swings and slides

Parco Massari con un libro.
L'ultima volta che ci sono stato risale al settembre del 2000, assieme a mio padre che mi vegliava, fermo ma premuroso come solo chi è passato attraverso le stesse esperienze e conosce le perfidie della convalescenza di un infartuato può essere. La mollezza delle gambe. Quella dello spirito.
Allora scegliemmo la prima panchina all'ombra disponibile. Io ansimavo per lo sforzo, per la drammatica riscoperta dell'assioma incontrastabile della fragilità umana. E mio padre scherzava e mi sfotteva, come al solito, un po' pesante, sempre come al solito. Dissimulatore dieci volte migliore di me.
Oggi percorro in bicicletta tutto il perimetro del parco, in una morbida curva attenta, soppesando con gli occhi gli spazi, renderizzando inconsciamente il panorama alla luce dei ricordi e deile immagini di vecchie filmine in super8 di me a quattro anni. Mio nonno, morto meno di un anno dopo, che mi cala nella carlinga di un aereo da caccia della seconda guerra mondiale, ancorato al suolo lì dove ora c'è un'aiuola spellacchiata. Il bar con il pois di tavolini sul prato secco si dissolve nel recinto delle caprette. Risorgono gabbie rugginose contenenti scimmiette puzzolenti e pappagalli stinti.
Panchina libera. La dolce curva attraverso lo spazio-tempo termina nella nuvoletta di polvere sollevata dalla mia frenata. Mi stendo con lo zainetto sotto la testa, apro e finisco il libro, mentre mi giungono gli schiamazzi lontani e dolci dei giochi, come provenienti dei miei ricordi. Le altalene, le ruote. Gli scivoli. Così alti, luccicanti, roventi sulle gambette che fuoriuscivano dai calzoncini corti. Le scarpe da tennis che frenavano, sfregando, la discesa. Ma tenendo i piedi in poco sollevati si andava giù come fucilate, toccando terra increduli che il divertimento potesse essere così incredibilmente breve, fugace. Per questo s'indugiava alla partenza, nonostante le cosciette sfrigolassero sulla lamiera incandescente, le mani che fingevano di dare la fatale spinta in avanti due, tre, cinque, dieci volte. E poi si andava. E subito si arrivava. Lo sbuffo di polvere delle scarpine al suolo.
Eccomi che scendo, veloce come una pallottola.
Sto arrivando. Sto arrivando.

1 commenti:

    molto presto arriverò anch'io!!!un bacio enrico!