empty house

Diana Krall mentre ceno.
La sua voce vellutata canta parole che mi danno un improvviso fastidio. "Cry me a river".
Cerco con gli occhi il telecomando dello stereo. Alla fine mi alzo e premo il dito sul pulsante On/Off quasi con rabbia. Cala il silenzio come una bastonata.
Basta.
Di nuovo seduto davanti al piatto, con la coda dell'occhio scorgo il telecomando fare capolino da sotto la fruttiera, che è pure vuota. Lo prendo in mano, tenendo ad un tempo l'angoscia per le corna. Che spinge, spinge. Mi sà che entro sera mi prenderò una bella incornata.
Cosa vuol dire tutto questo?
Ho lasciato l'altra casa ed ora sono in questa. E' più grande, più spaziosa, più luminosa. Ogni volta che mi dimentico qualcosa in una stanza mi tocca fare sto smisurato corridoio, che prima o poi mi comprerò dei pattini.

(pattini... trentadue anni fa mio padre solleva una scatola verde davanti ai miei occhi, nella medesima stanza dove mi trovo ora, a scrivere sul portatile mac del mio sconforto. Pattini. Mi dice che me li ha portati in dono la sorellina appena nata. Ottima mossa, papà.)

Farò causa ai traslocatori. Manca uno scatolone all'appello. Hanno dimenticato i miei sogni nel mio vecchio appartamento.

Il vuoto. Il vuoto.

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