the mud river blues

Avevo promesso storie e dunque credo sia ora di iniziare.
Ciò che segue è lo sviluppo di un'idea venutami guardando il film L.A. Confidential e cercando d'immaginare la mia Ferrara come ambientazione di un noir alla Raymond Chandler. Poi qualche sera fa ho vissuto un paio d'ore veramente esilaranti in compagnia di amici, anglofonizzando i nomi di numerose località di provincia, e tutto ha preso a cospirare in direzione di Irontown (ovviamente Ferrara), divenuta poi Ironton. Ed è in questa ridente cittadina a misura d'uomo, ora internazionale al punto che alle sue porte vi sono pannelli luminosi che salutano con un "Welcome to Ferrara" (e a Natale addirittura con "Season's Greetings!"), che vive il mio epigone di Philip Marlowe. Maldestro investigatore privato della bassa padana traslocata in un'America inventata, James Deer (alias Jimbo, alias Jumbo, alias l'Anguilla, ecc.ecc.) affronterà il difficile compito della satira. Spero con successo.
Due note.
Prima di tutto pur iniziando con molto entusiasmo non sò se o come finirà l'avventura. So che ci metterò mano a tempo perso e quando avrò argomenti. Chissà davvero cosa ne verrà fuori. In secondo luogo lancio una sfida ai lettori: la toponomastica di Ironton, così come le molte località che visiterà l'eroe, è stata inglesizzata in modo a dir poco parodistico. Non so quale sarà, ma ci sarà un premio a chi indovinerà gli originali che stanno dietro ai nomi inventati.
Un ultimo appunto. Forse è superfluo dire che questa è un'opera di fantasia e che ogni riferimento a nomi e persone realmente esistenti è puramente casuale... però non si sa mai.



THE MUD-RIVER BLUES

-- Prima parte --


Questa è una città spietata. Non c'è posto per gli imbelli ad Ironton. Qui la gente saluta tenendo una mano sul portafogli, e mentre gli amministratori cittadini parcheggiano in tripla fila davanti ai bar di moda i vigili urbani fanno rimuovere anche le ambulanze ferme a prestar soccorso. Un postaccio. Ma è qui che vivo e lavoro, e ormai certe cose mi scivolano addosso senza lasciare segni. Non per niente mi chiamano l'Anguilla.
Il giorno in cui iniziò tutto il casino m'ero alzato con una strana sensazione, una sensazione come di... assorbimento, che inizialmente attribuii all'ICI in scadenza. Come mi sbagliavo. Entrai in ufficio e trovai Ruth, la mia segretaria, che arieggiava i locali.
"Mangiato pesante come al solito, Ruth?" fu il mio commento. "Non dirmi che ti vedi ancora con quel cuoco cinese."
"Giorno di paga, boss." Rispose lei.
Adoro la mia segretaria. E' una brunetta tuttopepe dalle gonne microscopiche e il cervello in tinta unita (o viceversa?). Non sa battere a macchina o stenografare, insulta i clienti al telefono e perde nota di ogni appuntamento, ma quando accavalla le gambe alla Sharon Stone non c'è creditore che possa rifiutarmi una dilazione. E soprattutto la pago in buoni sconto dell'Ipercoop (in questo noir anglofilo va pronunciato "aipercuup". N.d.A.). Era una settimana che facevo incetta ai danni delle buchette dei vicini. Infilai la mano in tasca e ne estrassi una mazzetta di buoni sconto del 40% sull'acquisto di pannoloni per incontinenti.
"Ho deciso di darti un aumento" le dissi facendo cadere la mazzetta sul tavolo.
"Wow! Boss!!" Esclamò lei con i lustrini agli occhi, e io mi chiusi nel mio ufficio per adempiere ai riti mattutini.
Il giornale era il solito ricettacolo di oscenità. Il sindaco stava spillando altri quattrini ai contribuenti per terminare la costruzione di un'opera pubblica edificata su una palude. La società di gestione dei parcheggi annunciava un rincaro per finanziare il rinnovo del parco auto private dei suoi dirigenti. Ero da un po' fermo su una certa pagina cercando di capire se si trattava di annunci immobiliari o cronaca nera quando, senza bussare, entrò lei.
Un tailleur grigio argento l'avvolgeva come un guanto. I capelli biondo oro le ricadevano sciolti sulle spalle e gli occhi verde mare mi guardavano con aria leggermente interrogativa. Cercai di indovinare il motivo di quello sguardo, ma non riuscendone a trovare ragione alla fine estrassi l'anulare dalla narice e mi alzai per presentarmi.
"Lei è Jumbo, sì?" M'anticipò la donna, e io sentii le chiappe contrarmisi dolorosamente. Era uno dei miei primi alias, e non amavo ricordare il modo in cui me l'ero guadagnato.
"Jim" risposi. "Mi chiami Jim."
"Jim?"
"Come il capitano in Star Trek."
"Ah, certo."
La bionda avanzò sul linoleum sbiadito facendolo sembrare una guida in velluto rosso, i tacchi alti delle sue scarpine italiane che toccavano terra senza produrre il benchè minimo rumore.
"E lei è?" l'interrogai.
"Bertha."
"Bertha?"
"Come nella canzone degli Squallor."
"Ovviamente." L'amavo già.
Le scostai la sedia. Lei sedette accavallando le gambe affusolate, provocandomi i pensieri più inarrestabili e una gran voglia di cantare la Marsigliese. Tornato dietro la scrivania feci febbrilmente sparire i bicchieri sporchi e un paio di copie di Playboy, marzo e aprile, nel primo cassetto. Poi entrai nella parte.
"Mi dica tutto, Bertha."
"Voglio che lei recuperi un oggetto."
"Vuole che le recuperi un oggetto?"
"Un oggetto molto prezioso."
"Vuole che le recuperi un oggetto molto prezioso?"
"Appartiene alla mia famiglia da sette generazioni."
"Quest'oggetto appartiene alla sua famiglia da sette generazioni?"
"Per caso è sordo, Jim?"
"Eh?"
Bertha si alzò con risolutezza.
"Ho commesso un terribile errore," disse nascondendosi dietro un paio di raffinatissimi occhiali scuri. "Mi scusi per averle fatto perdere il suo tempo." Quindi girò sui tacchi e scivolò fuori dal mio ufficio, regalandomi per un istante la visione del suo delizioso sederino ancheggiante.
"Tutto bene, Boss?" esclamò Ruth apparendo sulla porta mentre mi rotolavo nudo sull'imbottitura della sedia sulla quale era stato il delizioso sederino di cui sopra.
Il resto della mattina trascorse senza sorprese. Terminai la lettura del giornale e telefonai ad un paio di allibratori clandestini per piazzare qualche puntata sull'ubicazione delle nuove ZTL. All'una andai alla solita tavola calda su Joykka Drive a farmi una bistecca.
Ero all'ultimo boccone quando due energumeni che avrei visto bene sul ring di un raduno wrestling, uno rosso l'altro calvo, sedettero al mio tavolo e presero a fissarmi in un modo assai spiacevole.
"Sei Jumbo?" disse il rosso. Due volte in una mattina era troppo. Continuai a masticare passando trucemente gli occhi dall'uno all'altro.
"Chi lo vuol sapere?" dissi dopo aver inghiottito il boccone. L'istante successivo stavo rotolando sulla strada dopo aver attraversato e infranto la vetrina. I lottatori mi raccolsero e iniziarono a suorarmi come una fisarmonica finchè non arrivò Al, il ristoratore, sbraitando come un ossesso che era ora di piantarla con tutte quelle scene per non pagare il conto.
"Sta lontano dalla donna," disse il rosso prima di andarsene, e per sottolineare che l'argomento gli stava a cuore mi mollò una scarpata agli zebedei che di sicuro mi tornerà in mente sul letto di morte, essendone stata una buona anticipazione. Mentre perdevo i sensi sentii la voce ormai lontana di Al che mi gridava in faccia:
"Fanno dodici e settantacinque, furbetto!!"

-- Fine Prima parte --

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