24 ore dalla partenza, come osi chiedere qualcosa a Trenitalia che all'Eurostar dell'andata già era riuscita a contenere il ritardo a 20 minuti? Che vuoi di più? Un Lucano?

Dopo alcune insistenze, l'impiegato mi porge poco convinto un modello di richiesta di rimborso facendomi capire chiaramente che non devo contarci troppo.


Tesi.

Sono io che non ragiono per via del lutto che mi rende emotivo?

[Alla fine, la scenata non l'ho fatta.]

vecchie parole

Non si dorme, alla ricerca di quanto non posso ritrovare. Ma qualcosa mi guida, tra gli scaffali, tra i file dell'iMac. Una poesia giovanile. Retorica, adeguatamente pomposa, di quando mi rammaricavo che mio padre, dopo l'infarto, non potesse essere più quello era stato.

Ora che i bilanci si possono fare mi accorgo di quanto avessi torto.

Il male aveva intaccato il suo corpo, è vero, ma il mio Papà non è mai stato meno sé stesso. Mai.

Che cantonata.

Era tutto lì davanti ai miei occhi, ma io vedevo la sofferenza fisica e non la passione e il divertimento che metteva in ogni cosa. Forse solo all'arrivo del suo adorato nipotino ha cominciato per me ad aprirsi uno spiraglio di quella verità che oggi è così ovvia.

Anche se ora so che il motivo per cui l'ho scritta non era il più "giusto", non m'importa.

E' per te, Papà. So che l'hai letta. Ti ho visto che lo facevi, e mi sono un po' stizzito e imbarazzato, per questo. Ma sono felice che tu l'abbia fatto.



P a d r e


Scintille dorate
ovunque
nei tuoi occhi
sul tuo cuore
che girano e
cadono
e sciolgono parole
che mai verranno dette
che mai
verranno scritte
ma che pure
torniranno
momenti di calore
brillanti
come l'astro del tuo affetto.

Rivoglio
quei puri diamanti
che ho gettato laggiù
fra i rottami degli anni
ineluttabilmente assenti
per mio stesso dolo,
e con quelli
violerò
l'inviolabile cancello
della cui chiusura
ancora
porti il segno
sul tuo petto.

Il mio cuore s'è schiuso
come un fiore.



...

Mi manchi già tanto.

non è giusto

Non ero ancora pronto per dirti addio, Papà.

kids

Ciò che mi commuove, nei bambini, è la facilità con la quale riesci a farli smettere di piangere. La fiducia con cui si abbandonano all'entusiasmo di un istante.

Quanto, quanto devo imparare, ancora...

una pietra

Il moroso dell'amica di un cugino di un'amica di un collega, a quanto ho saputo quest'oggi in pausa pranzo, s'è beccato una pericardite. E visto che non basta che piova, deve diluviare, all'ospedale hanno pure combinato un pasticcio, ritardando la diagnosi (poi fatta addirittura da un altro ospedale) al punto che il poverino, una volta guarito, non avrà comunque speranze di tornare come prima. Brutta storia.

Mentre il collega della quale amica il cugino ha un'amica il cui moroso è convalescente da pericardite parlava (*), al sottoscritto è sfuggita una frase che ha fatto cadere il silenzio sulla tavolata.

La frase suonava: "E' terribile. E la cosa più sconvolgente è che è come essere una pietra."

Invece di mangiare i loro cappellacci di zucca al ragù, tutti mi guardavano in attesa. Così ho proseguito: "Il tuo corpo non risponde. Non ti dà retta. Nemmeno per gli sforzi più insignificanti. Terminato il fatto 'acuto' non provi sintomi, non senti dolore e non ti senti spossato o anche solo affaticato. Non hai un solo indizio che ti dica che non puoi farcela. Però non ce la fai. Te ne stai lì, seduto sul letto, ed esprimi mentalmente il desiderio di alzarti, fare i tre passi che ti separano dal lavandino e lavarti i denti. Dài anche gli opportuni impulsi motori ai muscoli interessati. Lo senti, è tutto a posto. Ma il risultato è niente. Non ti muovi. Non puoi crederci, sono solo tre passi e non riesci a farli. Ma è così. Non ti muovi, non ci riesci. Perché non è vero che è tutto a posto. Dentro di te, nel tuo petto, c'è qualcosa che non funziona come dovrebbe, e tutto, tutto il resto, senza quello è inutile o quasi. Quando arrivi a capirla, questa cosa è sconvolgente."

Dopo un attimo di silenzio ha ripreso il collega.

"E' vero! Il cugino della mia amica ha detto che il moroso della sua amica ha detto che è proprio così!"



(*) diciotto parole per indicare il soggetto della frase: ho battuto qualche record?

misteri misteriosi

Ecco,

alle volte ci si scontra con fatti così, apparentemente figli del caso, ma della cui origine non si può non interrogarsi. E l'esegesi del pensiero diventa quindi un gioco di speculazioni barocche e, diciamolo, autocompiacenti, un esercizio arido e cerebrale destinato a non portare a nulla.

Okay, forse non c'è un vero motivo perché le pareti del reparto di Fisiopatologia Respiratoria siano decorate con fotografie di vulcani in eruzione.

boh?

...e adesso che gli dico?

Raccolgo le sudate carte, esco dalla sala di lettura, scendo la scalinata di marmo.
C'è qualcosa, nell'aria, che ronza ma che non so spiegare. Mi guardo intorno, mentre scendo, un po' disorientato, cercando di mettere a fuoco. Niente. Afferro al volo il giubbotto di lana, che fuori comincia a fare freschino, saluto un amico che mi risponde con un cenno della mano, e spingo la porta a vetri.
Fuori, ovviamente, è buio. Sotto il lampione alcuni studenti tirano tardi in chiacchiere. Li guardo con affetto, ricordando i miei giorni sui libri.

E' quando mi raggiunge trafelato P. fermandomi per il braccio esclamando:

"Cazzo, ti sto ricorrendo dal piano di sopra!"

E poi: "Ma sei sordo?!"

da Roma con furore

Due perle udite durante il mio recente soggiorno a Roma.

Al bar:

"Me fai il caffè?"
"Me fai morì! Ecchè vuol dì 'me fai il caffè'? E mmettece er numero davanti: uno, due..."

In pizzeria, la padrona alla cassa rivolgendosi a clienti insoddisfatti dello sconto:

"Basta, oh! Il muro del pianto stà in Israele!"

ecco...

cioè, niente di importante.

Ieri, il funerale del buon Mario. Oggi, in ritardo, il senso di perdita.

Così, tanto per ricordarlo.

E' un po' che dimentico le cose.

l'unica speranza il contrappasso

Dunque apro gli occhi e sono all'Inferno. Sì, proprio l'Aldilà. Anche se in effetti assomiglia molto alla sala d'aspetto d'un dentista. Oltre la porta discretamente chiusa si sentono persino le stesse urla soffocate.
Un tizio in doppiopetto e corna caprine si avvicina e mi fa cenno col dito di seguirlo. Ha un'annoiata aria di sufficienza e cammina trascinando i piedi. Attraversiamo un lunghissimo corridoio che assomiglia molto a quello che può trovarsi in un albergo a poco prezzo: male illuminato e l'aria sa di muffa e polvere. Dopo un po' arriviamo in una grande stanza affollata. Il tizio elegante rivolge un paio di cenni alla gente ammassata e rumorosa, e da quella gli vengono incontro Brad Pitt e Judd Law. Porca miseria, non ho neanche una penna per chiedergli l'autografo!
Comunque tutti e quattro riprendiamo a camminare in un corridoio uguale a quello di prima, e non facciamo cento metri che il tizio cornuto ci fa fermare ed bussa ad una porta chiusa. A quella si affaccia una vecchina sdentata e molto, molto sovrappeso, dai vestiti sporchi e consumati.
Il tizio mette una mano sulla spalla di Brad Pitt e, aprendo bocca per la prima volta, gli dice:
"Brad, a causa della tua vita libertina e dissoluta, sei condannato a copulare per l'eternità con questa vecchia." Quindi gli dà una spinta oltre la porta, e noi facciamo appena in tempo a sentire le risatine lascive della vecchia e il contemporaneo singhiozzo di Brad prima che l'uscio si richiuda sbattendo.
Io e Judd Law ci guardiamo in faccia e condividiamo un brivido di terrore. Anche se, debbo dir la verità, a questo punto c'è qualcosa, nel fondo cosciente del cervello, che non mi torna.
Riprendiamo a camminare. E non poco lontano il tizio cornuto ci ferma nuovamente, bussando alla porta lì davanti. La porta si apre ed ecco che compare un'altra attempatissima signora, se possibile ancora più malmessa della prima.
Il diavolo agguanta Judd Law alla spalla e gli sibila:
"Judd, a causa della tua vita libertina e dissoluta sei condannato a copulare con questa donna nei secoli dei secoli, per tutta l'eternità."
"Amen!" risponde la vecchia tutta entusiasta, e senza metter tempo in mezzo afferra Judd Law per la cintura dei calzoni e se lo tira dentro la stanza, sbattendosi la porta alle spalle.
A questo punto cerco di farmi piccolo piccolo. Con un cenno della testa il diavolo mi intima di proseguire e io ubbidisco con solerzia, ben conscio però che la mia mansuetudine non potrà mitigare i supplizi che sono stati scelti per me.
Arriviamo alla mia porta e il diavolo bussa con solennità. Io trattengo il respiro. La porta si apre e lì, davanti al sottoscritto imbambolato e lesso, compare Nicole Kidman.
"Nicole," dice il diavolo, "a causa della tua vita libertina e dissoluta..."


gh!

Fortunato al gioco...

Il Monta dà le carte, le apro a ventaglio e mi rendo conto che il mio culo proverbiale ha inserito il turbo. Dopo un attimo di cazzeggio assaporo la libidine di gettare sprezzantemente sul tavolo 7 (sette) carte franche e gustarmi la faccia interdetta del Testo. Tra parentesi, mia sorella ha involontariamente immortalato per i posteri questo momento simile all'orgasmo; a lei tutta la mia gratitudine, chiusa parentesi.

Senonché, visto il famoso detto, mi rivolgo a Marta che chiacchiera tutta tranquilla appoggiata alla porta del corridoio e, forse a causa dell'età oggi aumentata di un anno, forse (molto più probabilmente) a causa del generico rincoglionimento da cui sono comunque afflitto, la frase non mi viene proprio come dovrebbe, suonando più o meno:

"Bimba, non è che stai uscendo con qualcun altro a tua insaputa?"

Rimedia lei rispondendo con un sorriso:

"Sì, penso di si!"

Okay, adesso tiriamo un bel respiro e ricominciamo daccapo! :-)

dove volete andare?

Uno dei problemi riguarda la velocità della luce e le difficoltà che comporta il tentare di superarla. Non la si può superare. Niente viaggia più in fretta della velocità della luce, con la possibile eccezione delle cattive notizie, che seguono leggi proprie specifiche. Di fatto, gli hingefreel di Arkintoofle Minor cercarono di costruire astronavi propulse da cattive notizie, ma non funzionavano molto bene ed erano accolte così male quando arrivavano da qualche parte, che arrivare da qualche parte finiva per non avere alcun senso.

- Douglas Adams, Mostly Harmless

Il mio collega Lapalisse

Lui: "Ho letto una cosa interessante su una rivista. Lo sai perché i miliardari, invecchiando, cercano sempre delle amanti giovanissime, bellissime, sensuali, formose e disponibili?"

Io: (dopo una breve pausa per riflettere) "A parte l'ovvio, intendi?"

vi riconoscete?

Sfigato: [sfi-ga-to] s.m. Individuo contemplativo in ferie, che cinque minuti dopo essersi rilassato su una panchina di Piazza Ariostea a leggere un libro viene avvolto da un getto d'acqua, nebulizzata dall'idropulitrice di un addetto della nettezza urbana intento a lavare un cassonetto dell'immondizia.

gh!

apoftegma

"Be your own miracle."

Ho detto.

incipit

"Marta sembrava impazzita. Voleva assolutamente vedere un'idrovora."

L'inizio di un grande romanzo.

diet-up

"Petto in fuori, pancia in dentro!"

...

"Petto in fuori, pancia in dentro!"

...

"Pancia in dentro!"

...

"Pancia in dentro!!"

...

"Ho detto, pancia IN DENTROOOOO!!!!"

"Gh!"

dreams of a fairytale

In certi sogni vedo ancora le palme che ondeggiano al vento.

In certi sogni vedo ancora la lunga fila di lampioni accesi nella notte, che si riflettono nello stagno dove dormono i fenicotteri.

In certi sogni vedo ancora le strade deserte e fredde di una località balneare a Natale.

In certi sogni ho gli occhi chiusi, ma non importa. Non importa.




Ma il non sapere più niente... più niente... niente di niente... dopo tutto ciò che ho vissuto, provato, espulso. Sapendo che è una parte di me cui non potrò mai rinunciare, la cui assenza brucerà come una ferita aperta anche tra cent'anni.

E oggi sono debole, indolente, accondiscendente con me stesso come non lo ero mai stato. E non credo di meritare ciò che ho. Fortunato bastardo. Ho tanto, così tanto, nelle mie mani, ma in certi sogni ancora apro gli occhi e sono in una favola.

SMS

Contro ogni pronostico, dopo vari e sudati tentativi, mia madre ha finalmente imparato l'uso degli SMS.

Però non avrei mai pensato che usasse questa sua nuova capacità per riempirmi il cellulare di spamming.

Nemesi storica... e geografica.

the mud-river blues (part II)

Riassunto della puntata precedente:
[certo che siete dei pigroni! andatevela a rileggere seguendo il link!!]

Jimbo, sgangherato e squattrinato detective privato, riceve la visita di una donna giovane, bella e affascinante che desidera diventare sua cliente ma purtroppo fa in tempo ad accorgersi di aver a che fare con un idiota e a tirarsi indietro. Jimbo fa buon viso, ma a pranzo viene aggredito da due energumeni che pestandolo gli mandano un messaggio chiarissimo, che però lui non coglie.

THE MUD-RIVER BLUES

-- Seconda parte --

Aprii faticosamente gli occhi solo per constatare di non poter vedere altro che un alone grigio e granuloso. Poi mi resi conto che si trattava della ricevuta fiscale. Dodici e settantacinque. Me l'aveva premurosamente appoggiata sulla fronte Al, così che potesse essere la prima cosa che avrei visto al mio risveglio. Come si fa portar rancore ad un ristoratore così onesto da farti la ricevuta anche se sei privo di sensi?
Tornai in ufficio zoppicando. Affondai nella poltrona e chiesi a Ruth di andarmi a comperare un gelato.
"Che gusto, boss?" cinguettò la ragazza.
"Non è importante," risposi. "E' per i miei testicoli."
Mi aggrappai al telefono e chiamai il 17mo distretto. Chiesi del tenente Chou.
"Jimbo, vecchia tanica! Non dirmi che ti hanno rimosso la macchina un'altra volta!" Non raccolsi.
"Chou, non è che sono scappati un paio di gorilla dallo zoo?"
"Ti hanno dato una ripassata, Jimbo?"
"E tu come lo sai?"
"E' la stessa battuta che mi facesti l'ultima volta." Digrignai i denti. "Te la ricordi l'ultima volta, vero Jimbo?" Si, la ricordavo. Vedevo i segni di un battistrada da neve Michelin ogni volta che facevo la doccia; niente male come promemoria. Chou continuò. "Gli attacchi di amnesia costano cari nel tuo lavoro. Ricordati che ti ho avvertito."
"Avvertito di cosa?" dissi, e riattaccai. Bell'amico del kaiser.
Ma a proposito di amnesia, se ricordavo bene era Joe detto "Lo Spillo" che gestiva il racket dei pestaggi in città. E, sempre se non ricordavo male, mi doveva un favore. Aveva aperto una bettola, giù al porto, chiamata per motivi sentimentali "Le Latrine" (da pronunciarsi alla francese). Pare che l'edificio gli fosse stato lasciato dal padre, e che per risparmiare i soldi di un'insegna nuova Lo Spillo avesse preferito mantenere il nome anche se dentro, apparentemente, l'esercizio era cambiato.
Dopo il gelato raggiunsi la pozza putrida e maleodorante che è il porto fluviale di Ironton. Un ottimista sedeva in fondo ad un pontile con una canna in mano, la cesta del pescato recava l'adesivo col simbolo di "pericolo biologico". Le Latrine, dove non ero mai stato, ispirava tutto il ribrezzo possibile, ma alla fine mi feci forza e varcai la soglia usando una salviettina per spingere i battenti. Nonostante l'ora il locale era già saturo di fumo.
"Ciao cocco!" pigolò una voce alle mie spalle.
Mi voltai e mi trovai di fronte la cameriera. Bionda, procace al punto da tendere pericolosamente le sue bretelle come corde di una balestra, doveva aver ricavato gli shorts che indossava da una pezzuolina per pulire gli occhiali, e io fui colto mio malgrado da uno dei miei attacchi di licantropia fulminante. Proprio sul più bello però arrivò Lo Spillo a rovinare tutto, e le dimensioni dei miei canini tornarono nella norma.
"Fatti un giro, bimba." Gracchiò Lo Spillo. "Io e Mr. Anguilla, qui, abbiamo degli affari in sospeso."
"Addio cocco!" ri-pigolò la cameriera facendomi l'occhiolino e sculettando verso il bancone.
Lo Spillo, che grazie ai suoi centosettanta chili era stato costretto a far allargare tutte le porte che desiderava attraversare, spendendo una fortuna in ristrutturazioni edili e relativi condoni, salì maestosamente sul mio callo preferito.
"Non sei benvenuto da queste parti, Anguilla," brontolò. "Fuori ci sarà anche scritto Latrine, ma qui non le vogliamo le cacchine come te."
Misi mano al portafogli e lo Spillo inarcò il sopracciglio destro, la qual cosa si ripercosse dolorosamente, non so come, sul citato callo.
"Voglio solo un'informazione, Spillo," dissi sventolandogli il portafogli sotto il naso. Speravo che abboccasse ma bluffavo alla grande: avevo sì e no gli spiccioli per un Chupa-Chupa. "Oggi due tizi, uno rosso e uno calvo, mi hanno pestato come una grancassa..."
"Sono affari, Anguilla," si lamentò lui senza staccare gli occhi avidi dal portafogli. "Niente di personale, capisci. Con la recessione che c'è di questi tempi..."
"Intendi dire che se non fosse per la congiuntura avresti impedito a quei tangheri di fare una mousse dei miei testicoli?"
Lo Spillo parve disorientato, forse a causa dei rapidi movimenti ondulatori che facevo fare al mio portafogli davanti al suo faccione sudaticcio. E con meraviglioso tempismo la porta de Le Latrine si aprì ne irruppe un paio male assortito d'individui cui l'uniforme non donava affatto.
"Chi di voi è James Deer detto Jumbo?" Di nuovo, maledizione. Era un incubo!
Lo Spillo scese in fretta dal mio callo puntandomi il dito contro, e i poliziotti avanzarono minacciosi ammanettandosi almeno un paio di volte tra di loro prima di riuscire ad individuarmi i polsi.
Nello stesso istante in cui misi il naso fuori da Le Latrine il flash di un reporter mi accecò. Che pubblicità! Beccato mentre vengo arrestato in un cesso di bar da Ollio e Stanlio. Mentre questi chiamavano la centrale per rinforzi, avendo chiuso le chiavi dentro l'auto di servizio, mi venne in mente di chiedere l'imputazione.
"Omicidio, che cavolo!" rispose il più sveglio dei due, forte del vantaggio.
"Omicidio?! E chi avrei ucciso, se è lecito?" La domanda li mise in crisi. Si lanciarono qualche sguardo interdetto, e dopo un momento imbarazzato il meno sveglio accettò dubbioso la responsabilità di dire: "lecito?"
Ma l'altro si fece forza e m'incalzò: "Hai fatto fuori la biondina!"
"La biondina? Che biondina?"
"Miss Bertha D'Aldàm! E non a Lecito, ma nella sua villa a Grillbridge!" Sibilando poi al collega: "Dove cazzo è Lecito?"
Ma io non li ascoltavo più. Bertha uccisa. Non riuscivo a capacitarmi all'idea. Bertha uccisa. Chi è quel pazzo che può pensare di far fuori una donna con la sua dolcezza, la sua classe, il suo charme, e soprattutto il suo strepitoso fondoschiena? Poi, sferzante come una frustata, la comprensione che la vittima, che quella stessa mattina mi aveva fatto visita in ufficio, fosse la figlia ed erede di Zòrz D'Aldàm mi pesò addosso con tutta la sua gravità. Ero uscito da Le Latrine, sì, ma ero comunque nella cacca fino al mento.


-- Fine Seconda Parte --

a glass of water

Di fronte ad un bicchiere d'acqua pieno a metà, le quattro possibili reazioni sono:

a) il bicchiere è mezzo pieno;
b) il bicchiere è mezzo vuoto;
c) il bicchiere è mezzo... no, è mezzo... cioè... qual era la domanda?
d) ehi! io avevo ordinato un cheese-burger!!

Abbastanza sorprendentemente, vi sono molte più persone che appartengono ai gruppi C e D di quanto si possa immaginare.

ink

Eccomi di nuovo con la penna in mano. La vecchia stilo dal pennino raschiante e il dolce profumo d'inchiostro. Inchiostro blu, per l'esattezza. Non ne esiste di altro colore. E' tutto qui, nel fluido movimento del polso, scandito in quattro quarti come solfeggio. La curva elegante della c, le onde della u, la o come la luna, l'inciampare del pennino a mezza erre prima del volteggio acrobatico finale.

E a furia di mettere puntini sulle i farò sembrare questo foglio il mantello d'un dalmata.

ink

gira la ruota

Giri di vite. O di vita, se vogliamo. Vorrei cambiare il carattere con cui è scritto quanto mi riguarda. Farebbe comunque schifo, ma almeno sarebbe in un bel Garamond corpo 12. Così scorrevole e leggibile.

[Tra un attacco ipertensivo e l'altro, faccio in tempo a registrare mentalmente il seguente epico episodio. Premessa: Ferrara, città delle biciclette. Mi ripenso adolescente e aitante, mentre pedalo con noncuranza con 4 sotto zero senza guanti, felice di vedere gli sbuffi del mio fiato. Poi, in classe, mi ci voleva un quarto d'ora per riprendere sufficiente sensibilità alla mano da impugnare la penna. Col tempo ho imparato a indossare i guanti (meravigliosa invenzione), ma noto che l'adolescente medio non ha modificato i costumi di un'età. Eccolo lì che giunge bello spanizzo col il bavero del cappotto alzato alla Corto Maltese, pedalando flemmatico con le mani al calduccio ciascuna stretta sotto l'ascella opposta. Sono certo in questo momento avrete realizzato che, trovandosi le mani dove ho detto, il manubrio deve per forza essere incustodito. Ve ne siete accorti voi e se n'è accorto il beffardo destino. Per entrare nella mia visuale il tizio ha compiuto una virata brusca spostando il peso del corpo, mostrando discreta agilità oltre che ottima coordinazione. Ma ecco, sembra non aver tenuto conto che il fondo stradale, in via Voltino, non è il levigato asfalto di via Palestro, bensì uno scosceso quanto malmesso acciottolato pieno di buche e avvallamenti. E quindi non compie cinque metri che già la ruota davanti viene bruscamente deviata da una gobba. Ballonzolando sulla sella, sempre con le mani sotto le ascelle e un invidiabile ottimismo, il tizio tenta di aggiustare la rotta con un colpo di reni. Ma le ruote hanno deviato verso una profonda buca sulla quale rimbalzano come molle nella direzione opposta. Questo secondo ostacolo imprime alla traiettoria della bicicletta un andamento zigzagante che Corto Maltese prova coraggiosamente a raddrizzare a colpi d'anca. Le sue mani sono ancora ben strette sotto le rispettive ascelle, ma ora sul suo viso è dipinta un'espressione che sembra voler dire: "Oooooocccazzzooooooo!!!" Mi scanso appena in tempo. Ormai il tizio s'è reso conto che sarebbe il caso di riprendere saldo possesso del manubrio, e all'uopo ha sfoderato le mani dalla loro singolare protezione, ma troppo tardi. Il manubrio, troppo a lungo lasciato a sé stesso, all'ennesimo ostacolo gira la ruota a 90 gradi rispetto alla traiettoria di volo ed è come se si piantasse al suolo. La ruota di dietro invece, assieme al resto del telaio con tutto il tizio sopra, si solleva leggermente, e facendo perno sulla ruota piantata compie una rapida rotazione di 180 gradi, che al Circo Orfei gli sarebbe valsa applausi a scena aperta, al termine della quale il pilota si trova tutto bello disteso sui ciotoli. Due ragazze che portano a passeggio un cane ridacchiano mentre gli passano accanto. "Ehi, stai bene?" gli chiedo. Ma il tizio è già rimontato in sella e sta pedalando di lena verso l'oscurità in fondo alla via, stavolta con le mani al posto giusto. Fortunatamente non ho dovuto impararlo a mie spese, ma a quanto pare i guanti hanno anche una funzione antinfortunistica.]

Ed ora la pubblicità.

our pain

Certe volte è così difficile non lasciarsi commuovere dalla semplicità cui rinunciamo, giorno dopo giorno, senza nemmeno rendercene conto. Una frase, una mano che stringe una spalla in segno d'amicizia, di condivisione. L'affetto frustato dai tempi che resiste, malgrado tutto. Legami. E il dubbio doloroso, nel profondo dell'anima, di non esserne degni.

Mi disarma, questa cosa, e m'addolora. Scoprirmi intento a pianificare l'acquisto di qualche nuova ultracostosa diavoleria tecnologica (sicura compensazione) con l'improbabile certezza che sarà QUELLA, finalmente, a sollevare il fardello d'inquietudini che reco sulle spalle, e scorgere d'un tratto la tenera felicità negli occhi di mia madre, per alcune piantine costate non più di una manciata (in senso letterale) di centesimi.

Amleto, Amleto. Avevi ragione tu. Il mondo è fuori squadra. E maledizione chi è che può rimetterlo in sesto, ora?

Piango.

Orpheus Descending

[...]

Nel buio del silenzio era più facile accettare di ripercorrere il dolore che soggiacere al nulla.
Le sue parole correvano a ritroso, goffe e impacciate, come affondando i piedi nella melma, fino a trovare il più solido terreno del rammarico e iniziare la loro corsa giù per il pendio.
Facile, così facile. Scapicollarsi verso valle senza il pensiero della risalita, mentre attorno vorticavano risa e lacrime, baci e singhiozzi. Dolore amato e ritrovato.



La forma o l'essenza? Una canzone è una canzone perchè è in musica o perchè vi sono le parole? Gli dicevano canta e lui lo faceva, sempre precipitando nell'abisso, trascinandosi tutti dietro, le parole che irrompevano nel cuore come carri armati.

E finalmente, alla base del verso, l'accecante fantasmagorica luce del silenzio annullare tutto in un bà. Ridare l'avvio al movimento. Perchè non si va più a fondo del fondo, e giunti in fondo non si può che risalire. La chiamano catarsi.

Salvo poi rovinare tutto con una sbirciatina alle spalle.

friday friday

Due ore al Venerdì.
Gli occhiali mi scivolano sul naso e li spingo al loro posto. Che brutta giornata, oggi. Inutile, faticosa. Apro gli armadi dell'ufficio, le pratiche che mi attendono. Dove diavolo ho messo il cellulare? Vorrei mandare un messaggio ad un amico ma non lo trovo. I telefoni, la stampante che s'inceppa. Uscire dal sistema per le 13 e trenta causa aggiornamento software, prego, informeremo quando sarà possibile ricollegarsi. E via, il nastro della calcolatrice da tavolo lungo quanto un'autostrada. Lungo fino a casa, almeno. Si fottano le targhe alterne. Chi ha mai detto che i Lunedì sono le giornate peggiori? Le mie dita sono un'unica ricamata cicatrice. Anche oggi, il solito taglio con la carta. Me ne accorgo mentre piego un foglio da infilare in una busta, dove lascio un mio campione di DNA. Un sorriso mi sfiora la bocca. Da qualche parte in rete, credo sul blog di un tale in Australia: non solo le donne sanguinano ciclicamente. Anche se non penso possa riferirsi alle mie dita martoriate. Ogni volta che suona un cellulare mi volto credendo sia il mio, che non c'è, che non trovo. Dove diavolo l'ho imbucato, maledizione? E, se debbo dirla tutta, cosa ci fa qui il telecomando del mio stereo?

lovesong

Brina sui miei capelli. O almeno è quello che voglio credere, mentre cammino per le strade improvvisamente deserte. Fa una certa impressione Ferrara, così attraversata solo dalle luci delle vetrine. Bella, così bella e silenziosa. Ma io che ne so? Io, con i Cure nelle cuffie dell'I-pod. Che cammino come trascinato dalla chitarra di Robert Smith. Sonnambulo nuoto nel freddo, riscaldato dal mio solo cuore che brucia, che brucia come un falò estivo. Che caldo. La chitarra suona, la voce un po' stridula canta che parole che le metto in bocca.

However far away
I will always love you
However long I stay
I will always love you
Whatever words I say
I will always love you
I will always love you



Non importa. Non importa che sia tutto finito, che di te non mi sia rimasto che questo mestolo di profumato ginepro, questo acquerello sbiadito che sono diventati i miei ricordi, che questa strada mi conduce lontano e ormai t'ho persa dallo specchietto retrovisore. Non importa.

I will always love you.

cameraphone

Ecco la nuova immagine del millennio. Una bimba di cinque anni in piedi dentro un carrello della spesa vuoto che chiama la mamma, e ne è completamente ignorata perché questa se ne sta come in trance col naso appiccicato ad una vetrina di videofonini.

[Intanto continuo a star male. E' sfiancante sentire il proprio corpo che non risponde, che tradisce anche nelle piccole cose, sordo a ogni lusinga. Mi ripeto, mi ripeto. Merito la rottamazione]

Il mondo è la galleria di un centro commerciale - con i negozi colorati, le vetrine vistose, le commesse sexy -, in cui aggirarsi senza il becco d'un quattrino e indebitarsi per comperare l'ennesimo cellulare.

Mamme (non tutte, ovvio), avete bisogno di una sonora pedata nel didietro.

I'll stand by you

Oh, Why you look so sad?
The tears are in your eyes
Come on and come to me now
But don't be ashamed to cry
Let me see you through
Cause I've seen the dark side too.
When the night falls on you
You don't know what to do
Nothing you confess
could make me love you less

I'll stand by you
I'll stand by you
Won't let nobody hurt you
I'll stand by you

So,
If your mad, get mad
Don't hold it all inside
Come on and talk to me now
But hey, what you've got to hide
I get angry too
But I'm a lot like you
When you're standing at the crossroads
Don't know which path to choose
Let me come along
Cause even if your wrong...

I'll stand by you
I'll stand by you
Won't let nobody hurt you
I'll stand by you
Take me in into your darkest hour
And I'll never desert you
I'll stand by you
And when,
When the night falls on you baby
Your feeling all alone
Walking on your own

I'll stand by you
I'll stand by you
Won't let nobody hurt you
I'll stand by you
Take me in into your darkest hour
And I'll never desert you
I'll stand by you

- The Pretenders, I''ll stand by you

the nightshift

Vivo la notte, e questa si prolunga nel giorno. Ruba i contorni, sfuma gli spigoli. S'addensa, il sonno onnivoro che tende le mani, s'addensa come un banco di nebbia in cui perdersi e dissiparsi. E anche i sogni giungono tardi, ad alba avanzata, la cavalleria al galoppo con le sciabole sguainate ma che trova il forte già in mano al nemico.

Seduto alla scrivania, ancora aggrappato alle lenzuola, la coscienza mi sgocciola addosso ricordi e desideri e a volte il ricordo dei desideri. Nella penombra dell'anima, accucciato in silenzio, attendo la notte.