mercoledì 7 novembre 2007
by Enrico
Stamane, mentre cercavo di sciogliere la febbre alta nel sonno, mia madre è passata per casa mia e mi ha lasciato provviste mangerecce e una grossa scatola. Me ne aveva parlato giorni prima. Le cravatte. Ho portato la scatola in camera, come avevo fatto per quella delle
camicie, e seduto sul letto l'ho aperta e ci ho curiosato dentro. Ne son emersi fior di ricordi, ovviamente. Alcune di quelle cravatte gliele avevo "prese in prestito" tante volte, alcune con suo dichiarato scorno, altre con sua divertita benedizione. Per alcune altre ancora non avevo mai osato farlo, per quanto erano belle.
Ora sono mie.
Al contrario del sottoscritto, mio padre è sempre stato elegante, molto attento al proprio aspetto, a come il suo abbigliamento lo rappresentasse. In ciascuna di quelle cravatte c'è un po' di quel gusto, di quel compiacimento, di lui.
E ora sono mie.
"Ricordati," diceva, "che il nodo deve essere perfetto, ma poi devi comportarti come se non l'avessi." E pensandoci ora, posso dire in tutta franchezza che, del tempo che mi serviva per "mettermi in ghingheri", quelle volte che mi ci mettevo, un buon 40% era dedicato alla scelta e al nodo della cravatta.
Ora, quelle cravatte che facevo scorrere piano sulle dita, là appese nell'armadio dei miei, ammirandone morbidezza e colori, taglio e tessuti, ora, dicevo, quelle cravatte sono mie. Le ho tutte qui, ordinatamente ripiegate in una grossa scatola, tenute a debita distanza dal mio naso gocciolante per la turbo-influenza che il mio medico di base s'ostina a dire una mia invenzione.
In inglese "cravatta" si dice "tie".
In inglese "tie" vuol dire anche "legame".
E non vedo l'ora di fare il nodo a una di quelle cravatte