Den

Un attimo di tregua dalla depressione pre-natalizia. Bene.
Sono qui davanti al Mac, col mio tazzone fumante di caffè all'americana, incline a ripescare dall'inondazione di ricordi del fine settimana qualcosa che valga veramente la pena (ah, come se vi fosse qualcos'altro che invece no!).
Attorno a me l'impianto pro-logic diffonde il morbido "Love Theme" di Vangelis... Blade Runner OST all'ennesima potenza suggestiva. In questo preciso istante attacca la prima strofa di "One More Kiss, Dear".

One more kiss, dear
one more sigh
only this dear
it's goodbye...


Abbasso un po' il volume per evitare lo sfratto. Ma...
...anno memorabile, il 1982.
Quattordici anni. Ricordo che pensavo quanto sarebbe stato bello ballare questa canzone stretto stretto con una certa ragazza, che però in materia aveva teorie che non prevedevano la mia presenza. Ricordo anche un'agghiacciante festa di carnevale vestito da ufficiale di marina, che trascorsi in perpetua fuga da una cicciona mercenaria con un debole per gli uomini in uniforme.
No, pesce piccolo... ributto in acqua.
Questa musica mi riporta un po' dell'entusiasmo per Blade Runner, tratto dalle pagine di quel P.K. Dick di cui a quella tenera età avevo già letto tanto (senza capirci un emerito fallo, intendiamoci, la "ragione" era di là da venire). Le pagine ritagliate da TV Sorrisi & Canzoni, comprato per l'occasione (tappandomi il naso... ma esiste un giornale più scemo?) dello speciale sull'uscita del film. L'immediata venerazione per il replicante Rutger Hauer, l'empatia per il piccolo uomo Harrison Ford sballottato dagli eventi. Lo sconcerto di primo acchito per il finale (ma come... non l'ammazza?). E l'orgasmo del famoso monologo della morte... "io ho visto cose che voi umani..."
Questo abbocca come una triglia... pluf! in acqua! sarà per un'altra volta.
Cambiamo disco. Cerco tra dune di polvere sui miei scaffali. Rigiro tra le dita Concert In Central Park, ma poi la vibrazione arriva dagli E.L.O. e il loro album "spaziale" Time. Non ho tempo per i prologhi, salto due canzoni e passo direttamente al piano struggente di Ticket To The Moon.

Remember the good old 1980's
when things were so uncomplicated
I wish I could go back there again
and everything could be the same

Diavolo. Potrei aver scritto io questa strofa una settimana fa. Invece l'ha scritta Jeff Lynn nell'81. Comunque non è dove stavo andando. Erase/Rewind. Torniamo al "Prologue", che prima avevo saltato.

Just on the border
of your waking mind
there lies
another time
where darkness and light
are one
and as you tread the halls of sanity
you feel so glad to be
unable to go beyond

Non mi ero mai reso conto di poter trovare Lovecraft anche nei testi degli Electric Light Orchestra... all'epoca sapevo un'acca pure d'inglese e l'importante era la musica, le facili melodie di Lynn (quasi ipnotiche), e lo stretto legame che sembrava trovare con la fantascienza di cui ero imbevuto peggio di un savoiardo.
Devo fare una confessione: a quel tempo gli amici che frequentavo ed io eravamo grezzi come delle ruspe. E infatti per alcuni di loro la massima aspirazione nella vita era, con sorprendente coerenza, quella di poter guidare un escavatore Bobcat. Ad onor del vero devo dire che questa caratteristica / qualità / difetto (cancellare la voce che non interessa) è ontologica nel ferrarese per nascita, e non mi sento di attribuire delle responsabilità. Però, nonostante la nostra proverbiale grezzuria, riuscivamo comunque a distinguerci nella stucchevole marmellata culturale degli anni '80. Tra coca e patatine al Mikey's Fast Food (MacDonald's sarebbe arrivato quasi vent'anni dopo), e le interminabili "vasche" domenicali (voce del verbo ferrarese transitivo "fare una vasca": compiere a piedi, in senso orario o antiorario, il tragitto quadrilaterale corso Martiri, corso Giovecca, via Bersaglieri del Po, piazza Trento Trieste. Il numerale "una", nella formula "fare 'una' vasca", è evidentemente ironico, in quanto di norma si può smettere solo dopo n giri, in cui n è uguale al quadrato della logorrea di chi ci accompagna moltiplicato per 3,14), insomma tra tutte le cose che ci accomunavano al volgo, ce n'era una che invece metteva negli occhi di un nostro eventuale coetaneo interlocutore una luce di curiosità e ammirazione. I fumetti. Mentre tutti i pecoroni si sciroppavano i soliti Tex e Zagor, o al limite uomini in imbarazzanti calzamaglie che si esprimevano come minorati facendosi poi chiamare supereroi, noi divoravamo le magnifiche tavole di Moebius o Corben o Breccia (ah, Mort Cinder, quanta nostalgia! da quale bara starai ora uscendo?).
Il nostro preferito, ovviamente, era Den di Richard Corben. E come avrebbe potuto essere altrimenti, con quelle meravigliose tavole pittoriche, quei colori così suggestivi, quei mondi così alieni e meravigliosi, quelle fanciulle così procaci che non portavano addosso nemmeno una foglia di fico? Lo stesso eroe, Den, appunto, che se ne andava in giro con il nerboruto carotone al vento come una banderuola in uno stato di perenne semi-erezione, e riusciva pure ad usarlo una tavola sì e una no, divenne oggetto di illimitata ammirazione e invidia. Ma il bruciante desiderio di emulazione era destinato a soccombere alle mille difficoltà, prima fra tutte la fauna ferrarese (tipico esempio: "vieni a balàre, carina?" "no, sinò sudo come una maialah" Oppure: "ciao, come ti chiami?" "Che casso votto!" quest'ultima di manifesta provenienza rodigina). Gli eccessi "virili" dovevano così necessariamente (e tristemente) essere sfogati attraverso canali alternativi, il più efficace dei quali si rivelò essere il videogame. Solo al "più dotato" era concesso lasciare come firma tra i punteggi elevati le tre lettere magiche: DEN

DEN 14.453 pts
DEN 14.202 pts
DEN 13.522 pts
ENR 228 pts

Intere paghette settimanali si riversavano nelle fessure che recavano la provocante dicitura "insert coin" (che, tra parentesi, manco sapevamo cosa volesse dire, e attribuivamo a interessi economici della famosa catena di grandi magazzini, chiusa parentesi).
Un giorno il dramma. Torniamo dopo settimane d'assenza alla ricerca del tal videogioco nel tal bar di quartiere. Ci avviciniamo sbavando all'oggetto del desiderio, con le tasche piene di monete da duecento lire. Ci affacciamo ansimanti al monitor e, orrore!, i primi tre punteggi della graduatoria High Scores superano i centomila punti, e, massimo sberleffo, l'artefice dell'affronto si è firmato DEN.
"Qualcuno di voi bastardi è venuto qui ad allenarsi senza dire niente?" nel gruppo serpeggia un po' di nervosismo, ma sappiamo reggere tutti lo sguardo del campione defraudato del titolo.
Mentre discutiamo a mezza voce dell'evento, un bambino sui nove anni ci passa tra le gambe e si mette a guardare il monitor come ipnotizzato.
Con parole che non sospettavamo conoscesse, l'ex campione si esprime sull'accaduto: "sai cos'è? Questo si chiama furto di notorietà! Altrochè!"
Il bambino intanto si è distaccato dal videogioco e si avvicina al bancone del bar.
"Papà, mi dai 200 lire?" dice al barista.
"...siccome sa che DEN è il nome di uno che ci sa fare, e che puoi trovare in tutti gli high score di tutti i videogame..."
"Adesso basta, Denis. Fai giocare anche i ragazzi."
"..."

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