mall-rats

All'inizio non volevo accettarlo, ma credo di appartenere anch'io alla nutrita schiera dei mall-rats. Purtroppo, pranzando tutti i giorni in un grande centro commerciale, un mall, appunto, non posso non definirmi un abitudinario. E Kevin Smith, regista del mitico "Clerks" (vocina fuoricampo: "trentasèttteee"), ha definito questa categoria di oziosi come "mall-rats", dedicandovi un film (deludente) che porta lo stesso nome. Topi da centro commerciale.

Il centro commerciale è un microcosmo dotato di logiche e leggi fisiche incomprensibili alla luce del sole. Entrandovi si viene ad essere sospesi in un non-tempo molto simile a quello creato ad arte nei casinò per irretire i giocatori e indurli a giocare più o meno per sempre (o finchè non finiscono i soldi). Luci artificiali, musica, spettacoli, offerte speciali, mostre d'arte (chiamiamola così), concorsi a premi. Immagino che, in questo caso, il fine sia indurre all'acquisto sfrenato.

Spesso lo status di mall-rat si manifesta con l'accentuarsi di certi sensi (vista, udito, olfatto), che permettono di predire con buona approsimazione cosa ci sarà nel menù del giorno prima di giungere al bancone, o indovinare quale tavolo si libererà per primo nell'area ristorazione.

Noi mall-rats impariamo a riconoscerci a vicenda con un'occhiata. La disonvoltura, la familiarità con cui ci si rivolge alla barista di Caldi Sapori (un nome che riesce a mediare in sè gastronomia ed erotismo) è un indizio pericoloso che taluni dissimulano. Anche conoscere i nomi di tutte le commesse del negozio Swatch è un segno preoccupante. Conoscerne anche i turni settimanali è la prova definitiva.

Forse, però, va fatto un distinguo. Ovvero tra semplici abitudinari per necessità (il caso mio, dei miei colleghi e, a quanto capisco, di molti altri il cui ufficio soffre dei medesimi problemi logistici), e i veri mall-rats, lo zoccolo duro, nulla (o poco) facenti, perdigiorno, pericolosi pensionati che guidano carrelli della spesa come auto sportive (ma questa è un'altra storia).

Gli abitudinari possono essere più o meno normali. Ce n'è uno che penso che per pettinarsi infili tutte le mattine le dita in una presa di corrente. Una sua collega pranza sistematicamente con un tè e piadina (abbinamento raccapricciante battuto solo da cappuccino e pasta alle cozze, da me visto cenando una sera al mitico Antonio's Flying Pizza). Uno, addirittura, passa tutto il suo tempo a guardare nel piatto degli altri, psicanalizzandoli e fantasticando su di loro... sì, quest'ultimo è proprio il più strano di tutti!

Ma i veri mall-rats... ahh... quelli sono poesia.

Il tizio da me battezzato l'Uomo Bottiglia, ad esempio. E' un basso e corpulento signore sulla sessantina il cui fisico ricorda un fiasco di Chianti (con l'impagliatura), e osservandolo bene viene da chiedersi se non ne condivida anche il grado alcolico. S'aggira in galleria con un vecchio e sbrindellato abito a scacchi due misure più stretto di quanto sarebbe prudente, le sigarette che sembrano voler schizzargli fuori dal taschino ad ogni respiro, il giornale infilato in una tasca della giacca e un sorriso rubicondo che suscita tenerezza e, perchè no?, invidia. L'aspetto sarà del derelitto, certo, ma ha l'aria felice (Se c'è qualcuno qui che può dire in tutta sincerità di essere felice alzi la mano. Mmm, come pensavo...).
L'attività preferita dell'Uomo Bottiglia è stare in fila al bar, possibilmente dietro a qualche bella ragazza, a cui sfodera il suo gioioso sorriso infantile. E la parte più commovente è proprio la sua tenacia nel sorridere, sebbene nessuno, e dico proprio nessuno, gli rivolga mai la parola, e la gente gli giri bene al largo.

Anche il Tossico è un soggetto simpatico. Ottenebrato da chissà quale sostanza psicotropa, segue caracollando traiettorie degne di un quadro di Escher (mi aspetto di vederlo presto camminare sui muri) nell'uniforme della categoria: jeans e parka sbiadito, e ben calcato sui capelli che sbucano come i serpenti di Medusa, berrettino giallo senape sporco di olio motore (avrà dormito sotto un'auto?). Lui colpisce per la fantasia delle scuse che adduce per spillarti denaro. Il suo martellante "c'hai n'euro" alla fine fa capitolare anche i più refrattari. Ad onor suo và detto che, una volta che t'ha estorto la fatidica moneta bimetallica, poi non t'importuna più per almeno tre settimane. Mi sembra un prezzo onesto.
Meraviglioso: una volta l'ho visto protendersi in uno spasmodico sforzo di memoria di fronte ad una locandina che pubblicizzava un'iniziativa benefica, ovvero una partita di calcio in cui una delle squadre contendenti era composta da magistrati. Mentre strizzava gli occhi sulla foto della squadra, faceva scorrere il dito sotto i volti dei giocatori dicendo: "lo conosco, no, no, no, lo conosco, no, sì..."

Le qualità umane si manifestano nei modi più inaspettati.

(Se quanto sopra vi è parso un inutile sciabordio di parole senza costrutto non posso darvi torto. Era solo per dire di aver scritto qualcosa il giorno di S.Valentino. Vi abbraccio.)

0 commenti: