l'inverno del nostro scontento

Che cavolo...
Sono in grado di costruirmi attorno delle scintillanti gabbie di razionalità, ma non sono in grado di costruirle perchè durino. Come la casetta di paglia del più scemo dei tre porcellini, basta un soffio perchè mi cada addosso l'intera splendida struttura.
Poi m'aggiro fra le macerie dorate (torna Tori Amos con Gold Dust), rovistando tra i detriti, recuperando frammenti che giudico preziosi anche così contorti e inutili.
Raccontare storie è una scusa per allontanarsi dalla propria. Ma la sera, soli e in silenzio, le parole non si possono ingannare.

Amo invece ricordare degl’inverni
— o di quello che li contiene tutti —
quando sbocconcellavo immeritati affetti
da mani porte in amicizia
amore pietà
sensi patetici di colpa;
quando scosso da brividi
mi facevo gioco della stessa solitudine
con abili giochi di prestigio
e lei rideva
divertita e prestigiatrice migliore di me;
quando uscito di casa senza motivo
passeggiavo senza meta e rincasavo
senza sapere perché;
o quando ucciso dall’evidenza
della mia mortalità
me ne facevo fregio con eroici sorrisi
in società suscitando un rispetto
che era quanto solo non desideravo.
Dio! Quel senso d’abbandono
che non lasciavo
che non lasciava mai!
Tutto ritorna
evocato
ritorna tutto ma
mi accorgo che questa benefica coltre
si va diradando
tra strappi mal cuciti e fili
con una sola estremità.

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