Orpheus Descending

[...]

Nel buio del silenzio era più facile accettare di ripercorrere il dolore che soggiacere al nulla.
Le sue parole correvano a ritroso, goffe e impacciate, come affondando i piedi nella melma, fino a trovare il più solido terreno del rammarico e iniziare la loro corsa giù per il pendio.
Facile, così facile. Scapicollarsi verso valle senza il pensiero della risalita, mentre attorno vorticavano risa e lacrime, baci e singhiozzi. Dolore amato e ritrovato.



La forma o l'essenza? Una canzone è una canzone perchè è in musica o perchè vi sono le parole? Gli dicevano canta e lui lo faceva, sempre precipitando nell'abisso, trascinandosi tutti dietro, le parole che irrompevano nel cuore come carri armati.

E finalmente, alla base del verso, l'accecante fantasmagorica luce del silenzio annullare tutto in un bà. Ridare l'avvio al movimento. Perchè non si va più a fondo del fondo, e giunti in fondo non si può che risalire. La chiamano catarsi.

Salvo poi rovinare tutto con una sbirciatina alle spalle.

friday friday

Due ore al Venerdì.
Gli occhiali mi scivolano sul naso e li spingo al loro posto. Che brutta giornata, oggi. Inutile, faticosa. Apro gli armadi dell'ufficio, le pratiche che mi attendono. Dove diavolo ho messo il cellulare? Vorrei mandare un messaggio ad un amico ma non lo trovo. I telefoni, la stampante che s'inceppa. Uscire dal sistema per le 13 e trenta causa aggiornamento software, prego, informeremo quando sarà possibile ricollegarsi. E via, il nastro della calcolatrice da tavolo lungo quanto un'autostrada. Lungo fino a casa, almeno. Si fottano le targhe alterne. Chi ha mai detto che i Lunedì sono le giornate peggiori? Le mie dita sono un'unica ricamata cicatrice. Anche oggi, il solito taglio con la carta. Me ne accorgo mentre piego un foglio da infilare in una busta, dove lascio un mio campione di DNA. Un sorriso mi sfiora la bocca. Da qualche parte in rete, credo sul blog di un tale in Australia: non solo le donne sanguinano ciclicamente. Anche se non penso possa riferirsi alle mie dita martoriate. Ogni volta che suona un cellulare mi volto credendo sia il mio, che non c'è, che non trovo. Dove diavolo l'ho imbucato, maledizione? E, se debbo dirla tutta, cosa ci fa qui il telecomando del mio stereo?

lovesong

Brina sui miei capelli. O almeno è quello che voglio credere, mentre cammino per le strade improvvisamente deserte. Fa una certa impressione Ferrara, così attraversata solo dalle luci delle vetrine. Bella, così bella e silenziosa. Ma io che ne so? Io, con i Cure nelle cuffie dell'I-pod. Che cammino come trascinato dalla chitarra di Robert Smith. Sonnambulo nuoto nel freddo, riscaldato dal mio solo cuore che brucia, che brucia come un falò estivo. Che caldo. La chitarra suona, la voce un po' stridula canta che parole che le metto in bocca.

However far away
I will always love you
However long I stay
I will always love you
Whatever words I say
I will always love you
I will always love you



Non importa. Non importa che sia tutto finito, che di te non mi sia rimasto che questo mestolo di profumato ginepro, questo acquerello sbiadito che sono diventati i miei ricordi, che questa strada mi conduce lontano e ormai t'ho persa dallo specchietto retrovisore. Non importa.

I will always love you.

cameraphone

Ecco la nuova immagine del millennio. Una bimba di cinque anni in piedi dentro un carrello della spesa vuoto che chiama la mamma, e ne è completamente ignorata perché questa se ne sta come in trance col naso appiccicato ad una vetrina di videofonini.

[Intanto continuo a star male. E' sfiancante sentire il proprio corpo che non risponde, che tradisce anche nelle piccole cose, sordo a ogni lusinga. Mi ripeto, mi ripeto. Merito la rottamazione]

Il mondo è la galleria di un centro commerciale - con i negozi colorati, le vetrine vistose, le commesse sexy -, in cui aggirarsi senza il becco d'un quattrino e indebitarsi per comperare l'ennesimo cellulare.

Mamme (non tutte, ovvio), avete bisogno di una sonora pedata nel didietro.