Apro gli occhi ed è giorno. Sabato. Filtra poca luce dalle finestre chiuse, anche se il display azzurro della sveglia digitale dice che sono le nove e trenta. Posso indovinare che piove. Non sono curioso di aprire e dare luce, anche se (stranamente) non c'è niente di più rilassante della pioggia luccicante sui ciottoli sconnessi di vicolo del Voltino. Sono già abbastanza rilassato di mio. Lascio che il sonno scivoli via piano, senza fretta, non lo spingo né lo trattengo.
Però giro la testa sul cuscino e richiudo gli occhi, tentando di rientrare almeno un poco nel sogno da cui sono appena scivolato via. Ovviamente non ci riesco, quindi mi accontento di richiamare alla mente le immagini, come uno di quei film cult che danno alle tre di notte, e che per questo quasi sempre si seguono in uno stato alterato di coscienza.
Corro. Corro a testa bassa tra fiamme e macerie. Sento spari e il sibilare dei proiettili che mi sfiorano e impattano nei muri, proiettando schegge d'intonaco che m'accecano. Il boato di un'esplosione mi spinge giù per un pendio che m'accorgo essere una scala. Altre persone mi precedono e mi seguono nella penombra dello stabile dove ci siamo rifugiati. Avanziamo in fretta, respirando faticosamente nella polvere e nella paura, contando i secondi che separano le esplosioni. Sembrano diminuire, e questo potrebbe dire che presto ci cadranno sulla testa. Tre, due, uno. L'esplosione è vicinissima, la terra trema, polvere e calcinacci ci piovono addosso. Qualcuno grida, qualcun altro impreca. Stringo i denti e continuo ad avanzare, certo che non mi rimangano che pochi secondi di vita.
Non sento l'esplosione. D'un tratto il soffitto mi frana addosso apparentemente senza motivo. Respiro con affanno doloroso. La semioscurità polverosa si anima di tremule luci iridescenti. Sbatto le palpebre più e più volte, cercando di capire se vedo realmente quelle luci, o è un'allucinazione di qualche tipo. E' un'ingenuità. Se fosse un'allucinazione non lo capirei certo così, e l'intuisco anche nel sogno. Ma continuo comunque a sbattere le palpebre finché non mi rendo conto che ciò che sto vedendo sono le anime degli uomini che erano con me e ora sono morti. E' una strabiliante pioggia luminosa all'incontrario. Uno sgocciolio verso l'alto, come se la forza di gravità fosse stata invertita. Le luci dai colori più diversi appaiono lentamente nel buio in basso, e dopo un breve attimo d'esitazione, come gocce che s'ingrassano sulla bocca di un rubinetto difettoso, "cadono" velocissime verso l'alto.
Cerco di guardare me stesso, per vedere se da qualche punto del mio corpo si stia formando una luce simile. E vedo una luce. Bianca, così bianca e intensa da ferire gli occhi. Tutto sparisce, inghiottito da quella luce e dal silenzio, e io precipito nell'angoscia, il petto sempre più pesante, il respiro affannato e doloroso. Mi agito, irrequieto, braccia e gambe che cercano un appoggio. Dove sono? Dove? Dove sono? La mente inceppata continua a domandarselo finché non sento una voce chiamare il mio nome.
E la luce bianca non è più così dolorosa e accecante. Anzi, posso vedere tende alle finestre che filtrano piacevolmente caldi raggi solari. I miei occhi scorrono nella stanza da letto, arredata in modo essenziale e con buon gusto con pochi mobili antichi. Il legno scuro, probabilmente noce, aiuta a rasserenare il mio spirito, così come i candelabri di rame, le innumerevoli candele bianche di varie dimensioni e dallo stoppino bruciacchiato, le travi antiche che scanalano il soffitto.
La voce chiama di nuovo il mio nome, e voltando la testa su quello che m'accorgo essere un cuscino mi trovo ad osservare il viso di una donna. Le sue labbra s'incurvano in un sorriso così delizioso e fresco da farmi male dentro. Per un attimo dimentico di respirare. "Stavi sognando" dice semplicemente. E non posso fare a meno d'amarla. Non posso, come non potrei volontariamente fermare il battito del mio cuore.
Appoggio il dorso della mano sul cuscino, e lei appoggia il viso sul mio palmo. Sempre sorridendo, col suo viso m'accarezza leggera la mano. "Sei sveglio?" chiede con dolcezza. No. No, maledizione. E' fin troppo ovvio. Sto sognando. Ancora. E...
Mi sveglio Sabato mattina che piove, fuori dalle mie finestre chiuse, sui ciottoli sconnessi di vicolo del Voltino, chiedendomi se vi sarà risveglio anche da qui, come nella poesia di Edgar Allan Poe.
Take this kiss upon the brow!
And, in parting from you now,
Thus much let me avow -
You are not wrong, who deem
That my days have been a dream;
Yet if hope has flown away
In a night, or in a day,
In a vision, or in none,
Is it therefore the less gone?
All that we see or seem
Is but a dream within a dream.
Quel poco di serenità che m'è dato si cela nell'ultimo scrigno della mia scatola cinese dei sogni.