intermission

E' qualcosa nel sangue, credo.

Non ho trascorso quaranta giorni e quaranta notti di veglia e digiuno nel deserto. Non sono rimasto chiuso in una tenda invasa dal fumo. Non ho fatto uso di droghe o abusato di alcool.

Eppure il file risulta creato il 15 dicembre 1997, alle ore 8.56. Ma io so di aver solo ricopiato il testo da uno dei miei "giornali". L'idea per un romanzo (breve) o un (lungo) racconto. Pendente più verso il racconto, penso. Ma poi, che ne sò, io? Niente. Infatti non è diventato nè l'uno nè l'altro. Mi immagino davanti al Mac - e non c'è dubbio che fosse un Mac, dato che non ho mai usato altro, solo che non ricordo se si trattasse del performa 630 o l'LC II, e per qualche ragione che mi sfugge nella mia testa il dettaglio pare importante. Boh? Forse ai fini della datazione... -, dunque mi immagino davanti al Mac che m'immagino di scrivere chissà quale capolavoro. E scrivo questo attacco in prima persona - un Io Narrante, insomma -, il protagonista che rincasa, deposita soprabito e cappello, si abbandona al buio sul divano e sorride, con un nodo alla gola, del messaggio di sua madre alla segreteria telefonica. Accende la televisione, salvo poi spegnerla subito, respingere una blanda ma pericolosa fitta di tristezza, andare alla scrivania e sedersi davanti al Mac. E non scrivere niente.

Niente.

S'abbatte mortificato e sconfitto sul divano. E dopo un po', con movimenti così automatici da non rendersi conto di quanto sta facendo, prende il telefono e compone un numero. All'altro capo la calda voce di una giovane donna che lo riconosce, felice di sentirlo. Voce e parole che fanno immaginare un sorriso abbagliante, occhi brillanti e giocosi. Fanno desiderare di vedere, di ammirare, di ricambiare le carezze al cuore di questa giovane donna generosa.

E alla fine...
anzi no, non alla fine ma
improvvisamente ad un certo punto,
sempre con quell'ardente strozzatura in gola che gli rende la voce un sussurro stentato, la interrompe. La chiama per nome. I nomi hanno magia, un potere quasi sovrannaturale. Evocano, legano le persone, ai pensieri o ad altre persone. Ha la sua completa attenzione, ora, perchè ha usato il suo nome e lei sa che le prossime parole saranno importanti. E lui pronuncia quelle parole. Dice: "Mi racconti una storia?"

E a questo punto è chiaro - più che chiaro - quale sarà la continuazione di questa storia in cui un cantastorie ammette di non saperle cantare. Tanto rumore per nulla. Tanto sforzo per un qualcosa che non c'è. Devo solo trovare il coraggio di mettere una dietro l'altra le lettere che compongono la parola. Ci provo.

E' più facile di quanto pensassi.
Eccole.

FINE

0 commenti: