novembre più che aprile

Piazza Ariostea.
La sera si spegne come la brace minuta di un fiammifero. Passano pochi istanti e comincio a sentir freddo. Viene su dalla panchina, attraverso i pantaloni e le mie robuste chiappe da orso.
Flussi e riflussi storici. Nella mia vita prima o poi sono sempre tornato qui, a sedere su queste panchine (proprio questa, addirittura), a correre, pattinare o passeggiare su quest'anello asfaltato, ad arrampicarmi sulla larga base di marmo del monumento ad Ariosto. Qualcuno ha imbrattato il cubo di marmo che sta alla base della colonna. Sciocche scritte con indelebile nero. Sottolineo la parola, in-de-le-bi-le. Vuol dire che non viene via. Mai. Vorrei avere qui gli artefici di tanto scempio per poter incidere la parola "idiota" sulle loro fronti con un bisturi. Qualcosa che si noti e, naturalmente, non venga via. Mai. Hanno imbrattato la mia infanzia, la mia adolescenza, ricordi dolcissimi e appassionanti.
Mi stringo in un giubbotto che non tiene caldo abbastanza per questo aprile autunnale, ma non importa. E' una prova di resistenza. La vincerò. Anche perchè ne decido le regole, e posso autoproclamarmi vincitore in un istante.
Le uniche luci, ora, sono i deboli lampioni, le insegne luminose dei bar, la gelateria, la pizzeria al taglio.
E il display del mio cellulare.
Accedo alla rubrica. Mentre tengo l'apparecchio sul palmo della mano destra, il pollice esegue automaticamente un goffo ma collaudato balletto sulla tastierina.
Tre volte il tasto 3, tre volte il 5...

"...informazione gratuita: l'utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile..."

...e cosa cazzo sto facendo qui fuori a congelarmi il culo?

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