a Cupàr

Beh, domattina inizia il calvario degli occhi... Operazione di rimozione della cataratta. S'inizia col sinistro e tra una settimana faranno il destro. Uffa...

L'unica cosa positiva (a parte gli sperati effetti di recupero della visuale anteriore), è stato incontrare all'ospedale di Copparo, a distanza di 12 anni, la mia prima infermiera di dialisi.
La scorsa settimana, seduto in attesa di essere visitato, me la sono vista passare davanti spingendo un carrellino medico con quel suo sguardo capace di liquefare acciaio inox 18/10, ma lì per lì non l'ho riconosciuta subito. Quando è tornata sui suoi passi ho invece capito che era proprio lei: il mito in persona.

Ricordo come fosse ieri il mio primo ingresso in sala dialisi. Io con l'aspetto che Giovannino Guareschi avrebbe definito da "spumarino pallido". Quattro infermiere mi assalgono parlando tutte assieme dicendomi che non posso stare lì e chi diavolo mi ha fatto entrare, prima di rendersi conto che sono un paziente. Ma sotto quella gragnuola di parole io non presto attenzione a nessuno, intento come sono ad osservare le squadrate, grottesche, sinistre e sibilanti macchine da dialisi.

Ammetto senza problemi il mio terrore. Nessuno si era preoccupato di dirmi che cosa fosse la dialisi, come funzionasse e quali fossero gli eventuali rischi. Per quel che ne sapevo avrei potuto essere legato ad una delle poltrone che avevo davanti e tormentato con un ferro rovente tutto il pomeriggio (avrebbe, una cosa del genere, efficacia terapeutica? Boh? Magari un effetto placebo...). In questo clima di ansia tangibile, mentre sto considerando l'idea d'evadere infrangendo la vetrata di una finestra, L. mi punta addosso il dito come una Luger nonchè il suo sguardo sciogli-inox apostrofandomi con le parole magiche: "A tì ag pensi mì, adèss" (trad: "di lei mi prendo cura io, signore"). Sottinteso: "tì 'ta tènti, c'a t'al sà!" (intraducibile).
Ebbene, per qualche ragione, il tono minaccioso di quest'annuncio (che ha dell'inquietante anche a distanza di 12 anni), ha potere d'acquetarmi. Quando vengono sguainati aghi delle dimensioni di spade da samurai è come se non li vedessi neppure. Il pensiero è: "lei sa cosa c'è da fare. Bene, molto bene. Anzi, ottimo!"

Ciò non vuol dire che poi, da quel momento, tutto smise di botto di sembrarmi spaventosamente pericoloso. Per quello mi ci volle un po' più di tempo. Però debbo dire che le infermiere, avendomi subito inquadrato come una persona emotiva, cercarono di sdrammatizzare ogni problema che si presentò. J., per esempio, accortasi di avermi forato "troppo", mantenne il sangue freddo e con l'aplomb da gentildonna inglese si limitò a bestemmiare a voce alta, scagliare a tre metri di distanza una tanica di Amuchina con un calcio, ed esclamare leggermente risentita: "a t'ò ruinà al brààaaazzzz!!" (trad: "le ho causato un leggero ma seccante problema al braccio, signore").

E' possibile pensare con nostalgia ad un periodo così difficile della propria vita, come quello trascorso in dialisi? Forse si. Perchè nei propri ricordi si tende a trascurare gli elementi negativi, soprattutto se quelli positivi sono piacevoli da serbare nel cuore. L. che si aggira tra le macchine da dialisi imitando l'allora in voga Sig.ra Coriandoli e il suo "taleeeefonoooooo!!!", o che estrae i numeri della tombola (ebbene sì, giocavamo a tombola) con una voce che è stata inserita tra i fattori dell'inquinamento acustico cittadino.

Gira e rigira, ciò per cui val la pena qualsiasi cosa, è e rimane il fattore umano.

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