happy happy new year

Fuochi d'artificio fuori dalle finestre. Anni fa a Roma, allo scoccare della mezzanotte sembrò improvvisamente di essere finiti nel mezzo di una battaglia in Bosnia. Questo scoppiettio ferrarese e vagamente molesto ricorda più i pop-corn dentro un forno a microonde. Do ut des, suppongo. La minor vivacità dell'evento è compensata dal non essere sottoposti al rischio di essere colpiti da un "mortaretto" delle dimensioni di un vettore Saturno ("Houston, we have a problem...").

Beh, eccoci qui per un altro capodanno...
Ora di tirare somme, mettere puntini sulle i, chiudere capitoli, archiviare faldoni. Discorrendo con un amico sono saltate fuori un paio di cose interessanti, di cui vorrei farvi parte. Oddìo, niente di universale. Tutt'altro. Pure, nella nostra ingenua umanità, anche le piume hanno il loro peso.

Dunque ecco qui. La prima è una timida conferma alla discussa teoria che il denaro non faccia la felicità. E infatti lo scorso anno, in questo stesso periodo, pur essendo il mio conticino corrente in un "profondo rosso" di darioargentiana memoria io ero l'Uomo Più Felice Della Terra. Quest'anno, pur continuando ad essere un conticino, è discretamente in attivo, eppure la cosa non rende meno angosciante il vuoto che porto nel cuore.

La seconda è un'umile considerazione sull'oggetto dei festeggiamenti. Domanda: cosa festeggiate? Che sia finito il 2003 o che stia iniziando il 2004? Io, personalmente, non mi sento di festeggiare alcunchè, ma piuttosto prendo atto. Stappiamo lo spumante e prendiamo atto, l'anno finisce. Alziamo i calici, ma facciamolo ogni giorno della nostra vita, perchè ogni giorno qualcosa inzia e ogni giorno qualcosa finisce. E non importa che sia il 1° gennaio, il 25 febbraio, l'11 maggio, il 1° giugno, il 30 settembre o il 28 novembre. Ogni giorno ha 365 altri giorni alle spalle e 365 di fronte. Io non mi sento di festeggiare alcunchè, ma se proprio dovessi, festeggerei la fine di questo strano, meraviglioso e terribile 2003 (che vorrei poter mettere dentro a una bottiglia da portar sù di tanto in tanto dalla cantina, e berne un breve sorso dolceamaro in un brindisi agli amici assenti, gli amori perduti, i vecchi dei e la stagione delle nebbie), piuttosto che un 2004 di cui ho più da temere che da rallegrarmi.

Come avevo anticipato, niente di universale.

C'è chi festeggia e chi no. A scanso di equivoci auguro a tutti voi un anno che sappia superare le vostre migliori aspettative. Vi abbraccio.

giù

Il "Pozzo Gravitazionale" era un grosso imbuto blu in cima a una bassa colonnina dello stesso colore, nel corridoio principale del museo di scienze naturali a Houston, appena prima del gift shop. Una targhetta spiegava genericamente in inglese e spagnolo il meccanismo della gravità, e invitava ad osservarla all'opera semplicemente infilando un decino nell'apposita fessura.
Io e mio padre ci scambiammo uno sguardo e subito misi mano in tasca alla ricerca del decino. Questo, una volta inserito dove richiesto, scivolò nell'imbuto e iniziò una lunga e incredibilmente lenta spirale verso il centro di quest'ultimo. Osservammo la monetina rotolare quasi al rallentatore e scendere giù, giù, giù, finchè dopo un'attesa sorprendente sparì nel foro al centro con un tintinnio, atterrando evidentemente sopra tanti altri decini.
"Mmm..." disse mio padre.
"Non male, eh?" gli risposi, affascinato dall'esperimento.
E lui: "Potremmo metterne uno davanti casa."

C'è un altro pozzo gravitazionale, che esercita la sua influenza sui miei pensieri, le mie emozioni, attirandoli inesorabile verso il suo centro. Tutto questo blog, o quasi, ne ha pagato il prezzo. Esempio: lo zucchero Beghin Say, che avrebbe ben potuto, anzi dovuto riportarmi alla memoria i (seppur pessimi) ricordi di quando ero interinale presso Eridania, e invece catturato dall'attrazione gravitazionale di quel primo weekend a Villasimius. O le canzoni, una fra tante China di Tori Amos, che a rigor di logica avrebbe dovuto ricordarmi le lunghe passeggiate col walkman lungo il bayou, dieci anni fa, unto come una catena da bicicletta di creme solari protettive, e invece precipitata nel doloroso significato di una telefonata: "I can feel the distance getting close".
Corpo celeste o anomalia spaziale (alla Star Trek) che sia ad avermi catturato durante le mie peregrinazioni "through inner and outer space", per potermene andare da qui devo vincere un'attrazione di una violenza straordinaria. Oppure chissà, forse sono davvero condannato a rimanere per sempre naufrago sul pianeta proibito. Mi secca ammetterlo, ma il naufragar m'è dolce in questo mare...

morfina

Inosservato, da alcuni giorni lotto per uscire dalle macerie. E' molto pericoloso aggirarsi tra i ruderi pericolanti e, lo ammetto, in quest'occasione sono stato veramente avventato. Comunque nella mia lotta sono molto discreto. M'allontano sempre, quando sento di essere in crisi. Mi "rintano". Nascondo. Dissimulo. Sono un mago, in questa tecnica di mimetismo. Forse grazie anche ad un certo equivoco sull'umorismo, che di norma la gente non considera finchè non glielo si sbatte sul naso. Io stesso ho avuto bisogno dell'ammissione esplicita di qualcun altro con più acume (e fegato) di me, per vedere che il re era nudo.

Visto che non c'è antibiotico, prendiamoci almeno l'aspirina.

O un aulin.

Codeina, morfina.

Una volta, che stavo veramente male, mi sono meritato una bella siringata di morfina. Ho fatto in tempo a vedere con la coda dell'occhio la mano dell'infermiere e la siringa col mio nome su, e un istante dopo venivo avvolto, anzi venivo immerso in una pozza calda, amniotica, di rilassatezza. Un'oscurità profonda mi ha separato dalla sofferenza come per una strana elettrolisi emotiva, e poco dopo sono caduto in un sonno di cui ricordo solo il risveglio.

Ecco. In questo momento vorrei potesse accadere lo stesso sortilegio.

Ma non solo so che non accadrà, ma so che anche così conciato, dolorante, claudicante, escoriato, tornerò presto a sfidare la sorte tra le rovine della mia cattedrale.

Lo sto facendo in questo preciso momento.

I say I say I say

Anyone here had a go at themselves
for a laugh? Anyone opened their wrists
with a blade in the bath? Those in the dark
at the back, listen hard. Those at the front
in the know, those of us who have, hands up,
let's show that inch of lacerated skin
between the forearm and the fist. Let's tell it
like it is: strong drink, a crimson tidemark
round the tub, a yard of lint, white towels
washed a dozen times, still pink. Tough luck.
A passion then for watches, bangles, cuffs.
A likely story: you were lashed by brambles
picking berries from the woods. Come clean, come good,
repeat with me the punch line 'just like blood'
when those at the back rush forward to say
how a little love goes a long long long way.


The Dead Sea Poems,
Simon Armitage

addio pizzetto

Chiunque oggi, avendomi visto un tantino piccato, mi avesse chiesto tanto per fare conversazione dove diavolo fosse il mio adorato pizzetto, si sarebbe sentito rispondere un po' bruscamente: "nel lavandino".
Un consiglio: se la vostra rasatura richiede particolari attenzioni, aspettate sempre di essere ben svegli e vigili, prima di procedere. La sonnolenza può essere casa di spiacevoli incidenti anche lontano dalle strade.

fade to black

Lido Spina / esterno / giorno
Un'estate qualsiasi. Nel caldo afoso giochiamo al gioco dei portafogli. Un gioco facile. Ci si toglie il portafoglio di tasca e si pesca nel suo interno, alla ricerca di qualcosa di soprendente. Raramente si rimane delusi, soprattutto se è passato un po' di tempo dall'ultima volta che lo si è fatto. Il portafogli di un uomo è un po' l'equivalente in formato tascabile della borsetta femminile. Ci si rintanano le cose più singolari. Un amico conserva nel suo portafogli ben quattro blocchetti di buoni pasto, che sostituisce con nuovi carnet man mano che esauriscono. Un'altro vi conserva come una reliquia lo scontrino fiscale emesso in occasione del suo primo acquisto di una scatola di profilattici. Un'altro ancora - in una bustina trasparente come quella che nei telefilm usano per raccogliere reperti sulla scena di un delitto -, un ricciolino di peli pubici della sua ragazza. Comunque...
Ritorniamo a Lido Spina / esterno / giorno.
Assorto nella lettura del romanzo di turno, non noto il progredire di una mano al gioco del portafogli e il borseggio del mio zainetto, che di fatto mi rende un concorrente involontario. Con l'orecchio buono, però, mantengo un blando controllo della situazione. Di solito si inizia con i documenti d'identità, soprattutto se dotati di foto. Percepisco alcuni lazzi al mio indirizzo (devono aver trovato la patente), ma non mi scompongo. Poi uno della ghenga estrae la fotografia di Cesare, e subito mi lancia un'occhiata strana.
"E questo?" cantilena con aria allusiva.
"Un mio amico."
"E come mai stà qui?"
"E' morto."
Con aria colpevole ripone la fotografica dove l'ha trovata, ma non riesce a trattenere la battuta (e gliene sono grato).
"Spero di non finire mai nel tuo portafogli." Sorrido.
Lo spero anch'io, amico mio. Lo spero anch'io.

Ferrara, chiesa di S. Benedetto / esterno / sera
Inverno. Più che mai. Stamane, andando in ufficio, ho imprudentemente azionato lo spruzzino, creando una patina di gelo sul parabrezza che mi ha costretto a fermarmi e attenderne lo scioglimento. Cerco di far mente locale, ma non mi riesce di pensare a un 23 dicembre in cui non abbia fatto un freddo cane. Mentre mi avvicino al portale ripenso al 23 dicembre che ha dato inizio a tutto questo gelo.

Flashback: 23 dicembre 1991.
Cammino sotto le luminarie, nel centro gremito di Ferrara. Ma "gremito" è una piccola parola. Più che una folla sembra un esodo biblico. Fra due giorni è Natale, che diavolo! E' ora di comprare! E compro anch'io. Anzi (ellissi), ho già comprato. E carico di pacchetti e bustine colorate m'avvio verso casa con un cuore felice ingiustificato. Sono in dialisi da due settimane, non ho molte ragioni per essere felice. C'è solo questa cosa strana, che avvolge e spreme la mia emotività fuori dagli occhi. Sì, il Natale. E il calore, che posso già percepire a due giorni di distanza, della famiglia che si stringe attorno al suo "infermo". Ho un regalo per tutti, grande o piccolo. Per tutti. A casa c'è l'albero. Il presepe, addirittura, dopo alcuni anni di assenza. Gatta Miciona che si struscia sulle mie caviglie, e mi dà i "bacini" sul naso quando la prendo in braccio. Quanto amore sospeso lì a mezz'aria. Quanta serenità. Troppa serenità.
Infatti è tutto inghiottito dal silenzio di una telefonata.
Natale fra due giorni. Ventitrè anni per sempre.

Sambe - cappella laterale / interno / sera
Il sacerdote celebra la funzione e io lo ignoro completamente, la mente intenta ad esplorare, come tutti gli anni, dentro di me alla ricerca di quel che di Cesare è rimasto. E' una ricerca facile, un ritrovamento affettuoso, come estrarre uno dei miei libri preferiti dal mucchio anonimo sullo scaffale. So benissimo che è lì, appena sotto la superfice, ma ritrovarlo è una gioia struggente.
Quest'anno però fa più male del solito. La messa in sè non mi è mai stata di conforto, ma il vedere riuniti lì gli amici in qualche modo placava un po' il senso di perdita. Quest'anno siamo in tre. Più una "presenza per delega".
Lo so, maledizione. Lo so. Se fossi impossibilitato a intervenire, il mio cuore sarebbe comunque qui, in questa cappella un po' freddina e piena di gente che vi si trova solo perchè ha voglia di prendere messa alle sei del pomeriggio, e per caso oggi è il 23 dicembre. Gente che Cesare non sa neanche com'è fatto, che non l'ha mai sentito cantare Bennato o i Gang, o visto giocare a tennis o a calcio nel campetto fangoso di Sambe o "a Ragio", ormai millenni or sono. So anche che chi oggi non è qui col corpo lo è con lo spirito. Assolutamente. Ne sono più che certo.
Eppure non riesco a non chiedermi: "dove sono tutti?"
Dissolvenza in chiusura...

facendo il verso a Caproni

Seduto al tavolo dell’Autogril
leggendo Caproni davanti a un
piatto di riso, all’improvviso
alzo gli occhi dal libro:
mi scopro indeciso
sul fatto fin ora ben chiaro:
sarà poi vero? m’appartiene?
la solitudine, intendo,
oppure le appartengo?
E in attesa d’un faro
bivacco.

Den

Un attimo di tregua dalla depressione pre-natalizia. Bene.
Sono qui davanti al Mac, col mio tazzone fumante di caffè all'americana, incline a ripescare dall'inondazione di ricordi del fine settimana qualcosa che valga veramente la pena (ah, come se vi fosse qualcos'altro che invece no!).
Attorno a me l'impianto pro-logic diffonde il morbido "Love Theme" di Vangelis... Blade Runner OST all'ennesima potenza suggestiva. In questo preciso istante attacca la prima strofa di "One More Kiss, Dear".

One more kiss, dear
one more sigh
only this dear
it's goodbye...


Abbasso un po' il volume per evitare lo sfratto. Ma...
...anno memorabile, il 1982.
Quattordici anni. Ricordo che pensavo quanto sarebbe stato bello ballare questa canzone stretto stretto con una certa ragazza, che però in materia aveva teorie che non prevedevano la mia presenza. Ricordo anche un'agghiacciante festa di carnevale vestito da ufficiale di marina, che trascorsi in perpetua fuga da una cicciona mercenaria con un debole per gli uomini in uniforme.
No, pesce piccolo... ributto in acqua.
Questa musica mi riporta un po' dell'entusiasmo per Blade Runner, tratto dalle pagine di quel P.K. Dick di cui a quella tenera età avevo già letto tanto (senza capirci un emerito fallo, intendiamoci, la "ragione" era di là da venire). Le pagine ritagliate da TV Sorrisi & Canzoni, comprato per l'occasione (tappandomi il naso... ma esiste un giornale più scemo?) dello speciale sull'uscita del film. L'immediata venerazione per il replicante Rutger Hauer, l'empatia per il piccolo uomo Harrison Ford sballottato dagli eventi. Lo sconcerto di primo acchito per il finale (ma come... non l'ammazza?). E l'orgasmo del famoso monologo della morte... "io ho visto cose che voi umani..."
Questo abbocca come una triglia... pluf! in acqua! sarà per un'altra volta.
Cambiamo disco. Cerco tra dune di polvere sui miei scaffali. Rigiro tra le dita Concert In Central Park, ma poi la vibrazione arriva dagli E.L.O. e il loro album "spaziale" Time. Non ho tempo per i prologhi, salto due canzoni e passo direttamente al piano struggente di Ticket To The Moon.

Remember the good old 1980's
when things were so uncomplicated
I wish I could go back there again
and everything could be the same

Diavolo. Potrei aver scritto io questa strofa una settimana fa. Invece l'ha scritta Jeff Lynn nell'81. Comunque non è dove stavo andando. Erase/Rewind. Torniamo al "Prologue", che prima avevo saltato.

Just on the border
of your waking mind
there lies
another time
where darkness and light
are one
and as you tread the halls of sanity
you feel so glad to be
unable to go beyond

Non mi ero mai reso conto di poter trovare Lovecraft anche nei testi degli Electric Light Orchestra... all'epoca sapevo un'acca pure d'inglese e l'importante era la musica, le facili melodie di Lynn (quasi ipnotiche), e lo stretto legame che sembrava trovare con la fantascienza di cui ero imbevuto peggio di un savoiardo.
Devo fare una confessione: a quel tempo gli amici che frequentavo ed io eravamo grezzi come delle ruspe. E infatti per alcuni di loro la massima aspirazione nella vita era, con sorprendente coerenza, quella di poter guidare un escavatore Bobcat. Ad onor del vero devo dire che questa caratteristica / qualità / difetto (cancellare la voce che non interessa) è ontologica nel ferrarese per nascita, e non mi sento di attribuire delle responsabilità. Però, nonostante la nostra proverbiale grezzuria, riuscivamo comunque a distinguerci nella stucchevole marmellata culturale degli anni '80. Tra coca e patatine al Mikey's Fast Food (MacDonald's sarebbe arrivato quasi vent'anni dopo), e le interminabili "vasche" domenicali (voce del verbo ferrarese transitivo "fare una vasca": compiere a piedi, in senso orario o antiorario, il tragitto quadrilaterale corso Martiri, corso Giovecca, via Bersaglieri del Po, piazza Trento Trieste. Il numerale "una", nella formula "fare 'una' vasca", è evidentemente ironico, in quanto di norma si può smettere solo dopo n giri, in cui n è uguale al quadrato della logorrea di chi ci accompagna moltiplicato per 3,14), insomma tra tutte le cose che ci accomunavano al volgo, ce n'era una che invece metteva negli occhi di un nostro eventuale coetaneo interlocutore una luce di curiosità e ammirazione. I fumetti. Mentre tutti i pecoroni si sciroppavano i soliti Tex e Zagor, o al limite uomini in imbarazzanti calzamaglie che si esprimevano come minorati facendosi poi chiamare supereroi, noi divoravamo le magnifiche tavole di Moebius o Corben o Breccia (ah, Mort Cinder, quanta nostalgia! da quale bara starai ora uscendo?).
Il nostro preferito, ovviamente, era Den di Richard Corben. E come avrebbe potuto essere altrimenti, con quelle meravigliose tavole pittoriche, quei colori così suggestivi, quei mondi così alieni e meravigliosi, quelle fanciulle così procaci che non portavano addosso nemmeno una foglia di fico? Lo stesso eroe, Den, appunto, che se ne andava in giro con il nerboruto carotone al vento come una banderuola in uno stato di perenne semi-erezione, e riusciva pure ad usarlo una tavola sì e una no, divenne oggetto di illimitata ammirazione e invidia. Ma il bruciante desiderio di emulazione era destinato a soccombere alle mille difficoltà, prima fra tutte la fauna ferrarese (tipico esempio: "vieni a balàre, carina?" "no, sinò sudo come una maialah" Oppure: "ciao, come ti chiami?" "Che casso votto!" quest'ultima di manifesta provenienza rodigina). Gli eccessi "virili" dovevano così necessariamente (e tristemente) essere sfogati attraverso canali alternativi, il più efficace dei quali si rivelò essere il videogame. Solo al "più dotato" era concesso lasciare come firma tra i punteggi elevati le tre lettere magiche: DEN

DEN 14.453 pts
DEN 14.202 pts
DEN 13.522 pts
ENR 228 pts

Intere paghette settimanali si riversavano nelle fessure che recavano la provocante dicitura "insert coin" (che, tra parentesi, manco sapevamo cosa volesse dire, e attribuivamo a interessi economici della famosa catena di grandi magazzini, chiusa parentesi).
Un giorno il dramma. Torniamo dopo settimane d'assenza alla ricerca del tal videogioco nel tal bar di quartiere. Ci avviciniamo sbavando all'oggetto del desiderio, con le tasche piene di monete da duecento lire. Ci affacciamo ansimanti al monitor e, orrore!, i primi tre punteggi della graduatoria High Scores superano i centomila punti, e, massimo sberleffo, l'artefice dell'affronto si è firmato DEN.
"Qualcuno di voi bastardi è venuto qui ad allenarsi senza dire niente?" nel gruppo serpeggia un po' di nervosismo, ma sappiamo reggere tutti lo sguardo del campione defraudato del titolo.
Mentre discutiamo a mezza voce dell'evento, un bambino sui nove anni ci passa tra le gambe e si mette a guardare il monitor come ipnotizzato.
Con parole che non sospettavamo conoscesse, l'ex campione si esprime sull'accaduto: "sai cos'è? Questo si chiama furto di notorietà! Altrochè!"
Il bambino intanto si è distaccato dal videogioco e si avvicina al bancone del bar.
"Papà, mi dai 200 lire?" dice al barista.
"...siccome sa che DEN è il nome di uno che ci sa fare, e che puoi trovare in tutti gli high score di tutti i videogame..."
"Adesso basta, Denis. Fai giocare anche i ragazzi."
"..."

indietro indietro

La mia automobile è una capsula del tempo.
Ho questa sensazione quando mi muovo di notte, con l'autoradio accesa che esclude i rumori della strada. Le luci di altre macchine mi girano attorno, mi superano, mi sfiorano silenziose e irreali galleggiando nella nebbia del weekend. La linearità è perduta. Sono sospeso nel nulla senza tempo che la musica crea nei miei ricordi. Questo è l'inverno, quello che li contiene tutti.

Tori Amos, A Sorta Fairytale - inverno '02
Bel Canto, Spiderdust - inverno '93
David Sylvian, Nostalgia - inverno '85
Shivaree, Goodnight Moon - inverno 2000
Sting, Mad About You - inverno '89
Echo & the Bunnymen, The Killing Moon - inverno '87
Tori Amos, Winter - inverno '94
The Cure, Friday I'm In Love - inverno '99
Depeche Mode, In Your Room - inverno '96

Non è l'autoradio. Non da sola, non potrebbe. E' un alchimia difficile, i cui ingredienti non sono sempre a disposizione. Ma quando li trovo li pesto insieme nel mortaio della notte, ne spargo la polvere sul cofano e il cruscotto.
Il volante, il cambio, le curve, i semafori. "Vivo in controtempo, sospeso". Questo limbo è quanto più si avvicini alla serenità che rincorro, anche così, vessato dai ricordi degli amori, dei lutti, le speranze, gli abissi. Li spazzo via dalla mia vista come la pioggianebbia col tergicristalli, basta una lieve pressione sulla pulsantiera della radio, Ma in realtà non faccio che sostituirli, alternarli, senza di loro non potrei fluttuare come faccio, tra il bruciore di un bacio non dato in quel palco a teatro, il sorprendermi colpevolmente lontano da dove sarei stato necessario, l'esaltazione di un ritorno a casa con un nome di donna che non abbandona le labbra, il dolore spezzarespiro di un ultimo check-in, un ultimo imbarco, un ultimo atterraggio.
Poi arrivo a destinazione, parcheggio, spengo il motore. La musica la spengo per ultima, ossequioso quanto il necromante verso i suoi demoni.
Il mattino dopo le parole delle canzoni non sono cambiate. Evidentemente è la notte l'ingrediente fondamentale.

i gatti

Rovistando tra i libri e le "sudate carte" mi sono imbattuto in un poeta che non ho mai capito bene, Antonio Porta. Nella raccolta che posseggo avevo tenuto il segno piegando l'angolino di una pagina. Risale a tempi non sospetti, a quando ancora ero ben lontano persino dal sospettare l'esistenza della mia cantantessa. Eppure c'è tanto di profetico in quel triangolino di carta che punta verso il centro del foglio. Quando trovo una parte di me nelle parole di un altro, rimango sempre così interdetto...

I GATTI

Da un'altra stanza mi chiedi
che cosa fanno i gatti,
un minuto fa urlavano per l'amore
ora tacciono nel gelo che ci invade.

Ora stai già dormendo, io veglio,
in attesa di voci dentro e fuori
vivo in controtempo, sospeso.


A. Porta
8.1.87

buio e silenzio

Sempre meglio e sempre peggio.
Stasera prendo direttamente la direzione del letto, e buonanotte ai suonatori. Lascio i piatti nel secchiaio, la biancheria nel catino sulla lavatrice, il film dentro il televisore. E le parole a galleggiare nell'inchiostro della stilografica, i sogni a sciogliersi come ghiaccio nel Contreau, il sonno a frantumarsi tra gli ingranaggi della sveglia. L'alba giungerà all'esatta scadenza, e io desidero solo oscurità.

varie ed eventuali

Weekend abbastanza tranquillo, e mi fa piacere continui il lunedì. Sono diventato un po' insofferente verso il mio lavoro, e questo mi preoccupa. Comunque un giorno in più di non-riposo fa bene (all'anima se non al corpo).
Venerdì sera mi è venuta a trovare P. che in questi giorni era a Ferrara per raccogliere materiale per una sua ricerca. Dovevamo cenare insieme (io dovevo fare quella carbonara che se siamo in due mi viene strabene, se siamo in cinque è 'na schifezz) ma alla fine si è liberata solo alle 11, e da quell'ora abbiamo parlato fino quasi alle 3. Non è infrequente, quando si tratta di P. fare le due anche se arriva alle nove. I nostri "dialoghi" sono un delirio di riferimenti letterari, artistici, musicali, filosofici (da parte sua), cinematografici (da parte mia) in ordine sparso e una continua apertura di parentesi dentro parentesi dentro parentesi, per poi perdere il filo che si stava seguendo. Ci divertiamo un mondo. Anche se stavolta era un po' giu, per via di alcuni problemi in famiglia, quando il tono s'è alleggerito siamo decollati e riguadagnare il suolo è stato faticoso.

Sabato in relax. Ho rimesso mano a vecchi progetti che avevo in sospeso, leggendoli con quel distacco ottenibile solo mettendo alcuni mesi tra la scrittura e la rilettura. E' un guaio non scrivere abbastanza in fretta da consumare in un'unica esplosione creativa le proprie idee. Queste si accavallano, si aggrovigliano, e va a finire che il materiale ristagna, che nuove idee (apparentemente) più appetibili cancellano anche il ricordo degli altri progetti in corso. Sto imparando la disciplina, però, e questi problemi sono meno gravi un paio di anni fa. Il vantaggio, poi, di aver tanto al fuoco è che quando hai finito di cucinare ci puoi sfamare un esercito.

Questa sera castagnata. E' ovvio che le mie castagnate non abbiano grande successo. Due settimane fa eravamo solo in tre, questa sera, invece, eravamo solo in tre. Ma gli assenti si sono persi, oltre a ottime caldarroste, biscotti caserecci e brazadèla (ciambella ferrarese) da intingersi a piacere nel vin novello o nella Cagnina romagnola. Vista l'affluenza, passerà un pezzo prima che ne organizzi un'altra.

Non è ancora finito, ma pare che abbia veramente trascorso uno dei miei primi weekend decenti in molti mesi. Che ci sia speranza?

hide and seek

Bidonato per il poker del giovedì, alla fine sono uscito con alcuni amici che non vedevo da tempo (il tempo, il tempo!). E naturalmente, tra una birra e un panino, si sono toccati tutti gl'infiniti argomenti delle uscite tra uomini, e che si possono tranquillamente sintetizzare nella parola "gnocca". Gira e rigira, non è che si vada poi così lontano.
Un tempo ero un fervente oratore, durante questi pittoreschi consessi. Ora mi tengo in disparte, un po' intimorito (e preoccupato) dal disinteresse che improvvisamente è calato su di me. Vivo in uno stato di separazione dall'anima (anche se "vivere" è una parola grossa), e ho mandato gli ormoni in campeggio. In teoria dovrei galleggiare in uno stato di pace primordiale uterina invidiabile. Invece gli unici momenti in cui sento un guizzo di ciò che, con molto ottimismo, si potrebbe chiamare vita, è quando scopro nelle tasche del riesumato giubbotto invernale reperti dimenticati di un sogno, una carta d'imbarco aereo, lo scontrino di un bar sulla spiaggia, e tutto diventa un'inutile gioco a nascondino coi ricordi. Che perdo.

Moths

Navigando, navigando, per una ricerca che sto facendo ho trovato dell'interessantissimo materiale sulle falene. No, non sono un entomologo, anche se di tanto in tanto frequento dei veri "ragni". Mi interessava trovare qualcosa sui simbolismi legati alle farfalle e alle falene in particolare. Insomma, avete mai visto Il Silenzio Degli Innocenti? Ma anche senza toccare temi tenebrosi o truculenti, praticamente ogni cultura (con l'eccezione forse dei soli Inuìt) possiede miti e simboli che riguardano questi insetti prodigiosi, la loro straordinaria bellezza e la loro incredibile metamorfosi.
Tra gli indiani d'America i Piedineri, ad esempio, erano convinti che le falene fossero portatrici di sogni e ispirazione divina durante il sonno. E la polvere delle ali delle falene era considerata dagli Yaqui la "polvere della conoscenza". Abbastanza singolarmente, per i Navaho invece la stessa era la "polvere della follia", che istiga all'incesto e fa correre veloci. Mi chiedo quale sia la relazione tra le due cose (incesto e corsa veloce, intendo). Può darsi che la seconda non fosse che una mera conseguenza dell'essere scoperti a praticare la prima? Corsa o non corsa, pare che la polvere delle ali delle falene sia un potente (potentissimo) afrodisiaco ("Put it on girls to make them crazy over you..."), e che i Navaho girassero con sacchettini di pelle dove mettevano tutte le falene su cui riuscivano a mettere le mani.
Che dite, sarà per questo che Jessica Rabbit è stata sorpresa a fare "farfallina farfallina"?
Meditate, gente. Meditate.

l'inverno del nostro scontento

Che cavolo...
Sono in grado di costruirmi attorno delle scintillanti gabbie di razionalità, ma non sono in grado di costruirle perchè durino. Come la casetta di paglia del più scemo dei tre porcellini, basta un soffio perchè mi cada addosso l'intera splendida struttura.
Poi m'aggiro fra le macerie dorate (torna Tori Amos con Gold Dust), rovistando tra i detriti, recuperando frammenti che giudico preziosi anche così contorti e inutili.
Raccontare storie è una scusa per allontanarsi dalla propria. Ma la sera, soli e in silenzio, le parole non si possono ingannare.

Amo invece ricordare degl’inverni
— o di quello che li contiene tutti —
quando sbocconcellavo immeritati affetti
da mani porte in amicizia
amore pietà
sensi patetici di colpa;
quando scosso da brividi
mi facevo gioco della stessa solitudine
con abili giochi di prestigio
e lei rideva
divertita e prestigiatrice migliore di me;
quando uscito di casa senza motivo
passeggiavo senza meta e rincasavo
senza sapere perché;
o quando ucciso dall’evidenza
della mia mortalità
me ne facevo fregio con eroici sorrisi
in società suscitando un rispetto
che era quanto solo non desideravo.
Dio! Quel senso d’abbandono
che non lasciavo
che non lasciava mai!
Tutto ritorna
evocato
ritorna tutto ma
mi accorgo che questa benefica coltre
si va diradando
tra strappi mal cuciti e fili
con una sola estremità.

politically correct

Oggi giornata cinematografica.
Ho finalmente trovato l'occasione e il tempo di vedere dei film che mi ripromettevo da tempo. No, niente roba d'essai di registi dai nomi dalla fonetica incerta. Roba più semplice e commerciale. Ovvero quel "There's something about Mary" dei fratelli Farrelly che pochi anni fà suscitò un certo interesse per la sua presunta politically uncorrectness. Prima di vedere il film mi ero scaricato da internet la sceneggiatura e avevo iniziato a leggerla, ma avevo dovuto interrompere la lettura quasi immediatamente perchè, giunto alla scena della zip, mi ero quasi incrinato una costola per le risate.
Che dire? Il film è certamente molto divertente. Ma politically uncorrect? Okay, vi sono diverse situazioni in cui in scena ci sono persone handicappate mentali (ovviamente attori che recitano la parte di handicappati), ma non si ironizza su di loro. Tutt'altro. La protagonista li ama e li coccola. Noi spettatori li amiamo tramite lei, e ci indignamo invece quando un tizio senza scrupoli (un esemplare Matt Dillon) li usa subdolamente per conquistarla. Le esilaranti contorsioni del personaggio semi-paraplegico per raccogliere le chiavi, poi, assumono un'importanza tutta loro quando si scopre che in realtà quest'altro tizio dissimula una salute di ferro attraverso le stampelle, sempre per conquistare Mary.
There's something about Mary è molto più "conformista" di quanto le sue sequenze grottesche possano indurre a credere. Qualche tempo fa girava una simpatica email dal titolo "quello che i film vogliono farci credere". Tipo: che appena hai bisogno di parcheggiare trovi un posto esattamente davanti alla porta del luogo dove ti stai recando, oppure che in qualsiasi momento tu accenda un televisore o una radio stanno trasmettendo una notizia di vitale importanza per te, o che "i buoni vincono sempre". Ecco, quest'ultima voce è un pochino troppo generica, anche se sostanzialmente vera. Non è questione di "buoni" ma di scelte. E' un qualcosa di profondamente insito nella struttura stessa dei film di scuola americana. La cosiddetta (notare le maiuscole, prego) Struttura In Tre Atti. Non è luogo questo per tenere lezioni di teoria della sceneggiatura (e nemmeno io sono abbastanza compente per farlo), ma l'equivoco è presto risolto. Nella stragrande maggioranza dei film americani è la suddivisione nei tra atti canonici (impostazione, sviluppo e risoluzione) a suggerire la condotta del protagonista, quale che sia il genere della storia. Al termine del secondo atto l'eroe è sempre costretto a prendere una decisione grave e irrevocabile di cui la risoluzione del conflitto sarà diretta conseguenza. L'eroe è costretto a fare la scelta giusta, la scelta coraggiosa e tempestiva, e sarà compiere questa scelta (il semplice fatto di) che produrrà gli effetti del terzo atto. Ben Stiller ama Mary e questo lo porta a fare "la scelta giusta", anche se così facendo è certo di perderla. Tutti Pazzi Per Mary è una commedia romantica (per quanto a tratti grottesca), e quindi alla fine la scelta di Ben Stiller è quella vincente, e dimostrando alla ragazza il suo amore sincero gli permette poi di poterla avere. Ma se anche ciò non fosse stato, il finale sarebbe stato poi così amaro? Confrontiamolo con quello del geniale Provaci Ancora, Sam di Woody Allen (e per trasposizione con quello del grande classico Casablanca). Diverrebbero praticamente identici: l'eroe rinuncia alla donna che ama ma in cambio guadagna una nuova coscienza di sè e una visione più ottimista del futuro. Sarebbe comunque un lieto fine.
Non sto contestando la scelta del finale del film dei Farrelly, anche se la scena in cui Ben Stiller se ne va piangendo (come quel liceale che da 13 anni non ha mai smesso di essere, grazie all'amore che prova per Mary), è talmente poetica e carica di empatia che io avrei chiuso lì, su quel pianto liberatorio. No, quello che sto dicendo è che secondo me per essere veremente politically uncorrect, un film ha bisogno di un approccio un po' più vicino a quella realtà che se ne infischia alla grande che si sia fatta la scelta giusta al momento giusto. Quella arbitrarietà (vedi messaggio sulla sfiga) che scombussola ogni nostro piano nei modi più imprevedibili e spesso drammatici, e magari anche grotteschi alla maniera dei f.lli Farrelly. E in ogni caso fare una scelta e ottenere il premio cui questa scelta si riferisce non sono affatto legati nè automatici. Nella vita reale la scelta giusta (o quella che credi che sia la scelta giusta), spesso non premia nè con la ragazza nè con una nuova coscienza di sè. E' più probabile che faccia guadagnare un bell'esaurimento nervoso.
Il film merita, non c'è che dire. Ma se siete alla ricerca della "scorrettezza" politica credo che dovrete andarla a cercare altrove.
Per la cronaca, i f.lli Farrelly sono anche autori di una piccola perla sottovalutata dal titolo Kingpin, che a mio parere è molto superiore a Tutti Pazzi Per Mary (certo, il cast è meno famoso...).

zerocarote

In ferrarese si dice "zurnadàza".
Ovvero "giornataccia". Ma non a causa del ritmo frenetico di lavoro, o di una qualche vessazione di cui non sono stato oggetto. No. Oggi è stata la giornata delle voglie. Insopportabili, incontenibili, ineludibili.
Verso le 11:30 s'è sparso per i corridoi (e io so che è così, anche se colleghi e colleghe negano con veemenza sospetta) un profumo di carne alla brace da risvegliare i morti. Non ho mai sentito niente di tanto appetitoso se non nelle più rinomate steak-house houstoniane. Il problema era: da dove cavolo veniva? La troppo rapida investigazione che ho potuto svolgere non ha portato risultati, e quindi, fiutando l'aria come un animale da preda, mi sono semplicemente rassegnato a mandare in giù per il resto della mattinata. Verso l'una l'odore (il profumo) è svanito misteriosamente come era apparso. Stizzito e smanioso di una qualche rivincita morale, a pranzo ho mangiato pesce spada.
Nel pomeriggio i miei pensieri sono stati turbati da 2 (due) chiodi fissi: carote, e un disco dei Sisters Of Mercy che ascoltavo quando avevo 16 anni e che, improvvisamente, mi è sembrato questione di vita e di morte possedere.
Inutile dire che, appena passato il badge, mi sono fiondato alla ricerca fremente di carote e CD. E sono rimasto a bocca asciutta per entrambi gli articoli.
Ad onor del vero debbo dire che di carote ce n'era a iosa. Ma il punto è proprio questo. Pare che nei moderni supermercati, al fine di concedere prezzi "all'ingrosso", gli ortaggi si vendano al quintale. E non avendo io un allevamento di conigli con cui condividere i miei pasti ho preferito desistere dall'acquisto, piuttosto che essere poi in un prossimo futuro costretto a buttar via.
Non parlo del cd per evitare una ricaduta di depressione. Dov'è finita tutta la musica degli anni '80? Nessuno sà più niente di Sisters Of Mercy, Spear Of Destiny, Cocteau Twins, Tuxedo Moon. Sullo scaffale, dove un tempo avrei trovato Siouxsie And The Banshees ora c'è Shakira. Gli Spear of Destiny sono stati sfrattati da Brittney Spears (ugh!). E non proseguo, che è meglio.
Zero carote, zero cd. Affogherò il dispiacere nella pizza surgelata che avevo messa da parte per i giorni di pioggia.

to re-read or not to re-read?

No, non è vero che non c'è nulla da raccontare. C'è eccome. E' una piccola cosa, ma non deve rimaner taciuta.
E' stato ieri. Ho fatto una rapida visita ad un amico e sulla sua scrivania ho rivisto la copia stazzonata de Il Giovane Holden che gli sta tanto a cuore. La conosco bene. Ero con lui quando l'ha comperata, anni fa. Stuzzicato, ha ammesso con soddisfazione che questa è la sedicesima volta che lo legge. Non ho potuto trattenermi: "ogni volta che rileggi questo libro" gli ho detto, "perdi l'occasione di leggerne un altro che potrebbe piacerti anche di più." Lui ha sorriso e non ha ribattuto.
A casa, prima di addormentarmi, ho ripensato a quell'assurdità. Il Giovane Holden sedici volte, con tutto il ben di Dio che si può trovare nelle più comuni librerie. Poi ho acceso l'abat-jour e ho attaccato il terzo atto dell'Amleto.
Non resisto. E' la ventesima volta che lo leggo.

s-ragionando

Strane giornate senza una direzione, queste.
Di quelle in cui la coscienza s'allontana mentre accendo il motore per andare in ufficio, e ritorna in me mentre parcheggio davanti a casa, la sera.
Sono addirittura senza citazioni... da non credere!
Mi spremo il cervello per capire se è successo veramente qualcosa degno di essere raccontato (e di solito, anche la cosa più infinitesimale, c'è). Ma niente. Tutto inutile.
Che sia un complotto?
Il collega che spara cazzate a raffica in questi giorni è costretto al silenzio da una recidiva d'influenza. Quello caustico sembra in pace col mondo. Potrebbero fare apposta per indispormi? Subdorando il mio interesse, il mio continuo attingere alle loro deliranti performace per fini di... di? Per quale ragione dissimulo tanta attenzione al loro modo d'essere e d'interagire? E' così esecrabile la mia curiosità sui molteplici modi in cui l'umanità viene a manifestarsi?
Notare le cose mi rende più partecipe, mi fa sentire più vivo. E a proposito di vitalità, visto che non ho citato nessuno fino a questo momento: "Cristo è morto, Dio è morto, e neanch'io mi sento troppo bene." Forse sono questi macigni di ricordi dello scorso novembre, che è impossibile smuovere senza la gru che non ho.
Andiamo a Corte? ché, a dire il vero, oggi non riesco a ragionare.

bla bla bla

Pessima giornata recuperata in serata.
Pokerino con gli amici. Veramente divertente, e non perchè ho vinto l'iperbolica cifra di tre euro e mezzo. Il relax (ma il termine corretto dovrebbe essere "lo sbrago") è stato totale. Non c'era bisogno di nessun "atteggiamento", Ogni cosa andava bene.
Per qualche ragione arcana le mie notti sono enormemente più piacevoli delle mie giornate. Devo avere sangue vampiro, nelle vene.
Buzzati, che in questi giorni m'assale a tradimento nei momenti più inaspettati, in ufficio, durante una conversazione telefonica, continua a suggerire le parole:

e già il futuro, l'immaginazione
non era una notte da Andersen
bensì una notte alquanto francese
la nebbia, cominciava la stagione


E al diavolo tutto. Tanto domani è venerdì (queste sono parole mie!)

*

Oggi
è anche mio lutto e sono
senza preghiere
che un Dio possa udire

più del silenzio che ho nel cuore.

fotografie

Certissimo di aver messo il tal libro su un certo scaffale (quello più alto, ovviamente), e "pirando" (verbo ferrarese genericamente traducibile come "aver pochissima voglia di esercitare le enrgie necessarie per compiere l'azione in questione") a procurarmi qualsivoglia mezzo d'ascensione, tipo sedia, che avrei dovuto trasportare dalla cucina (fatica!), ho iniziato un esercizio di stretching estremo grazie al quale il mio polpastrello è giunto infine a sfiorare il dorso dell'oggetto desiderato. Incoraggiato dal risultato, proteso verso l'alto che neanche Reed Richards, per superare gli ultimi centimetri m'è venuta l'idea balzana di fare un saltello. E ho in effetti raggiunto e afferrato il libro di cui sopra, ma a lui sono venuti fragorosamente dietro una quantità di altri libri, tra cui un manuale in due volumi di diritto amministrativo e il dizionario Sansoni italiano-tedesco,
E un album di fotografie.
Nonostante sapessi da sempre che quell'album fosse là sopra, ritrovarlo così è stata una sorpresa gratificante.
Dimentico del libro, ho iniziato a sfogliare le pagine plastificate rituffandomi nel passato zuccheroso delle foto di gruppo, cene, feste, gite e via così. Chi di voi ha visto il film One Hour Photo, sa di cosa sto parlando. Le foto sono ricordi selettivi. Ritraggono i momenti migliori. Gli altri rimangono "uncovered" (se mi passate il termine).
Forse in virtù dell'altalena emotiva su cui volteggio da giorni, le foto mi hanno procurato le reazioni più disparate, dalla commozione all'ilarità irrefrenabile. Fred, da dieci anni a questa parte, non è cambiato di una virgola. Temo che da qualche parte vi sia un suo ritratto che invecchia al posto suo. Jeff, fierissimo della sua Acura nera e lucida e lo sguardo sciroccato. Morto di aids ma non dimenticato. Nel mio portapenne ho il suo portachiavi. Eleni con la sua espressione perennemente perplessa, e la scia di macchie (vino, cioccolato, ecc.) seguendo la quale potevi rintracciarla ovunque. Ora è migliorata, ma l'amiamo lo stesso. Io e Massimo con il sombrero nero da mariachi che imitiamo i Tres Amigos (anche se siamo in due) alla festa di laurea di Lily e Chris... Ha! Elsa (la tira-sòle) messicana caliente, gestiva benissimo la quantità di ormoni che la sua sola presenza era in grado di sprigionare in noi, semplicemente non presentandosi agli appuntamenti. Ora è manager alla Shell. Deddy (ma voi lo sapevate che si pronuncia Didi? Cioè, a dir la verità ero io che non sapevo che si scrivesse Deddy!) che gira attorno a Massimo come una luna. Ora in Pensylvania, sposata con Brent, quattro marmocchi e uno in arrivo (mi arrivano puntualmente cartoline natalizie che ritraggono tutta la famiglia, ogni anno più numerosa). Leslie, texana verace dagli stivali alle patatine BBQ flavored (ma solo flavored, però), che girava con tutti i suoi averi in macchina come una nomade, e faceva il pane alle feste cui presenziava. Ora un caso per "Chi L'ha Visto?" C'è chi dice che sia in Francia, chi crede di averla riconosciuta tra gli ospiti nelle foto di nozze di amici di amici, ma nessuno è veramente sicuro dove sia.
Potrei proseguire. Ogni foto è una scatola cinese d'emozioni, di ricordi. Perdonatemi se non lo farò. Ci saranno occasioni. Un sacco di storie da raccontare.

cd

Consumerò questo cd a furia d'ascoltarlo.
Rubinstein con le dita su Chopin, la copertina fotocopiata e un mini adesivo di Hello Kitty. Se ci fosse un terremoto, fuggendo di casa è l'unica cosa che mi ricorderei di raccogliere.
Rigiro il jewel-case tra le mani. L'originale l'abbiamo (l'ha) preso da Ricordi, a Bologna, il giorno dei sospiri. La sua partenza incombeva come un temporale. Il mio cuore era carne tritata per il polpettone. E comprammo tutti e due un cd di Chopin. Molto appropriato.

Buzzati mi suggerisce le parole:

Ricordi la sera
che i due si baciavano e tu solo
Chopin discese
dalle mansarde di Dio
ti colpì per sempre alla nuca
facendoti grande
e infelice


Non riesco a lascar andare. Non riesco a lasciar andare. Non riesco a lasciar andare.

***

Ho finalmente capito il significato di "emotional roller-coaster". Dovevo salirci per comprenderlo, e ora che l'ho fatto non vedo l'ora che la corsa finisca.

Streghe

Per essere solo giovedì oggi sono straordinariamente stanco. In ufficio mi sono trascinato a fatica all'ora di timbrare in uscita, come se i tasti della calcolatrice pesassero chili.
Questo senso di pesantezza non mi ha aiutato quando ho incontrato R. al supermercato (ma chè?? sto scrivendo in rima o cosa?). Era tanto che non la vedevo, ma la diffidenza che ho maturato per lei è riemersa borbottando come un palombaro dagli abissi. Visto poi che odio fare la spesa, associare la persona alla circostanza a me sgradevole è stato uno scherzo. Dovrò cambiare supermercato.
Forse sono stato troppo freddo. Ora che ci penso me ne rammarico un po'. Comunque anche sforzandomi non credo che avrei potuto riscaldarmi più di tanto. Io sono quasi uno specchio, ho la tendenza a riflettere ciò che ho intorno. Eravamo ben lontani dal banco surgelati, ma vi assicuro che per poco non mi si gelavano le sopracciglia.
Adesso sono qui a guardare l'ennesimo vaso di Pandora scoperchiato. Le streghe urlano isteriche, svolazzandomi attorno sulle loro scope. Code di lucertola e polvere di ragno.
Ma non riesco a credere di divertirmi così. Ma i tempi sono diversi ora. Non ci sono pozioni che tengano. I tarocchi parlano a vanvera, raccontano barzellette sconce. Gli spilli sono caduti dalla bambolina voodoo.
Per una volta penso che mi addormenterò col sorriso sulle labbra. Non c'è niente di meglio che scoprirsi capaci di spezzare un incantesimo. O un maleficio.

sugarland express

Oggi a tavola una collega ha aperto una bustina di zucchero con eccessiva veemenza, zuccherando i presenti sottoscritto compreso. Non ho potuto trattenere una sonora risata (l'azione era stata esilarante e degna dei migliori film di Jerry Lewis), ma tutto quello zucchero non è bastato ad addolcire i meno spiritosi.
Nel silenzio che è seguito, il treno dei miei pensieri, solitamente su un binario morto, ha preso a correre verso destinazioni ignote alla partenza. Ed essendo un semplice passeggero di seconda classe, non mi è restato altro che ammirare il panorama in attesa del capolinea.
E alla fine questo è arrivato, inaspettatamente (o forse no?) prevedibile e a modo suo doloroso. Il treno ha anche effettuato soste in una quantità di stazioni. Per fare un paragone, è come se, per andare da Milano a Lodi, si passasse per Como, Novara, Torino e Genova.
Un altro collega ora faceva lo spiritoso circa la possibilità di zuccherare il caffè con una grattatina fra i capelli, ma il mio umorismo era in pausa pranzo. Tenevo in mano la mia bustina di zucchero, che recava la scritta Beghin-Say in basso e così in piccolo da passare quasi inosservata. Pensavo ad alcune zollette di zucchero, incartate una per una con quel marchio su un lato e il disegno di un monumento di Parigi sull'altro, e mettendole tutte insieme formavano un puzzle con la mappa ideale di quella città. Ad un tè a colazione una fredda mattina di dicembre, lontano dal mondo dei vivi. Alle piastrelle gelate sotto i piedi e il calore che m'invadeva il cuore. A Orfeo ed Euridice.
Con una doccia ho tolto lo zucchero dalla testa. Il resto non è venuto via.

friends are the family we choose for ourselves

Un weekend frettoloso. Una combinazione di impegni da togliere il fiato. Venerdì cena in un postaccio affumicato e i prezzi ingiustificati: Ferrara è il paradiso per chi ama locali come questo, in mano a improvvisati che cercano di raschiare fino al fondo del barile per il tempo (si spera poco) in cui il posto "tira" in quanto novità.
Sabato giornata strana. Di quelle che si dimenticano in fretta ma che pure lasciano un segno, da qualche parte, anche se non so dove.
Pomeriggio in punta di penna (ma ho combinato poco o niente) in compagnia di David Sylvian e un attacco di depressione.

Voices heard in fields of green
their joy their calm and luxury
are lost within the wanderings of my mind

I'm cutting branches from the trees
shaped by years of memories
to exorcise their ghosts from inside of me

The sound of waves in a pool of water
I'm drowning in my nostalgia


Cena con amici ciarlieri di lunga data. Il calore della tavola aiuta a passare sopra alla carbonara appena dignitosa (il cuoco ero io!), e a dimenticare sia il venerdì che il pomeriggio stesso (non ho bisogno di "nemici"... riesco a fare benissimo tutto da solo). Le solite chiacchiere, ma a volte sono una benedizione. Chi fa cosa e dove. Chi sta con chi e non più con chi altro. Il lavoro è uno schifo, L'economia ferrarese è uno schifo al cubo. Dalla serata nascono propositi per una castagnata e una vacanza tutti insieme in un agriturismo sugli appennini. Sinceramente, ho forti dubbi che si realizzi anche solo la castagnata. Ma, come dice il vecchio Vasco, va bene così. Ci siamo divertiti e rilassati.Tanto basta.

Ora dirò la Banalità con la "B" maiuscola: ma dove va il tempo? Chi fa cosa e dove? Due bancari, un avvocato, una ricercatrice universitaria, un'impiegata del fisco. Penso a come eravamo quasi vent'anni fa, quando eravamo tutti e cinque solo studenti in legge, e non riesco a trattenere il sorriso. Ma dico, cosa avremmo pensato di noi stessi se allora avessimo avuto la chance di vederci così come eravamo a tavola sabato? No, non particolaremente invecchiati, ma diversi. Le stesse persone ma diverse. Non resisto, ho una citazione anche da The Boxer di P. Simon e credo che non ve la caverete. Infatti eccola qua: "after changes upon changes we are more or less the same".
Beh, anche io sono più o meno lo stesso di ciò che ero allora, ma credetemi se vi dico che non so cosa avrei potuto pensare. Forse mi sarei sentito sollevato, ecco, nel vederci tutti lì a tavola e nessun assente (tranne quel pazzo di Serj al palazzetto, ma era in preventivo). Perchè le cose che si danno per scontate sono le prime a sorprenderci con la loro assenza, e questo vale anche e soprattutto per le persone.
Si parlava di destino, casualità, fortuna/sfortuna.
Sono grato alla vita perchè i miei amici sono lì a prendermi in giro, e io sono lì che posso essere preso in giro.

gold dust

Piove da questo pomeriggio. I primi momenti scendeva qualcosa che somigliava a nevischio. Ora viene che Dio la manda.
Siedo in auto e so che è troppo presto. Spengo il motore per attendere l'ora improrogabile dei sorrisi. Ma nel frattempo alzo il volume dell'autoradio e chiudo gli occhi.
Tori Amos canta Gold Dust. Gli archi, nelle scale basse, fanno vibrare tutto. Li percepisco attraverso la scarpa. Il pianoforte mi accarezza il viso, dolce e struggente.

How did it go so fast, you'll say,
as we are looking back
and then we'll understand,
we held gold dust in our hands.

Dura troppo poco. Ma ormai comincia a far freddo, nel mio guscio metallico. Apro gli occhi. Oltre il mio parabrezza rigato dalla pioggia qualche coppia s'affretta, sotto gli ombrelli, verso il weekend.

Vado anch'io.

#13

E' il tredicesimo messaggio, e caso vuole che vi si parli di sfiga.
Oggi un collega, citando un articolo letto chissà dove, ha osato dire sopra le sue tagliatelle che la sfortuna non esite. Apriti cielo (che piovono santi)! E' stato immediatamente sommerso da esempi "sfigati", e nonostante la sua eroica resistenza alla fine è stato costretto alla resa.
Non sono del tutto in disaccordo circa la non esistenza della sfortuna. Avendo studiato legge, mi sono trovato ad affrontare il cosiddetto "principio della materialità" nel diritto penale, ovvero il principio per il quale perchè un fatto (una condotta) sia punibile è necessario che sia stato ciò che ha prodotto materialmente il danno. Esempio: io sparo a tizio. Tizio muore. Io sono causa dell'evento. Oppure: io sparo a Tizio ferendolo gravemente. Arriva un'ambulanza che carica Tizio e parte a sirene spiegate. Al primo incrocio l'ambulanza sbanda e ha un terribile incidente, in seguito al quale Tizio muore. Io sono causa della morte di Tizio si o no? Se io non gli avessi sparato non si sarebbe trovato a bordo dell'ambulanza. O no?
Lo studio della causalità è affascinante e ricco di controversie, ma in sintesi la cosa che colpisce di più è l'idea che il "caso" non esiste. Niente è casuale, è semplicemente una questione di ignoranza. Se fossimo onniscienti il caso non potrebbe mai sorprenderci.
Se, ad esempio, sapessimo che Pincopalla, al volante della sua Punto giallo Ferrari con cerchi in lega e sospensioni ribassate, sta sopraggiungendo all'incrocio senza notare il semaforo rosso perchè intento alla regolazione dell'autoradio, col cavolo che spingeremmo sul gas allo scattare del verde. Oppure, per meglio intenderci, se fossimo coscienti dell'esatto grado di usura dei nostri pneumatici, dell'esatta traiettoria della ruota sulla carreggiata, della presenza e dell'esatta posizione di un vetro appuntito sulla strada, il fatto di bucare proprio in quel posto e proprio in quel momento (magari a notte tarda e sotto una pioggia torrenziale) non ci stupirebbe affatto. E anzi cambieremmo la nostra condotta di conseguenza.
Dicevo però di non essere "del tutto" in disaccordo. Permangono dubbi che stanno a monte di tutto ciò.
Prima di tutto, e fino a prova contraria, nessuno di noi è onnisciente. (Non so voi, ma io neache ci terrei ad essere onnisciente, dato che mi rovinerebbe il gusto della lettura e la visione dei film. Ok, chiusa parentesi).
In secondo luogo, anche la conoscenza a volte, se mi permettete questo gergo giurisprudenzialistico, non è sufficiente ad evitare l'evento dannoso. Deja-vu: "attento che si scivola!"... Sbam! E giù santi innocenti.
Dulcis in fundo, i meccanismi della causalità sono così complessi o arbitrari, o tutte e due le cose insieme, che sfido chiunque, compresi i professori di diritto penale, a non chiamarne il risultato "sfiga".
Se nel giro di un quarto d'ora tre diversi distributori di benzina self service vi fottono ogni singola banconota che avete (visto!), o la donna che passeggia a un passo da voi si sistema la borsetta, e urtando la bottiglietta d'acqua che reggete la colpisce, evidentemente, in un punto sensibile, facendola letteralmente esplodere sulle vostre Clark's nuove di zecca (visto anche questo!), o se colpiti sulla folta capigliatura dalla perfida "bomba" di un piccione, alzate lo sguardo al cielo per lanciargli una maledizione e venite centrati in piena fronte dalla perfidissima bomba sganciata da suo fratello (visto anche questo, indovinate dove? Esatto! Venezia!), ammettetelo, non vi viene subito da dare la colpa alla vostra ignoranza.
E quindi, nonostante l'ammirevole ed eroica resistenza del collega contro l'astio generale che l'ha percosso senza pietà, devo unirmi al coro. Ebbene, la sfiga esiste. E siamo tutti (tutti!!) sotto tiro.

guidando

Mentre guido continuo a cercare con gli occhi le Medical Towers come punto di riferimento, le luci bianche intermittenti alla sommità delle guglie gemelle. Solo che sono a casa. Le strade si srotolano da un gomitolo di spago rinsecchito, non da un rocchetto di lucido nastro per pacchi dono.
Per un attimo credo di scorgere ciò che cerco, ma l'illusione è presto distrutta dal contesto. Le "guglie" in realtà non sono che due tralicci qualsiasi. Gli alberi non li coprono più.
Tutto ciò dà da pensare.
Mi guardo indietro (no, non nello specchietto retrovisore), cercando di capire se nella mia vita ho già compiuto un simile errore, verso un luogo o magari una persona. La risposta mi spaventa. Adesso che ho una nuova chiave di lettura per la mia vita, questa chiave si dimostra un paradigma entro il quale riesco a far stare qualsiasi cosa. Ogni esperienza del mio passato vi s'adagia comodamente, come in una vasca ad idromassaggio, lasciandomi interdetto a guardarla, quasi incapace di reazione.
Sorrido della mia ingenuità, della mia ippocondria emotiva. Un anno fa, solo un anno fa, questi pensieri non mi avrebbero turbato più di tanto. Ora sarei capace di fermarmi in C.so Piave a chiedere a un passante come raggiungere le torri del St. Luke's.

other voices

Avevo promesso storie, ma una volta entrato nel tempio il tabernacolo s'è riempito di emozioni.
Pazienza. Arriverà anche il momento delle storie.
Ho cose da dire, anche se devo farlo nel modo più oscuro.
Ho una bella voce ma non so cantare. Che c'entra, direte voi. C'entra, c'entra.
Non so cantare, ma mi rimangono le parole impresse nella mente, in punta di labbra. A volte le canto a squarciagola mentre guido. Ricevo strane occhiate ai semafori. Ma è una liberazione. Una liberazione. Abbasso il volume della radio, in modo di sentire meglio la mia voce (è bella ma non so cantare), e via. Libero le parole:

I know a man
He came from my home town
He wore his passion for his woman
Like a thorny crown.

Libero le parole:

Sometimes I think you want me to touch you
How can I when you build a great wall around you.

Libero le parole:

I'm so sad - like a good book I cant' put this day back
A sorta fairytale with you.

Penso alla mia cantantessa lontana, così lontana. E in più neanche mia, se devo dire la verità. A quanto mi mancano le smorfie che faceva quando cantavo. Potevo capirlo anche all'altro capo del telefono.
Così libero le parole:

I hear my voice
I hear my voice
And it's been here
Silent all these years.

universi in pizzeria

Poche considerazioni prima del sonno.
Ogni uomo è un universo.
Ogni mente è un'entità che contiene in sè il proprio infinito.
Nessuno è paragonabile a nessuno.
Basta osservare il modo in cui ognuno di noi mangia la pizza.

orbita bassa

Credo di essere ancora sotto l'effetto del jet-lag.
La fatica che faccio ad alzarmi dal letto è poco al di sotto della forza di volontà necessaria per compierla. Ragione per cui, alla fine, mi ritrovo in bagno a lavarmi la faccia. Basterebbero pochi grammi per centimetro quadrato in più per mantenermi a letto. Oppure una giornata particolarmente piovosa. Accresci la fatica o diminuisci la forza di volontà: stesso effetto.
Poi però ingrano.
A fine giornata i conti tornano, e quando sarebbe ora di andare a dormire sento l'impulso irrefrenabile di fare quattro passi o di mettermi a leggere un romanzo (cosa che non faccio da mesi).
Stasera, invece, ero a cena con i poeti.
Gradisco la loro compagnia solo dopo un po'. Mi sento sempre a disagio nei primi minuti, forse addirittura la prima ora. E non saprei dire perchè. Il gruppo, di cui mi sento appartenere e che mi accetta come tale, è affiatato e informale, addirittura goliardico (se mi passate questo termine inflazionato e forse non del tutto calzante). Eppure, anche sapendo questo, anche assaporandone con anticipazione l'evento, ci metto sempre un po' a entrare nello spirito.
Mi sono sempre chiesto perchè. Ma ogni risposta risponde anche alla domanda del perchè, in prima istanza, li apprezzi tanto. Forse è per la loro sincerità, per il loro genuino entusiasmo verso ciò che è bello - che sia una citazione da un film di Bergman o lo spacco immaginifico nell'abito di una bella figliola - forse per la naiveté dei loro (dei nostri) consessi, per l'impudenza con cui prendiamo in prestito, maltrattiamo e restituiamo tutte sgualcite idee, immagini e concetti.
La difficoltà che incontro nei primi momenti è forse comprensibile se prendo ad esempio un'immagine da un libro che ho (arghhh!!!) prestato e che probabilmente non rivedrò mai più, almeno in questa vita.
Ad un certo punto la protagonista salta fuori con la perla che segue:
"Ma tu, quando ti vuoi avvicinare a una persona, che fai? Acceleri o rallenti?"
Non ditemi che non sapete la risposta. La dovete sapere. La dovete sentire sulle labbra nel momento stesso in cui leggete la domanda.
Riformuliamo:
Inutile accelerare per calare l'orbita. Calare l'orbita rende più veloci.
E poi non dite che non vi avevo avvertito :-)

insonnia

Giornata senza storia in ufficio, le solite menate (se mi passate il francesismo).
Piove una pioggia polverizzata che rende inutile l'ombrello. In pochi istanti gli occhiali diventano un caleidoscopio che moltiplica ogni luce per cento, per mille.
A volte credo nel Destino. Quando sento il suo soffio che sfiora ma sono abbastanza incoscente da ignorarlo, e quello si sceglie qualcun altro su cui infierire. Il dolore che proviamo quando chi ci è vicino soffre è fatto per tre parti di affetto e per una parte di senso di colpa per aver pensato che almeno questa volta non è toccato a noi.
Nel frattempo, fuori con Sal e Marce, la serata è stata un delirio di complotti internazionali, consigli per gli acquisti, sms selvaggi e birra.
Ora è tardi e dovrei proprio andare a letto. Ma sento il richiamo delle parole che non posso scrivere, e rimango qui a guardare il cursore che lampeggia dopo questa frase

back home

In casa mia ritrovo le piccole cose che ho lasciato partendo. E alla partenza non pensavo avessero tanta importanza.
Ricordi, come macchie sui muri. Non c'è una vite, in questo appartamento, che non mi risvegli qualcosa dentro ...e ci abito da tanto poco. Ma tant'è. Tutto nuovo, tutto vivido come un incubo.
Io, che vivo immerso nelle storie, abito nel libro che contiene la mia.
Se mi permettete una citazione colta, Sartre dice che la vita diventa avventura quando viene raccontata. Mi associo di cuore e col cuore. Ma non chiedetemi altro se non volete essere sommersi dalle parole. Verrà fuori un po' alla volta, ve lo prometto.

Sometimes I'm dreaming
where all the other people dance

mineralwasser

Tornato a casa. Scrivo sul fido Mac, finalmente!
Il viaggio è stato piuttosto faticoso. Alla fine sono rimasto sveglio per più di 32 ore!
Fred mi ha portato in aeroporto sotto un'acqua che Dio la mandava, e un traffico bestiale causa lavori sulla 59. Era un po' seccato perchè il giorno prima aveva preso una multa, ma appena l'ho fatto parlare di donne s'è rilassato.
Check-in in un lampo, ma al controllo di sicurezza mi hanno fatto togliere anche le scarpe da tennis.
"Ve la siete cercata" ho pensato appoggiandole sul vassoio che mi porgevano per il controllo, trattenendo innocentemente il respiro. Comunque è andato tutto bene. Il tizio ispanico col metal detector non ha fatto una piega, e io sono andato a farmi un panino prima dell'imbarco.
Devastanti le 5 ore d'attesa per la "coincidenza" a Francoforte. Non ci starebbe male un cinema in questi grossi aeroporti dove si rischia di aspettare giornate intere. Poi ho delle lamentele sulla ristorazione...
Al bar, il tizio prima di me ordina:
"Mineralwasser, bitte." E prontamente la cameriera appoggia sul banco una bottiglietta blu, che il tizio paga e porta via. M'avvicino assetato.
"May I have some water, please?" La cameriera mi guarda con aria interrogativa. Ripeto la richiesta.
"Sorry, sir. We don't keep it"
"You don't have mineral water?"
"No sir. Would you like some juice instead?"
"I thought I heard that guy asking for mineral water. Are you sure you don't have it?"
"Very much, sir. We don't keep mineral water. What would you like instead?"
In preda a estrema secchezza delle fauci, oltre che a spossatezza da viaggio intercontinentale, capitolo.
"Orange juice, please."
Con un sorriso smagliante la cameriera mi serve e mi saluta.
Ora, è anche vero che sono un tantinello sordo, ma proprio così rincoglionito dal viaggio (ancora) non ero. Meglio del Jonny English che avevano appena proiettato sul volo da Houston, pedino il tedescone baffuto con la bottiglietta blu e mi siedo di fianco a lui, proprio di fianco, rischiando pure di finirgli in braccio a causa di una manovra avventata con lo sgabello.
L'etichetta sulla bottiglia è chiara: mineralwasser.
Digrigno i denti. Non importa... tra poche ore sarò a casa.

HPL film festival

A Portland al H.P.Lovecraft Film Festival, qualche giorno fa.
Dite che ero nervoso? Ebbene, ero nervoso. Di nuovo negli USA dopo 8 anni di lontananza... e poi il mio inglese... ormai degenerato in un balbettio imbarazzante.
Alla dogana mi chiedono se ho con me cibo di qualche genere, carne, frutta o verdura. Io, con la miglior faccia tosta italiana, "dimentico" i 5 kg di Parmiggiano Reggiano (un presente originale, dovrete ammetterlo) che zavorrano le mie 2 (due!) valigie, sperando in cuor mio che non abbiano cani antidroga, perche' non saprei cosa ne verrebbe fuori, altrimenti. Perche' due valigie? Una brillante idea di mia madre: perche' portare una sola, enorme e pesantissima valigia, cosi' scomoda e difficile da trasportare, quando puoi portarne due e raddoppiare il peso?
Seguo le istruzioni di Andrew fuori dall'aeroporto e sulla Light Rail, scendo alla stazione designata e inizio la via crucis verso l'Econo Lodge sulla Broadway. Problema uno: dove c**** e' il f*****o Econo Lodge sulla Brodway e, per inciso, dove c**** e' la Broadway? Problema due: queste 2 (due!) valige del c**** non dovevano avere le ruote?
E' tutta una pioggia di santi mentre trascino l'equivalente del mio peso in biancheria e Parmiggiano in su e in giu per le strade di Portland, e minaccia pure di piovere. Per intenderci, non quella roba timida e umidiccia che chiamiamo pioggia in Italia. Siamo nel Northwest. Qui quando piove si rischia l'annegamento (le solite americanate!).
Miracolo (o disdetta, dipende dai punti di vista, devo aver preso la direzione sbagliata!): davanti a me si profila la sagoma surreale dell'Hollywood Theater. Gli avventori, tutti rigorosamente in nero, che affollano il marciapiede antistante mi confermano che sono proprio all'H.P.L.FF! Bene. L'albergo e' alle mie spalle. Two blocks away, se ricordo bene. Un altro paio di santi lasciano il loro posto tra le nubi mentre raggiungo la lobby e prendo possesso della mia camera.
Dopo l'orientamento spaziale devo risolvere il problema dell'orientamento temporale: l'orologio sul mio cellulare mi dice (giustamente) che e' l'una di notte (e che ormai sono in piedi da 21 ore), ma a Portland sono le 5 pomeridiane e il pensiero di dover resistere ancora almeno fino alle 9 mi getta temporaneamente nello sconforto.
L'Hollywood Theater (in restauro: volete contribuire? www.hollywoodtheater.org) ricorda una casa infestata: quale posto migliore per un festival dedicato al Maestro?
Entro e mi presento. Dopo qualche attimo di perplessita' scatta l'entusiasmo. "And you came all the way from Italy, right?" Manco l'avessi fatto a nuoto! Il boss del festival mi riempie di pubblicazioni, cd, magliette, foto autografate da Stuart Gordon. E infine mi mette al collo il pass personalizzato col logo del festival, il mio nome, il titolo del film e le parole magiche: Film Maker. Ventidue ore di viaggio (e due pasti a bordo di un volo Lufthansa!!) svaniscono in un attimo dopo che ho il pass. Come tutto cio' che e' legato a Lovecraft, deve avere qualche dote soprannaturale.
Mi ambiento e faccio conoscenza con diversi scoppiati piu' o meno locali. Bisogna fare sempre i conti col fatto che siamo in America. E' un piccolo festival, in fondo, ma non ho mai visto tanta gente appassionata di Lovecraft tutta insieme. Quando e' ora di iniziare le sale, tre, sono gremite. Mi accomodo in una poltroncina dell'Upper Left Screen assieme al mitico Graig e a suo zio, e la luce in sala si abbassa. Sullo schermo enorme la stanza di una casa evidentemente disabitata, nella luce calda del tramonto. Voce fuori campo: "Il posto delle cose non e' dove crediamo che sia..." Il pallone rompe la finestra, ecc. ecc., crediti, ecc. ecc.
Il pubblico risponde bene. Lo tengo d'occhio anche se e' difficile staccare lo sguardo dallo schermo... il film e' cosi' grande! E si notano particolari che sul televisore sfuggono inesorabilmente all'occhio.
Le immagini scorrono, la storia si dipana e il pubblico non molla. Arriva la scena del polso della violinista ed e' tutto un coro di "yeouch!". Siamo nel finale. Un pallone rompe di nuovo la finestra, il sole tramonta di nuovo. La porta sbatte chiusa e cade il buio. Bienvenue a la maison. Crediti.
E applauso. Scrosciante, appassionato. Quando dico che sopravvivo rincorrendo i miei sogni, mi riferisco a questo.
Io gongolo, aspettando in silenzio che il pubblico si alzi e se ne vada. Cosa che naturalmente non succede, perche' il programma dice chiaramente che dopo la proiezione ci sara' "Q&A with screenwriter". Mi frego le mani per l'anticipazione di questa chicca succosa. Poi Craig mi da di gomito e fa' un cenno con la testa... dimenticavo: sono io!
Il pubblico rimane in sala e, dopo che sono salito sul palco e sono stato presentato, iniziano le domande. Alcune scontate: quanto tempo ci ho messo a scrivere la sceneggiatura, quanto tempo sono durate le riprese, chi c**** e' la donna bendata, ecc. Poi iniziano le domande piu' interessanti. Tipo: Lovecraft usa raramente personaggi femminili, come mai avete deciso di inserirne addirittura tre in ruoli cosi' importanti? Wow! Oppure: da cosa e' stata dettata la scenta dei racconti da inserire nella storia? Qual e' stata la difficolta' maggiore nella stesura della sceneggiatura? Come hai scelto gli episodi da riportare nella sceneggiatura e quelli da escludere? E cosi' via e cosi' via.
Io, in piedi da 26 ore e cotto come uno strudel, rispondevo nel mio inglese quantomai "fantasioso" e "creativo".
E, per una delle poche volte nella mia vita, ero felice.

buone notizie

A giornata finita raramente mi fermo a considerare cio' che ha significato.
Sara' forse la stanchezza o il timore di scoprire che non ha significato proprio niente.
Oggi, per lo meno, le buone notizie: problemi zero sia per quanto riguarda la questione nefrologica che quella cartiologica. Sospiro di sollievo.
Posso fare tutto. Posso essere tutto.
Problema morale: devo proprio?

3

Oggi in clinica.
Devo farci stare tutto. Prelievi, visita del dott. Kahan, la prova da sforzo nucleare (di qualsiasi cosa si tratti... ho il terrore che sia un ECG mentre vado di corpo in un gabinetto radioattivo).
Cosi' imparo ad organizzarmi meglio.
Sfatiamo subito il mito dell'America super organizzata ed efficientista. Se vi viene il sangue alla testa ogniqualvolta avete a che fare con la burocrazia medica italiana, tenetevi lontani dal Texas Medical Center. Se la vostra salute non ve lo permette, un solo consiglio: fate la voce grossa... da subito!! Fate sapere loro chi e' che caccia la grana e, medici a parte, ha voce in capitolo.
In Italia saremo anche abituati a far di ogni necessita' una virtu', ma alla lunga cio' puo' portare dei benefici. Ad esempio riuscire a fare un banale prelievo del sangue a una ventina di pazienti in meno delle due ore e rotti che ci mettono questi phlebotomists del c****!
No, non ascoltatemi. Sono riconoscente a questi phlebotomists del c****. E non solo a loro. Gli ingranaggi saranno un po' ferragginosi, ma in fondo il meccanismo funziona. Le persone vengono curate, o, con una parola troppo compromettente per essere pronunciata ad alta voce, "guarite". E diffidate delle statistiche. Il luogo comune che si puo' far dire loro cio' che si vuole e' vero, verissimo. Cardiologi e cardiochirurghi italiani (o una buona parte di loro) hanno un bel sbandierare di cifre che la "loro" mortalita' post-intervento e' inferiore a quella statunitense. Solo omettono un particolare imbarazzante. Che "loro" i pazienti difficili non li operano.

...come non detto

Un nome/un motivo.
Perche' The Breakfast Club?
Domanda: qualcuno di voi ha visto il film?
Sono certo che tutti (tutti!!) appena hanno letto le parole "The Breakfast Club" sono stati colti da un fortissimo deja-vu, udendo senza preavviso la voce suadente di Jim Kerr che intonava l'accattivante ritornello di "Don't You (Forget About Me)". Bei tempi. Tempi di Tecno-Pop, guerra superfredda (modello pinguino delonghi), Stallone e' al suo meglio, Michael Jackson in "Thriller", con invidiabile sagacia profetica, diventa uno zombie, tempi di Uccelli di Rovo, A-Team, Live Aid. E Simple Minds che, appunto, cantano l'indimenticabile "Don't You".
D'accordo.
Ma il film? Il film, l'avete visto?
Plausibile risposta: no.
Beh, che aspettate? Andatevelo a vedere, no?!
Pero' vi posso anticipare questo. Che le chiavi di lettura possono essere diverse, e che una di queste e' che ognuno di noi porta in se' gli altri, e che gli altri hanno in loro una parte di noi.
"Will you recognize me?
Call my name or walk on by?
Rain keeps falling, rain keeps falling
down, down, down, down..."

start

Qui a Houston sono le 10 di sera.
Fuori dalla finestra del Marriott Medical Center Hotel posso vedere, quel tanto che le torri del St. Luke's Episcopal Hospital e del Texas Children's Hospital mi permettono, a sud. Una spianata di luci bianche, gialle o rosse che si estende fino all'orizzonte (sono al 22o piano).
In testa mi ronzano le parole di una canzone degli U2: "...and oustide is America."
La' fuori c'e' l'America. Il caldo umido del Texas sta cedendo all'autunno. La TV ronza in sottofondo spot pubblicitari alieni, interrotti a tratti da qualche sporadica sequenza di un film con Eddy Murphy.
Gli U2 cedono il posto a Paul Simon: "...all gone to look for America."
Tutto e' ancora piu' grande di come lo ricordavo. L'Astrodome, addirittura, sembra una casupola alluvionata, in confronto allo stadio colossale che gli hanno costruito a fianco. Cantieri sorgono ovunque, e di giorno e' tutto un formicolare di omini tarchiati e olivastri con gli utensili alla cintura e l'elmetto in testa. Palazzi cristallini come fontane sorgono dove ricordavo prati. Sulla Holcombe un complesso di appartamenti, in mia assenza, ha fatto in tempo ad essere costruito, abitato, abbandonato e a diventare pure fatiscente! In America anche il tempo e' piu' veloce.
Non mi spiego, allora, le facce annoiate...
Rimangono familiari i bumper stikers, che non si trovano da nessun'altra parte. Mentre guidi t'incanti a leggerli, rischiando di sbagliare strada per inseguire il tizio con la Mercury grigio-topo ammaccattuccia e rugginosa, la targa pendula dal paraurti, e la scritta: "Careful, driver just doesn't give a shit anymore!"
Il piu' bello: "God Bless America... and please hurry!"