rude awakenings
martedì 8 giugno 2004 by Enrico
Nuovo sogno. Ma purtroppo la donna rossa questa volta non c'entra. Chissà dov'è, cosa sta facendo mentre la penso e, beh sì, la desidero. E' un po' alienante scoprirsi a fissare il vuoto pensando a qualcuno che probablimente non esiste.
Di una vividezza straordinaria, ma a cui sono abituato, il nuovo sogno s'è confuso con quello stato di veglia incosciente che è preludio del vero risveglio, rendendo il tutto ancora più incredibilmente reale.
Dunque apro gli occhi. Il sole filtra dalla finestra tagliando la penombra come un coltello. E' domenica mattina presto, lo capisco dalla qualità della luce, ma non mi secca essermi svegliato perchè posso richiudere gli occhi e abbandonarmi all'indolenza. Prima di farlo mi stiro lungamente, assaporando il tepore delle lenzuola, la morbidezza dei cuscini. Mi giro sul fianco destro e con gli occhi socchiusi e assonnati vedo P. che entra in camera da letto con passo silenzioso e un sorriso solare sulle labbra.
Sorpreso, torno a mettermi supino e la guardo. La luce dell'alba la illumina mentre si sveste, e mentre si sveste, riponendo con cura i vestiti, mi parla tranquilla e serena delle ultime cose che ha scritto, di come sono piaciute, di come vorrebbe migliorarle. Tanto che, dopo un attimo, il fatto che si trovi nella mia camera da letto mi pare come la cosa più naturale del mondo. Seduta sul bordo del lettone si sfila i pantaloni e continua a parlarmi, e sempre parlando li piega, li appoggia sulla cassettiera e infine si volta a sorridermi. Poi tace. Ora ha addosso solo una camicia bianca che la copre quasi fino alle ginocchia. Gira attorno a letto, s'insinua felina sotto le lenzuola e mi si fa vicina. Sento i suoi piedi che si avvolgono ai miei.
Mi giro verso di lei, avvicinandomi al suo viso. Allungo la mano per una carezza ma all'improvviso lei è come insensibile. I suoi occhi dilatati guardano avanti a lei, il resto del volto è una maschera indecifrabile e inespressiva.
"chi...?" dice.
Per un attimo non capisco, poi sento tutto il corpo che mi s'irrigidisce, il freddo che mi travolge, i capelli che mi si raddrizzano sulla nuca. Seguo il suo sguardo fino ai piedi del letto. Là c'è una ragazzina. Avrà dieci, dodici anni, ha capelli castani sciolti sulle spalle, occhi grandi, acquosi, ha addosso una camiciola da notte azzurra e ci guarda con tristezza infinita.
"chi...?" dice ancora P. e sento tutto il terrore nella sua voce, come lo sentirei nella mia se riuscissi a dire anche una sola parola. La sua mano si stringe alla mia al punto di dolere.
Chi? O cosa? P. ed io sappiamo bene che la bambina è un fantasma. Che vuole qualcosa da noi.
Vorrei agire in qualsiasi maniera. P. però non mi lascia andare, non sò se per il timore che mi possa accadere qualcosa o se semplicemente non vuole rinunciare a quel poco di sicurezza che il mio contatto le regala. Si stringe a me, sento i suoi piedi che scalciano in preda al panico, come se stesse nuotando disperatamente per tenersi a galla. Alla fine riesco a divincolarmi dalla sua presa, e lei inorridisce vedendimi uscire da sotto le coperte, ultima difesa.
Rimanendo sul letto mi avvicino alla bambina col cuore martellante. Sento P. che trattiene il fiato alle mie spalle. Lo spettro muove le labbra come se stesse parlando, ma non odo alcun suono, alcuna parola. Guardo quegli occhi profondi, profondamente tristi e all'improvviso mi accorgo che le mie gambe stanno spingendo, che sto compiendo un balzo in avanti, che travolgerò chiunque o qualsiasi cosa si strovi di fronte a me.
E lo faccio. I lineamenti della bambina s'avvicinano rapidissimamente e poi scompaiono. Sento un freddo mortale che s'impossessa di me, e un urlo agghiacciante nell'aria mentre ruzzolo sul pavimento.
E mi sveglio. Di soprassalto. Scatto seduto sul letto, gli occhi che cercano nella stanza, le vene che pulsano sulle tempie. Il sole filtra dalla finestra tagliando la penombra come un coltello. Dèja-vu. Aspetto per qualche minuto, respirando affannosamente. P. non arriva. Vado a prepararmi la colazione.
Dove sei, donna rossa?...
Di una vividezza straordinaria, ma a cui sono abituato, il nuovo sogno s'è confuso con quello stato di veglia incosciente che è preludio del vero risveglio, rendendo il tutto ancora più incredibilmente reale.
Dunque apro gli occhi. Il sole filtra dalla finestra tagliando la penombra come un coltello. E' domenica mattina presto, lo capisco dalla qualità della luce, ma non mi secca essermi svegliato perchè posso richiudere gli occhi e abbandonarmi all'indolenza. Prima di farlo mi stiro lungamente, assaporando il tepore delle lenzuola, la morbidezza dei cuscini. Mi giro sul fianco destro e con gli occhi socchiusi e assonnati vedo P. che entra in camera da letto con passo silenzioso e un sorriso solare sulle labbra.
Sorpreso, torno a mettermi supino e la guardo. La luce dell'alba la illumina mentre si sveste, e mentre si sveste, riponendo con cura i vestiti, mi parla tranquilla e serena delle ultime cose che ha scritto, di come sono piaciute, di come vorrebbe migliorarle. Tanto che, dopo un attimo, il fatto che si trovi nella mia camera da letto mi pare come la cosa più naturale del mondo. Seduta sul bordo del lettone si sfila i pantaloni e continua a parlarmi, e sempre parlando li piega, li appoggia sulla cassettiera e infine si volta a sorridermi. Poi tace. Ora ha addosso solo una camicia bianca che la copre quasi fino alle ginocchia. Gira attorno a letto, s'insinua felina sotto le lenzuola e mi si fa vicina. Sento i suoi piedi che si avvolgono ai miei.
Mi giro verso di lei, avvicinandomi al suo viso. Allungo la mano per una carezza ma all'improvviso lei è come insensibile. I suoi occhi dilatati guardano avanti a lei, il resto del volto è una maschera indecifrabile e inespressiva.
"chi...?" dice.
Per un attimo non capisco, poi sento tutto il corpo che mi s'irrigidisce, il freddo che mi travolge, i capelli che mi si raddrizzano sulla nuca. Seguo il suo sguardo fino ai piedi del letto. Là c'è una ragazzina. Avrà dieci, dodici anni, ha capelli castani sciolti sulle spalle, occhi grandi, acquosi, ha addosso una camiciola da notte azzurra e ci guarda con tristezza infinita.
"chi...?" dice ancora P. e sento tutto il terrore nella sua voce, come lo sentirei nella mia se riuscissi a dire anche una sola parola. La sua mano si stringe alla mia al punto di dolere.
Chi? O cosa? P. ed io sappiamo bene che la bambina è un fantasma. Che vuole qualcosa da noi.
Vorrei agire in qualsiasi maniera. P. però non mi lascia andare, non sò se per il timore che mi possa accadere qualcosa o se semplicemente non vuole rinunciare a quel poco di sicurezza che il mio contatto le regala. Si stringe a me, sento i suoi piedi che scalciano in preda al panico, come se stesse nuotando disperatamente per tenersi a galla. Alla fine riesco a divincolarmi dalla sua presa, e lei inorridisce vedendimi uscire da sotto le coperte, ultima difesa.
Rimanendo sul letto mi avvicino alla bambina col cuore martellante. Sento P. che trattiene il fiato alle mie spalle. Lo spettro muove le labbra come se stesse parlando, ma non odo alcun suono, alcuna parola. Guardo quegli occhi profondi, profondamente tristi e all'improvviso mi accorgo che le mie gambe stanno spingendo, che sto compiendo un balzo in avanti, che travolgerò chiunque o qualsiasi cosa si strovi di fronte a me.
E lo faccio. I lineamenti della bambina s'avvicinano rapidissimamente e poi scompaiono. Sento un freddo mortale che s'impossessa di me, e un urlo agghiacciante nell'aria mentre ruzzolo sul pavimento.
E mi sveglio. Di soprassalto. Scatto seduto sul letto, gli occhi che cercano nella stanza, le vene che pulsano sulle tempie. Il sole filtra dalla finestra tagliando la penombra come un coltello. Dèja-vu. Aspetto per qualche minuto, respirando affannosamente. P. non arriva. Vado a prepararmi la colazione.
Dove sei, donna rossa?...